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"Obbligo di fazzoletto verde, la Lega vigila Task force per segnalare i «reprobi» senza cravatta o pochette padana", di Marco Cremonesi

Il diavolo, si sa, si nasconde nel dettaglio. E la cravatta verde — anzi: la sua assenza — può diventare un utile strumento per individuare l’eresia. E così, nel Carroccio senza pace, ecco che anche il più classico degli accessori maschili diventa l’occasione per un esame della «padanità» dell’esaminato.
Alcuni dei dirigenti leghisti più vicini al clan di Gemonio, da qualche tempo si sono messi a monitorare le trasmissioni televisive in cui compaiono esponenti del Carroccio. Perché troppi di loro si presentano in televisione — e cioè, pubblicamente — senza la doverosa cravatta verde d’ordinanza, con o senza «Sole delle Alpi». Un’assenza che può essere tollerata soltanto in presenza, almeno, di un fazzoletto da taschino di tinta adeguata a ricordare il sogno.
La cosa non è ufficiale. Non ci sono comandamenti di partito che abbiano disposto lo screening delle partecipate televisive del Carroccio sotto il profilo dell’abbigliamento. Eppure, chi raccoglie segnalazioni sull’abbigliamento dei leghisti in tivù esiste.
I primi reprobi individuati negli ultimi giorni sono l’europarlamentare milanese Matteo Salvini, il deputato Gianni Fava da Mantova, il capo indiscusso della Lega romagnola Gianluca Pini, oltre all’eretico per eccellenza: il sindaco di Verona Flavio Tosi. Anzi. Proprio una frase del primo cittadino scaligero sarebbe stata il grilletto delle riflessioni che si fanno nel clan di Gemonio: «Possiamo discutere — ha detto Tosi lo scorso 3 ottobre — se la Padania esiste o non esiste, dove inizia o finisce. Possiamo parlare del popolo padano o veneto, siciliano, juventino o milanista. È filosofia, ma i problemi del Paese restano». Ecco, la Padania come «filosofia» segna l’inizio dell’eresia. E gli eretici, appunto, si distinguono per l’assenza della cravatta.
«Lei potrà ridere — spiega un deputato vicino a quel che i giornali chiamano il «cerchio magico» — ma quel verde è il simbolo della Padania. E la verità è che c’è chi pensa a una Lega normalizzata, senza la Padania. Senza il sogno dell’indipendenza. Senza la rivoluzione. Ma noi non siamo un sindacato di territorio, non siamo un partito borghese. Siamo l’unico movimento che ha un orizzonte. Senza quello, non c’è più Lega».
Al di là delle eresie padane, la tensione non si placa. Il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni ieri ha minacciato querele nei confronti dei giornali che han parlato di liste di parlamentari da non ricandidare alle prossime elezioni. Tra gli altri, ancora Gianni Fava, che della lista farebbe parte. Il deputato mantovano ha detto di ritenere la notizia una «stupidata». Eppure, la nota non è priva di ironia: «Non posso credere che nel Carroccio ci sia qualcuno così stupido da mettersi a fare pagelle con buoni e cattivi, o peggio, liste che hanno il vago sapore dell’epurazione».
Insomma, le divisioni nel Carroccio non accennano a placarsi. Se ne sono accorti i sottosegretari Guido Crosetto e Alfredo Mantovano. Che sono andati da Marco Reguzzoni a chiedere le firme leghiste sotto a un documento che chiede di rinunciare ai tagli al comparto della Sicurezza. Il capogruppo padano ha risposto di dispiacersi, ma che la cosa avrebbe rischiato di essere letta come un attacco a Tremonti. Poi, i due esponenti governativi han chiesto le firme al gruppo. Risultato: in meno di un’ora, 40 autografi su 59 deputati.

Il Corriere della Sera 23.10.11