Il passaggio più drammatico del governo, con un piede già oltre il precipizio, si consuma alle sette di sera. Quando Berlusconi incrocia il suo sguardo con quello di Umberto Bossi e scandisce bene le parole davanti al Consiglio dei ministri: «Le richieste che ci fanno in Europa sono pesanti, sono onerose sul piano del consenso elettorale, ma sono ineludibili. Vi chiedo quindi un mandato pieno per andare a Bruxelles, altrimenti è inutile che io parta».
Anche Gianni Letta, aprendo la riunione, era stato del resto molto esplicito: «Nessuno qui dentro può immaginare che il presidente del Consiglio si presenti al Consiglio europeo a mani vuote». Nella richiesta di Berlusconi alla Lega di un «mandato pieno» c´è infatti anche la constatazione che, in caso contrario, per il premier non resterebbe altra strada che gettare la spugna e chiudere anzitempo la sua esperienza a palazzo Chigi.
Una possibilità che, per la prima volta, abbandonando i soliti toni baldanzosi, Napolitano sente evocare dalla viva voce del Cavaliere, ricevuto in mattinata. Al capo dello Stato, preoccupatissimo per il precipitare degli eventi, si presenta infatti un Berlusconi più realista del solito. Pessimista sulle possibilità di andare avanti: «Io davvero non so se ce la faccio. È chiaro che a Bruxelles ci vado solo se c´è l´accordo con Bossi». Altrimenti il premier affaccia la possibilità di un «passo indietro», anzi appare addirittura «pronto» a farlo se la situazione lo dovesse richiedere. La situazione è talmente grave che nel Pdl, per tutto il pomeriggio, si affastellano ipotesi estreme. Si discute di scenari “alla Zapatero”, con la possibilità di un voto anticipato a marzo e annuncio immediato del «passo indietro». Oppure di un governo guidato da Gianni Letta o Renato Schifani, che potrebbe trovare in Parlamento il sostegno del terzo polo. Qualcuno pensa che sia solo un modo per aumentare la pressione sulla Lega, altri, stanchi del Cavaliere, ci puntano davvero. Sta di fatto che il capo dello Stato si dà da fare per tenere i contatti con tutti, dando vita a un giro di pre-consultazioni che coinvolge anche i principali esponenti dell´opposizione. Incontra Enrico Letta, vicesegretario del Pd, e sente al telefono Pier Ferdinando Casini. A tutti, governo e opposizione, ripete che «l´Italia deve garantire i suoi impegni», dando così ragione a Barroso e Van Rompuy. Perché «servono risposte urgenti e concrete», il tempo degli annunci è scaduto. Né il Pd né il terzo polo sono disposti a fare sconti o concedere aiuti a gratis. Chiedono la testa del premier, altrimenti il governo si arrangi. E anche Napolitano ammette che questa volta Berlusconi ce la deve fare con le sue gambe, non è possibile fare altrimenti. E se il Cavaliere davvero dovesse farsi da parte oppure essere sfiduciato dalla Lega, il centrosinistra suggerisce la strada di un esecutivo di salvezza nazionale “alla Ciampi”, guidato da Mario Monti, che tiri fuori l´Italia dal buco nero dove si è cacciata.
Il governo invece è nel caos. Nel faccia a faccia con Bossi il premier ricorre ai toni drammatici per indurlo a mollare sulle pensioni. «Siamo con le spalle al muro – ripete in maniera accorata – e se non portiamo subito qualcosa a Bruxelles ce ne andiamo a casa tutti. Significa esporre l´Italia a un rischio enorme: te la senti di assumerti la responsabilità di farci fare la fine della Grecia? Perché è questo quello che accadrà». Di fronte ai ripetuti “niet” di Bossi deve saltare anche il Consiglio dei ministri previsto per oggi per approvare il decreto sviluppo. Come soluzione di ripiego si pensa a una conferenza stampa con l´annuncio delle cose da fare e un “papiello” da portare a Bruxelles con i tempi di attuazione previsti per ogni provvedimento, sperando che il Consiglio europeo si accontenti di un pezzo di carta. Insomma, la strategia è ancora molto lontana da quelle «risposte concrete» chieste dal capo dello Stato e dai vertici Ue.
Nel Consiglio dei ministri, per uscire dall´impasse delle pensioni, si discute anche dell´ampio menu di riforme da approvare al più presto: mercato del lavoro, liberalizzazioni degli ordini professionali, riduzione del debito pubblico con dismissioni di beni demaniali. Alla fine Berlusconi sembra rincuorato: «Vedete che da un male può nascere un bene. Può essere la volta buona che riusciamo a fare quella rivoluzione liberale per la quale siamo scesi in campo». Una ventata di ottimismo che spiazza i ministri che lo stanno a sentire: l´ennesimo colpo da attore mentre il teatro brucia.
La Repubblica 25.10.11