Niente più doppio incarico per i parlamentari-sindaci. La Corte Costituzionale, decidendo sul caso Stancanelli, senatore del Pdl e sindaco di Catania, ha bocciato la legge 60/1953 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un comune con più di 20mila abitanti. Con la sentenza 277/2011, (presidente Alfonso Quaranta, giudice redattore Paolo Grossi), è stata, dunque, dichiarata «l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti».
La vicenda nasce dal ricorso di un elettore
A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tribunale civile di Catania, al quale un elettore, Salvatore Battaglia, aveva fatto ricorso. Candidatosi a sindaco di Catania nel giugno del 2008, quindi dopo essere stato eletto due mesi prima senatore del Pdl, Raffaele Stancanelli aveva mantenuto il doppio incarico.
Vale per tutti i parlamentari divenuti sindaci di grandi città
La decisione della Consulta – la n. 277 – ha tuttavia valore per tutti quei parlamentari divenuti sindaci di grandi città e che dovranno dunque scegliere quale dei dunque incarichi mantenere.
Il SOle 24 Ore 21.10.11
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Stop ai parlamentari-sindaci. La Consulta: incarichi incompatibili
ROMA – La Corte Costituzionale, esprimendosi sul caso Stancanelli, senatore del Pdl e sindaco di Catania, ha bocciato con la sentenza n.277 la legge n.60 del 1953 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un comune con più di 20mila abitanti. Niente più doppio incarico dunque per i parlamentari-sindaci.
A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tribunale civile di Catania, al quale un elettore, Salvatore Battaglia, aveva fatto ricorso. Candidatosi a sindaco di Catania nel giugno del 2008, quindi due dopo essere stato eletto senatore del Pdl, Raffaele Stancanelli aveva mantenuto il doppio incarico. Tutti i parlamentari divenuti sindaci di grandi città dovranno dunque scegliere quale dei dunque incarichi mantenere.
La Consulta è di fatto intervenuta colmando un vuoto legislativo che causava – si legge nella sentenza scritta dal giudice Paolo Grossi – «la lesione non soltanto del canone di uguaglianza e ragionevolezza ma anche della stessa libertà di elettorato attivo e passivo». La legge statale, infatti, prevede espressamente che non sono eleggibili alla carica di parlamentare nazionale i presidenti delle Province ed i sindaci dei Comuni con più di 20mila abitanti, ma nulla dice riguardo all’ipotesi inversa, vale a dire sull’ineleggibilità a sindaco di chi è già parlamentare. «Si tratta dunque – scrive la Corte – di verificare la coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata dal legislatore (che evidentemente produce in sè una indubbia incidenza sul libero esercizio del diritto di elettorato passivo) di escludere l’eleggibilità alla Camera e al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non si accompagni la previsione di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale». I giudici costituzionali, alla luce di precedenti sentenze, ritengono necessario che «il menzionato parallelismo sia assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica», così come previsto dagli articoli 3 (principio di uguaglianza e ragionevolezza) e 51 (libertà di elettorato attivo e passivo) della Costituzione.
Secondo la Consulta la «previsione della non compatibilità di un ‘munus’ pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca delle cause di ineleggibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dell’elezione».
La pronuncia di illegitimità riguarda, per la previsione, gli articolo dall’1 al 4 della legge n.60 del 1953 «nella parte in cui non prevedono – si legge le dispositivo – l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20mila abitanti».
Osvaldo Napoli: norma già in vigore. «Le norme attualmente in vigore stabiliscono che chi occupa un seggio in Parlamento non possa fare il sindaco di una città con più di 20 mila abitanti, n‚éil presidente di una giunta provinciale, né l’assessore, né il consigliere regionale. La Consulta ha ribadito questo concetto – ricorda il parlamentare del Pdl, fino ai primi di ottobre presidente facente funzioni dell’Anci, e sindaco di un comune del Piemonte con meno di 1000 abitanti – La regola esiste già ma il Parlamento, negli anni, ha dato l’opportunità di proseguire il mandato da parlamentare, fino alla scadenza, qualora si venga eletti mentre si ricopre già l’incarico di sindaco. E questa eccezione è diventata una consuetudine. Ora la Consulta ha chiarito che applicare la consuetudine non va bene».
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