La qualità della politica e dei politici si misura nelle situazioni difficili. Grave è sicuramente quel che è avvenuto sabato a Roma, e proprio per questo sarebbe stato indispensabile, da parte di tutti, reagire senza emotività, senza cedere alla tentazione di sfruttare la situazione per catturare qualche facile consenso. E senza proporre misure che poi, in concreto, possono rivelarsi pericolose e pure scarsamente efficaci. Qualche memoria in questo senso dovremmo averla, a cominciare da quella legge Reale così incautamente evocata. E dovremmo aver capito, proprio perché abbiamo attraversato il dramma del terrorismo, che la forza della democrazia sta nella capacità di utilizzare fermamente la legalità ordinaria, senza precipitarsi ad invocare leggi eccezionali appena ci si trova di fronte a qualche difficoltà. La fuga nella legislazione eccezionale è stata troppe volte la via per apprestare alibi, per coprire inefficienze. Ed è stata pagata assai cara, perché le istituzioni hanno presentato una inutile faccia feroce, mentre tardavano nel mettere a punto le adeguate misure organizzative. Scrivere una norma è facile. Ben più arduo, ma indispensabile, è proprio predisporre strutture in grado di fronteggiare tempi mutati e difficili.
Il ministro dell´Interno, Maroni è apparso dimentico di tutto questo, preso da una voglia di fare che lo ha spinto a formulare proposte che, una volta di più, dimostrano quanto sia debole nell´attuale ceto di Governo la cultura della Costituzione. Rivelatrice è quella che vuole introdurre l´obbligo per gli organizzatori dei cortei di fornire una garanzia economica per risarcire gli eventuali danni arrecati da chi scende in piazza. Lasciamo da parte le enormi difficoltà tecniche e pratiche di una garanzia del genere (ma chi diavolo sono i consiglieri dei nostri governanti?). Consideriamo l´incidenza che essa avrebbe su uno dei diritti politici fondamentali, quello di manifestare in pubblico. Certo, questo deve avvenire “pacificamente e senza armi”, come vuole l´articolo 17 della Costituzione.
Ma è arbitrario aggiungere a queste parole la formula “e avendo adeguata capacità patrimoniale”. Un diritto fondamentale della persona diverrebbe così appannaggio di chi può pagarselo. Stiamo per tornare ai tempi della cittadinanza censitaria? Mai incostituzionalità è apparsa tanto clamorosa.
Vi è poi un bricolage di altre proposte specifiche, saltando dall´arresto in flagranza differita, a nuovi reati associativi, all´estensione ai manifestanti delle misure previste per i violenti nelle manifestazioni sportive (Daspo). Misure che dimostrano casualità e improvvisazione, proprio quando sarebbero stati necessari freddezza e rigore. Mi limito qui a ricordare la fatica con la quale la Corte costituzionale ha salvato il Daspo, e la possibilità di ritrovare nel fin troppo ricco armamentario penalistico indicazioni per qualificare i comportamenti violenti in modo tale da renderli concretamente perseguibili, senza tuttavia entrare nel territorio minato del “tipo d´autore”, per cui si rischia di trasformare il fatto di manifestare in comportamento criminoso.
La democrazia, dovremmo saperlo, è un regime difficile, dove la stessa salvezza della Repubblica non può mai essere pagata con il sacrificio di diritti fondamentali. Ma proprio qui sta la sua forza profonda, perché può opporre la sua fiducia nella libertà anche a chi la nega. E così può sfuggire alla trappola nella quale i violenti vorrebbero chiuderla: obbligarla a negare se stessa, per divenire in tal modo più agevolmente attaccabile. Questo è il garantismo dei tempi difficili, votato alla difesa dei principi e non strumentalizzato per la difesa di interessi personali.
La Repubblica 19.10.11
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«Libertà di manifestare Il divieto viola la Carta», di Andrea Carugati
Giuristi, avvocati, sindacati di polizia. Lo stop ai cortei per un mese voluto da Alemanno e le nuove norme di emergenza contro i teppisti da manifestazione illustrate ieri dal ministro Maroni suscitano più da un dubbio. A partire proprio dallo stop ai cortei, frutto di un’ordinanza del sindaco di Roma nei panni di commissario straordinario per l’emergenza traffico nella Capitale, che mutilerà la manifestazione prevista per il 21 ottobre. «C’è un problema che riguarda l’articolo 17 della Costituzione», spiega il professor Augusto Barbera, ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Bologna. «Sindaco e questore possono vietare una singola manifestazione, “per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica”, come recita la Carta fondamentale. Ma il divieto indiscriminato per un periodo di tempo suscita molte perplessità di ordine costituzionale». «C’è un solo precedente, a metà degli anni Settanta. L’allora ministro degli Interni Cossiga vietò per un mese le manifestazioni a Roma a seguito di alcuni gravi episodi di violenza». La decisione suscitò feroci polemiche e da allora il divieto non è stato più riproposto. Secondo il professore, «l’ordinanza del sindaco Alemanno è abile, perché cerca di sfuggire dai paletti sanciti dall’articolo 17 attraverso i poteri di commissario per il traffico. In giurisprudenza si chiama “sviamento di potere”, si utilizza cioè un potere per un fine diverso da quello per cui è stato concesso. Ma resta il tema del diritto a manifestare, e un corteo è una “riunione in movimento” e come tale rientra nelle manifestazioni garantite dalla Costituzione». «Le esigenze di sicurezza e anche di tutela della mobilità dei cittadini sono sacrosante e condivise da larga parte dell’opinione pubblica», prosegue Barbera. «Ma c’è il diritto ineludibile alla libertà di riunione, non si può aggirare la Costituzione utilizzando i poteri del sindaco in tema di traffico». Ad esempio, «se sindaco e questore avessero deciso di proibire la manifestazione Fiom del 21 ottobre per via del clima di tensione dopo i fatti di piazza San Giovanni, sarebbe stato discutibile nel merito ma legittimo sul piano giuridico».Ma per Barbera, «diverso è lo stop indiscriminato per un mese». Quanto alle ipotesi di nuove norme per bloccare i violenti preventivamente, il professore invita alla «cautela»: «Non vorrei che si scivolasse nel fermo di polizia, che ebbe vita breve anche negli anni di piombo, quando bastava un sospetto per fermare una persona. La norma che proibisce di manifestare a capo coperto esiste già: capisco che sia complicato, ma si può applicare ai black bloc». Sull’ordinanza di Alemanno duro il giudizio del segretario del Silp Cgil Claudio Giardullo: «È illegittima. La legge non riconosce ai sindaci la competenza su queste materie che spetta solo alle autorità di pubblica sicurezza. In questo caso, non è nemmeno il questore a poter decidere, ma solo il governo. La libertà di manifestare è sancita dalla Costituzione e qualsiasi organizzazione voglia manifestare con un corteo non può essere vincolata a fare un sit-in». Sulle nuove norme annunciate dal Viminale interviene anche l’Unione camere penali: «Destano il più vivo allarme e la più profonda preoccupazione, così come le reazioni politiche che hanno richiesto l’emanazione di norme emergenziali che, addirittura, richiamano gli istituti di una legge (quella Reale) che costituì una delle pagine più buie della Repubblica sul tema dei diritti civili». L’Unione camere penali chiede di «non stravolgere i principi costituzionali sul delicatissimo terreno della libertà». «La legislazione di emergenza si traduce sempre in uno strappo ai diritti fondamentali dei cittadini. Il fermo di polizia, prospettato dal ministro Maroni, è un istituto che si pone nettamente in contrasto con la Costituzione» e l’allargamento delle ipotesi di cosiddetta flagranza differita, «costituisce un arretramento della civiltà giuridica e una concessione a logiche emergenziali che non dovrebbero mai guidare i processi legislativi in campo penale», si legge nella nota dei penalisti.E ancora: «L’invocato aggravamento delle pene previste per alcuni specifici reati e l’introduzione di specifici delitti associativi costituiscono l’ennesimo esempio di risposta.
L’Unità 19.10.11
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Illegittimità palese “Follia costituzionale non può esserci un obolo per la libertà di riunirsi”, di Vladimiro Polchi
Una misura «palesemente illegittima». Di più: «Una follia costituzionale». Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, non ha dubbi: «Quella del ministro dell´Interno rischia di essere una reinterpretazione in chiave censitaria di una nostra libertà fondamentale».
Insomma non è pensabile obbligare gli organizzatori di una manifestazione a prestare garanzie patrimoniali per gli eventuali danni provocati?
«L´articolo 17 della Costituzione è chiaro: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz´armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso”. Punto e basta. La nostra Costituzione non prevede il pagamento di un obolo e la libertà di riunione non può certo subire alcun impedimento di carattere economico».
Non ci sono limiti al diritto di manifestare?
«Leggiamo l´ultimo comma dell´articolo 17: “Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. È chiaro? Il diritto di manifestare non ha altro vincolo se non quello dell´ordine pubblico, questo è il cuore della libertà costituzionale di riunione».
Chi difende allora la cittadinanza dai danni provocati da un corteo?
«È chiaro che gli atti vandalici sono comportamenti penalmente rilevanti, che chiamano in causa responsabilità personali anche per quanto riguarda il risarcimento dei danni. Per il resto tali reati non rappresentano una cattiva utilizzazione della libertà di riunione, al contrario limitano quella libertà, esercitata dalla maggioranza pacifica dei manifestanti».
La Repubblica 19.10.11
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“Padri e figli il 28 in piazza”, di Carla Cantone – Segretario generale SPI CGIL
Il 28 ottobre saremo in tanti a piazza del Popolo a Roma per manifestare tutto il nostro sdegno nei confronti di un governo classista, profondamente iniquo e ingiusto. Nessun dorma, è questo l’invito che facciamo e che rivolgiamo in primis alle pensionate e ai pensionati ma anche a tutti coloro che non ne possono più di vivere in un Paese in cui a pagare sono sempre i soliti noti, in cui dilagano l’impunità e l’illegalità e in cui si stanno minando alle basi i principi dello stato sociale e della comune convivenza. C’è bisogno di un risveglio collettivo. Non che fino a oggi siamo stati fermi a guardare ma è giunta l’ora di intensificare la lotta, di dimostrare al governo che il Paese ha bisogno di un’altra guida, di politiche diverse, della tutela dell’interesse di tutti contro il privilegio e i benefici di pochi. Le manovre economiche portate avanti in questi mesi avranno a stretto giro pesanti ripercussioni sulla vita quotidiana delle persone e in particolare delle fasce più deboli. I tagli agli enti locali, infatti, mettono a repentaglio il mantenimento delle funzioni svolte da Comuni e Regioni a sostegno dei servizi collettivi e alle singole persone. Viene così smantellata la politica socio-assistenziale del Paese e compromesso nei fatti il diritto alla Salute. I dati sono molto eloquenti. Tra il 2008 e il 2011 le risorse trasferite agli enti locali sono diminuite dell’86% passando da 939 a 218 milioni. Sono state ridotte, inoltre, quelle destinate al fondo per le famiglie (-7,13%) e quelle per le politiche giovanili (-65%). Azzerati, invece, i finanziamenti per la casa e quelli previsti per il fondo nazionale per i non-autosufficienti. A tutto questo si accompagna la proposta del ridimensionamento dei requisiti per le pensioni di invalidità, del superamento dell’indennità di accompagnamento e l’introduzione di nuovi ticket per il pronto soccorso e le visite specialistiche. Anche la spesa per le pensioni subirà riduzioni con l’unico risultato di rendere il sistema previdenziale una fabbrica di nuovi poveri. Con il meccanismo di perequazione delle pensioni medie si chiede invece a milioni di persone di fare un ulteriore sacrificio con un prelievo annuo di circa il 2,2%. Se questa misura può essere giustificata dall’esigenza di far contribuire tutti al risanamento delle casse dello Stato viene da domandarsi perché il governo non abbia introdotto il contributo di solidarietà e perché i grandi patrimoni, le ricchezze e i profitti derivanti dell’evasione non siano stati toccati. La risposta, ovviamente, è retorica e scontata. A questo governo non interessa il bene comune ma il mantenimento delle caste, dei privilegi e delle cricche. Clamorosa è, infine, la questione che riguarda l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne. Ci si ostina a sostenere che su questo fronte non siamo in linea con l’Europa e che in tutti gli altri Paesi le donne vanno in pensione molto più tardi. Non c’è niente di più falso. In Germania, ad esempio, si è deciso di portare l’età di vecchiaia prima a 65 e poi a 67 anni entro il 2029. In Italia, sommando l’adeguamento alla speranza di vita con l’anno di differimento della decorrenza, la soglia dei 67 anni sarà raggiunta molto prima. Il problema reale è piuttosto l’adeguamento del reddito da pensione tra uomini e donne, visto che su scala nazionale queste ultime percepiscono in media la metà dei primi. Questi elementi bastano, quindi, a spiegare la necessità delle pensionate e dei pensionati di essere nuovamente in piazza. Il governo che negava la crisi fino allo strenuo delle sue forze ha messo pesantemente le mani nelle loro tasche per provare a tappare le tante falle che ha creato. Ma gravissimi sono anche gli attacchi perpetrati ai danni dei lavoratori dipendenti con la cancellazione di norme e leggi che hanno fatto la storia del diritto del lavoro e che sono stati il frutto di anni e anni di lotte del movimento operaio e sindacale. Vergognoso è l’atteggiamento nei confronti di chi lavora nella pubblica amministrazione, nelle scuole e nelle università cosìcome la totale assenza di politiche giovanili. È proprio per le nuove generazioni che dobbiamo assumerci la responsabilità di proporre al Paese un radicale cambio di rotta. È a loro che chiediamo di continuare nelle proteste – pacifiche e a volto scoperto – e nelle rivendicazioni che stanno portando per le strade di tutte le città d’Italia. Ci piacerebbe averli con noi il 28 in piazza in un’unione ideale tra generazioni, tra chi deve combattere oggi per avere una pensione dignitosa e chi invece lotta per costruirsi un domani migliore.❖
L’Unità 19.10.11