Leggendo sui giornali di oggi (3 aprile 2008) i numerosi servizi sulla gerontocrazia dominante nel nostro Paese, sul rinnovamento bloccato e sui concorsi e esami truccati negli atenei della Penisola, penso alla mia personale esperienza e mi convinco sempre più di essere fortunato, straordinariamente fortunato… eh sì! Perché all’età di 37 anni, con 3 figli, buoni titoli di studio (laurea con lode e dottorato di ricerca) e un discreto numero di pubblicazioni all’attivo (3 monografie, altrettante curatele di libri, una quindicina di saggi scientifici), mi dicono spesso “Bravo, bravo! Sei giovane, vedrai che in futuro troverai un lavoro che dia senso al tuo percorso di studi e potrai esprimere tutto il tuo talento”. Nonostante questo non insignificante curriculum (che, sia chiaro, mi accomuna a migliaia di “giovani” miei coetanei, spesso anche molto più accreditati), sono fortunato, perché vivo nel Paese dell’eterna giovinezza. Dall’isola che non c’è di Peter Pan siamo passati alla penisola che c’è.
La mia peraltro è una situazione mediamente più favorevole di quella di altri coetanei, perché ho un lavoro dignitoso e stimolante che mi consente di mantenere una famiglia, ma che non ha niente a che fare con le mie aspirazioni, le mie competenze, i miei studi. E ciò determina di fatto un fallimento per lo Stato che ha contribuito (economicamente) al mio percorso di studi.
Da numerosi anni tento la sorte a concorsi per ricercatore per i quali so generalmente in anticipo chi sarà il vincitore. Non ne faccio una colpa ai predestinati, protetti dall’ordinario di turno capace di inserirli nel percorso accademico. Ammetto che se avessi anche io un protettore ne approfitterei. Come ha sostenuto Giovanni Floris (autore di “Mal di merito. L’epidemia di raccomandazioni che paralizza l’Italia”), il problema non sono le raccomandazioni, che a volte servono a inserire nel mondo del lavoro persone meritevoli e non solo incapaci (purtroppo, ahinoi, anche loro).
Il problema vero è il sistema che governa i percorsi di carriera. Nelle università come in altre realtà, a partire dalla politica, ci si avvale di meccanismi cooptativi per i quali il fattore determinante non è il merito, ma la fedeltà. Se la raccomandazione è necessaria, è naturale che tutti vi ricorrano, ma vince chi ha il protettore più potente, e dunque non il più meritevole, ma il più garantito. Determinando peraltro un meccanismo di perpetuazione. E soprattutto vince il più fedele. Avete mai visto un ordinario che fa vincere un concorso ad un bravo ricercatore che sostiene tesi diverse dalle sue? Oppure che non è disposto a svolgere per tale ordinario il “lavoro sporco” accademico: esami, tesi di laurea, questioni amministrative, etc etc.
Sono consapevole che il problema è di carattere più generale e le sue origini risalgono molto addietro, perché l’Italia non investe da tempo nella risorsa principale di un paese che vuole essere competitivo sullo scenario globale: ossia il sapere e la conoscenza. Nelle aree più avanzate del mondo, la società industriale ha ceduto il passo alla società dell’informazione e della conoscenza. I beni immateriali del sapere e della conoscenza costituiscono le principali leve dello sviluppo economico e sociale. L’Unione europea ha risposto a questa sfida con la Strategia di Lisbona del 2000: un piano di azione per realizzare nella UE entro il 2010 l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in modo da produrre una crescita economica sostenibile, promuovere occupazione e coesione sociale. Sappiamo già che questi obiettivi non verranno mai raggiunti. La media europea di investimenti nella ricerca pubblica di Pil è il 2%. I paesi scandinavi e il Giappone arrivano al 3%. Noi siamo il fanalino di coda con l’1%. Abbiamo 3 ricercatori su 1000 occupati su una media europea di 6. Ma la classe politica non se ne preoccupa. Oggi il tema politico centrale sui giornali è il simbolo della DC di Pizza!! Ieri gli autoreggenti e i perizoma delle candidate donne!! Confesso una certa ansia per domani.
Anche mio padre, pressappoco alla mia età, aveva 3 figli. Aveva anche una casa in proprietà acquistata insieme alla mamma. Aveva un lavoro che lo accompagnò per tutta la sua vita professionale. Naturalmente molto diverso dal mio, avendo frequentato appena le elementari, ma che gli dava piena soddisfazione. Era insomma un adulto che, quotidianamente, costruiva qualcosa per sé, per la sua famiglia, per la società. In fondo era realizzato. Io, invece, alla stessa età sono molto più fortunato… perché sono ancora giovane. Eh sì, è proprio il Bel Paese il nostro. Quello dell’eterna giovinezza!!!
GT
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