Un nuovo crollo, annunciato. Intanto il governo taglia 5 milioni di Fondi dal “Salva Pompei” e blocca le assunzioni di archeologi e tecnici. Salva invece la possibilità di nuove infrastrutture esterne in deroga. Pompei crolla di nuovo e stavolta con una puntualità che lascia a dir poco storditi, mentre gli scenari si fanno sempre più foschi e s’allungano minacciose le ombre di opache speculazioni che coinvolgono trasversalmente interi pezzi dell’attuale governo. È dell’altro ieri appunto l’ultimo crollo nel sito archeologico flegreo: un muro di circa due metri, realizzato con la tecnica a “Opus incertum” si è parzialmente sbriciolato nell’area nord degli scavi, in zona Porta Nola. Un fatto senz’altro grave poiché è l’ennesimo grano in un rosario di crolli che affliggono Pompeida circa quattro anni con una cadenza mai registrata in precedenza. Tuttavia, è bene precisarlo, non si tratta di un elemento pregiato, ma si inserisce in uno scenario che lascia notevoli perplessità. «È allucinante: dopo miliardi di annunci del governo su Pompei, la situazione è la stessa dell’anno scorso – sbotta Matteo Orfini responsabile cultura del Pd – arriva l’inverno e arrivano i crolli, ma non devono diventare un alibi per nuove emergenze. Dopo un anno non funziona Pompei, né il ministero in mano ad apprendisti stregoni, interessati alla gestione dei fondi per le solite clientele».
DISASTRO ANNUNCIATO
Parole pesanti che ben descrivono le conseguenze che potrebbe avere questo crollo, da classificarsi a tutta prima annunciato: il 7 ottobre scorso il sottosegretario ai Beni Culturali Riccardo Villari lamentava un forte rischio per dissesto idrogeologico. Peccato che questa estate durante il suo mandato, grazie al famigerato decreto definito grottescamente “Salva Pompei” fortemente voluto anche dal ministro Giancarlo Galan, proprio a Pompei siano stati tolti cinque milioni di euro di fondi. Così si è bloccato il piano di recupero fatto dalla Soprintendenza e dal Segretariato generale del ministero, già approvato e pubblicato; bloccate anche le 40 assunzioni di archeologi e strutturisti di cui il sito flegreo ha urgente bisogno e che Galan ha promesso nella sua prima uscita pubblica da ministro
proprio a Pompei nel marzo scorso.
Assunzioni bloccate nuovamente dal decreto di stabilità, riproposte nel decreto sviluppo oggi in discussione e ancora una volta stralciate. La prossima settimana il commissario europeo per le Politiche regionali Johannes Hahn sarà in visita a Pompei per discutere dei 105 milioni dieuro da destinare all’area. Vedi caso lo accompagnano Villari, il ministro per gli affari regionali Raffaele Fitto e Galan. Il crollo dunquepotrebbe essere argomento di pressione per sbloccare i fondi, ma soprattutto l’alibi per dirottarli nell’ennesima finta emergenza. In un convegno mercoledì scorso l’archeologo Andrea Carandini intimava a Galan che quei «fondi europei finiscano alla Soprintendenza, siano utilizzati solo per Pompei». Lo stesso giorno al Consiglio Superiore dei Beni Culturali che presiede, lo stesso Carandini si era espresso in forma più chiara: «Vogliono dare i finanziamenti europei non alle soprintendenze, ma all’esterno». Vale a dire a Invitalia, società dello stato in cui Fitto
secondo molti fa il bello e il cattivo tempo, a cui non solo sarebbe affidato lo svolgimento lavori,ma addirittura la progettazione, che naturalmente sarà fatta ex novo con ulteriori spese, benché ce ne sia una già approvata della Soprintendenza e Segretariato generale. Peraltro solo per gestire una pratica, Invitalia si prende circa il 20%del contributo, così i milioni di euro da 105 calano subito a 84 e il resto si smarrisce nelle maglie della burocrazia. Ma c’è di più: sempre il decreto “Salva Pompei” prevede che interventi cosiddetti urgenti «all’esterno del perimetro delle aree archeologiche (di Pompei) possono
essere realizzati in deroga alla pianificazione urbanistica». Un passaggio su cui solo Italia Nostra aveva espresso allarme, ma quegli interventi Villari li invoca a gran voce il 5 ottobre, giorno in cui riceve le deleghe per Pompei: «nuove infrastrutture», chiede. Tradotto: anche ristoranti, alberghi e centri benessere, tutto in deroga. E mentre imprenditori e clientele si stringono a coorte attorno al sottosegretario, il crollo di un muro diventa l’alibi emergenziale per il governo a lanciare nuove e più poderose speculazioni intorno a uno dei siti archeologici più belli del mondo che l’Italia sta mandando in rovina.
L’Unità 23.10.11
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“Scempio firmato Bondi Brunetta”, di VIttorio emiliani
Non ha dunque pace Pompei colpita da un altro crollo dopo quelli di maggior entità dell’anno
passato. Città in origine osca (nel secolo VII a.C.), poi etrusca e sannita e infine romana, si estende per 600mila metri quadrati. La sola con Ercolano ad essersi conservata com’era sotto un calco di cenere dopo l’eruzione del 79 d.C. per essere scoperta soltanto nel 1595-1600. Un altro crollo di cui Il Mattino ha dato notizia domenica 16 ottobre e di cui a Roma nessuna sapeva nulla. Nemmeno il sottosegretario Riccardo Villari che ha aperto un ufficio distaccato a Napoli. A capo della Soprintendenza speciale, cioè autonoma, di Pompei creata da Veltroni, l’ottimo Pietro Giovanni Guzzo, aveva compiuto alcune
scelte di fondo, fra le quali quella di approfondire e valorizzare quanto coincideva col territorio tutelato. In precedenza era stato molto apprezzato a Roma, in Puglia, in Emilia Romagna. Purtroppo, ad un certo punto, è arrivato dalla Protezione Civile un commissario, Marcello Fiori (ora sotto inchiesta da parte della Corte dei Conti), il quale ha impiegato molti dei 79 milioni di euro nello “spettacolo”: ologrammi, musei virtuali, mostre effimere costate oltre 600.000 euro, recupero di 55 cani randagi (86.000 euro, ma poi son tornati),
un Centro multimediale in luogo dell’Antiquarium (4,6 milioni di euro), piste ciclabili, e soprattutto il restauro con materiali del tutto estranei del Teatro Grande. Per il segretario della Uil-Beni Culturali, Gianfranco Cerasoli, il commissario Fiori avrebbe impiegato così il 48% dei fondi straordinari (il 27 %, sostiene Fiori). L’allora ministro Sandro Bondi accusò «l’incapacità manageriale dei soprintendenti archeologici» all’estero stimatissimi i quali risposero per le rime. Bondi accorpò a quella di Napoli la Soprintendenza speciale di Pompei
ed Ercolano, di fatto la sterilizzò creando l’ennesima gestione “ad interim”. Destinata a rimediare, figurarsi, alle scelte fatte da commissari digiuni di specifiche competenze in materia archeologica. Di fronte al crollo, sette giorni fa (ma il MiBAC dove dorme?), il segretario della Cisl, Antonio Pepe, ha dichiarato sconfortato: «Da quando Pompei non è più autonoma, non si vedono grandi lavori in corso d’opera e le Domus chiudono. Rimane da chiedersi: i soldi degli incassi, 35 milioni di euro, ai quali si sommano i 28 milioni lasciati in cassa dall’ex commissario Fiori, quando saranno spesi?». Puntualmente si è verificato un altro crollo attribuito, come al solito, all’inclemenza del tempo. Non invece al disossamento, alla “distruzione” del ministero attuata da Bondi e dal collega Brunetta. Sono stati pensionati soprintendenti, validissimi spesso, con 40 anni di contributi. Fra gli altri, essendo entrato ventenne nell’amministrazione, ne ha fatto le spese l’ottimo
direttore generale per l’Archelogia, Stefano De Caro, sui 60 anni. Una dissipazione di competenze e di conoscenze scientifiche e gestionali pazzesca. Nella vicina Ercolano è attivo da anni un sostegno privato esemplare alla manutenzione ordinaria e straordinaria: la Fondazione Packard investe del tutto silenziosamente («era difficile anche emettere
comunicati che valorizzassero lavori e scoperte», racconta l’ex soprintendente Guzzo). Ebbene, i milioni di euro donati senza alcuna contropartita dalla Packard (informatica) sono stati investiti in tutta la città, a cominciare, secondo i piani della Soprintendenza, dalla regimazione delle acque piovane che tanti guasti hanno fatto a Pompei che ora spera in un centinaio di milioni europei. Per quali progetti e da chi gestiti?
L’Unità 23.10.11