attualità, economia

"Diventare poveri è ora la prima paura degli italiani", di Carlo Buttaroni

Cittadini in ansia per il timore di perdere il lavoro. Famiglie che intaccano i propri risparmi. Anche se il governo ha negato a lungo la crisi, stanno cambiando gli stili di vita. E torna la voglia di usare lo strumento della politica. Preoccupati per il futuro, in ansia per il lavoro. Un italiano su tre, nell’ultimo anno ha intaccato i propri risparmi e uno su quattro ha dovuto far ricorso a un prestito per andare avanti. Gli italiani scoprono la crisi, modificando abitudini d’acquisto, stili di vita, prospettive. Si direbbe che, dopo averlo a lungo evocato,come per allontanarlo, l’anno zero è veramente arrivato. E con sé ha portato il sentore di una catastrofe imminente, l’ansia di non riuscire a farcela, l’affanno di un futuro dai confini indistinti che trascina dentro un’atmosfera vischiosa. Eppure, a lungo, il Presidente del Consiglio ha negato la crisi, poi l’ha ridimensionata, infine l’ha sottovalutata nella sua drammaticità.
E mentre l’Europa mandavasegnali preoccupati e preoccupanti la regola dell’esecutivo era ridimensionare, sminuire, negare. Di fronte alla drammaticità dei fatti Berlusconi si è più volte giustificato dicendo che tutto è precipitato negli ultimi mesi. In realtà tutto è precipitato con il crac dei mutui subprime, con la crisi finanziaria che ha messo alle corde l’economia del pianeta, con l’implosione della produzione e l’avvitarsi della spirale recessiva, con il calo dei consumi, con il crac del debito irlandese e greco, con l’aumento della disoccupazione, con la chiusura delle fabbriche e con altri drammatici segnali, invisibili solo a chi non voleva ve-
dere. Non avevamo e non abbiamo i mezzi economici per far fronte alla crisi di sistema che attraversa i Paesi industrializzati. Siamo più deboli perché i nostri conti non sono in ordine. Abbiamo un debito pubblico che sfiora i 2 mila miliardi di euro e a ogni bambino che nasce consegniamo una cambiale di 31 mila euro di debiti contratti dalle generazioni precedenti. La nostra economia è fragile e provata, i consumi al minimo. Abbiamo una fascia di povertà sem- pre più ampia che trascina un italiano su dieci nel baratro dell’indigenza. Eppure, a lungo, tutto è stato sottaciuto, con un misto di arroganza e imperizia che sconcerta. Ancora tre mesi fa, nonostante gli appelli di Napolitano, dell’Europa e dei mercati, il Governo ha giocato al
minimo, con una finanziaria a babbo morto, quasi tutta a carico degli enti locali e del Governo che verrà. Alla pressione dei mercati ha poi risposto con una finanziaria a tappe, i cui saldi economici sono tra le pieghe di emendamenti, disposizioni, calendari prossimi venturi,buone intenzioni che dovrebbero rovesciare cattive pratiche. E adesso, di nuovo, s’ipotizzano altre correzioni di rotta con condoni che entrano ed escono, provvedimenti improbabili e ancora
altre buone intenzioni. Troppo poco e troppo tardi per placare la fame di quel mostro divora-vite che è diventata la finanza senza regole del mondo globalizzato. Serviva altro, ma occorreva coraggio,come chiedeva il Presidente del- la Repubblica. Serviva una manovra
che mettesse a riparo le fasce sociali più deboli andando a incidere sui redditi elevati e sui furbi che abitano il nostro Paese. Bisognava trovare le risorse negli enormi accumuli di capitale immobilizzato per rimetterlo nel sistema Italia, avviando un processo virtuoso. Però bisognava fare pace con due parole, tasse e progressività. Cioè: chi ha di più paga di più, anche per chi ha poco o nulla.
Nel frattempo la crisi economica e l’incertezza della politica sono diventate nutrimento di nuovi fantasmi e nuove paure: quella di perdere o di non trovare lavoro, di essere trascinati nell’oblio di una povertà da cui poi è impossibile uscirne, l’incubo di vivere l’alba di un futuro dove pochissimi parlano di opportunità e molti di minacce.
Ma proprio dall’affanno di vivere un peso così poco sostenibile, affiora il sentimento per un cambio di prospettiva, verso un ordine di valori e di riferimenti che scandisce il tempo di qualcosa che non è ancora un progetto ma sembra assomigliargli molto. Cresce la domanda di un nuovo patto che faccia tornare l’economia a favore dell’uomo, visto come fine e non più solo come uno strumento.
Vi è una parte importante della società che esprime un’ansia di rinnovamento e riscopre il valore del bene comune, dell’etica pubblica, della convivenza solidale, della condivisione del futuro. Una comunità che, però, ha bisogno di strumenti reali per creare le idee, per cercare nuovi luoghi dove ritrovarsi, inventare, produrre.
Anche se inespresso, o sottaciuto, o sussurrato, si sente il bisogno di una politica che sappia progettare e ricoprirsi agenzia di senso e di orientamento. E ciò è necessario proprio oggi, nel momento in cui il regno della finanza volge al termine.
Ma il sistema politico appare sempre più avvitato su se stesso, incapace di autoriformarsi per rispondere alle nuove sfide. E così facendo si allontana sempre più dalla società, proprio mentre quest’ultima si avvicina sempre più alla politica.

L’Unità 17.10.11

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“FAMIGLIE IN DIFFICOLTÀ: IL BLUFF DEL GOVERNO SULLO SVILUPPO”. di Antonio Lirosi

I consumi ad un livello inferiore a quello dell’anno 2000 in 17 regioni e le famiglie medie che hanno visto ridursi di 10 mila euro il loro reddito spendibile dal 2008 ad oggi. Sono le pesanti conclusioni delle recenti indagini dell’Ufficio Studi di Confcommercio. Quando in un Paese come l’Italia si arriva a registrare uncalo rilevante delle vendite dei beni di consumo, finanche quelli alimentari e, per la prima volta dopo decenni, anche di quelle operate in strutture della grande distribuzione, vuol dire che la crisi dei consumi è talmente profonda, diffusa e con caratteristiche strutturali, da mettere a rischio di chiusura migliaia di esercizi commerciali, compresi gli ipermercati. E nulla fa sperare per il futuro a breve, se si considera che le ultime rilevazioni dell’Istat ci consegnano un peggioramento, sia della fiducia dei consumatori che dell’inflazione, che ormai sta superando i livelli record del 2008.
La decisione di incrementare al 21%l’aliquota Iva ha rappresentato una sorta di ciliegina sulla torta amara confezionata dal governo per deprimere i consumi. Finora da questo governo non è arrivato nessun intervento efficace per dare linfa vitale al debole mercato interno, senza il cui rilancio non ci potrà essere una soddisfacente ripresa del Pil.
E quanto sarebbero stati oggi utili per redistribuire il carico fiscale a favore dei redditi medio-bassi, di lavoro e delle piccole imprese, i troppi miliardi di euro sprecati con i primi provvedimenti governativi decisi per accollarsi i debiti di Alitalia, per l’azzeramento dell’Ici sulle prime case e infine per la detassazione degli straordinari, il cui annuncio da parte della Marcegaglia, in diretta con l’approvazione a Palazzo Chigi, venne accolto il 22 maggio 2008 con un forte applauso nel corso dell’assemblea d Confindustria?
Dal 2008 fino alle due pesantissime manovre sui conti pubblici dell’estate appena trascorsa, entrambi di segno drammaticamente depressivo per la domanda interna, passando per le leggi di stabilità finanziarie, il Parlamento è stato inutilmente tenuto impegnato dal governo nell’esame di numerosi decreti-legge (omnibus; mille proroghe; sviluppo), sempre approvati a colpi di fiducia, ma poi rivelatesi del tutto influenti sull’economia reale.
Il rischio di un nuovo bluff è purtroppo dietro l’angolo. Berlusconi, Tremonti, Sacconi, Brunetta, Calderolitengono occupata la scena sui media alimentando le attese per un taumaturgico e ritardato provvedimento, per nascondere contrasti e mancanza di idee e risorse. Allora viene da chiedersi come mai commentatori e alcune forze sociali e imprenditoriali continuano a crederci, visti i precedenti fin troppo presto dimenticati.

L’Unità 17.10.11