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"La paralisi su Bankitalia", di Massimo Giannini

C´è un´indecenza pubblica, che più di ogni altra fotografa la crisi politica e la totale paralisi del governo Berlusconi e che rende bugiarda la risposta fornita alla Camera dal presidente del Consiglio all´urgenza di «governabilità» sollecitata mercoledì scorso dal presidente della Repubblica. La nomina del successore di Mario Draghi alla guida della Banca d´Italia. Una “pratica” che ormai da quasi quattro mesi marcisce e rimbalza inutilmente, dal tavolo di Palazzo Grazioli a quello di Via XX Settembre. Senza che il premier sappia assumersi la responsabilità di una decisione.
«Signor presidente, lei ha ragione. So bene che la nomina è urgente. Ma l´impuntatura di Tremonti si sta trasformando in una vera e propria interdizione…». Venerdì pomeriggio, salito al Colle tre ore dopo aver incassato la “fiducia mutilata”, il Cavaliere ha spiegato in questi termini lo “stallo” sulla scelta del prossimo governatore. Di fronte a lui, un costernato Giorgio Napolitano gli ha ribadito quello che va dicendo ormai da quasi quattro mesi: questa incertezza «nuoce alle istituzioni, alle persone e anche al Paese. La decisione spetta innanzitutto a lei. Rammenta la lettera che le ho scritto a giugno…». La sollecitazione del Capo dello Stato, al momento, non ha prodotto risultati. Il premier ha preso tempo, lumeggiando addirittura l´ipotesi di un interim all´attuale direttore generale dell´Istituto, che il presidente della Repubblica ha stroncato subito: nessun interim. «Ne va della credibilità dell´Italia». Ma nonostante la “moral suasion” del Quirinale, l´incontro si è chiuso con un nuovo nulla di fatto.
Il tempo stringe. Dal prossimo 1 novembre Draghi traslocherà all´Eurotower di Francoforte. E la Banca d´Italia, la più importante istituzione repubblicana nel campo dell´economia, ancora non sa chi sarà il suo prossimo governatore. Le posizioni in campo sono ormai note. A Palazzo Koch la «tecnostruttura» sollecita una scelta «interna» che conservi l´autonomia dell´Istituto, e che dunque ruota naturalmente intorno al nome di Fabrizio Saccomanni, nato e cresciuto in Via Nazionale e dunque assoluto garante della sua indipendenza dalla politica. A Via XX Settembre, viceversa, il superministro dell´Economia si impunta sul suo candidato «esterno» Vittorio Grilli, l´attuale direttore generale del Tesoro, funzionale alla trasformazione della Banca d´Italia in quell´”organo ausiliario del governo” che lo stesso ministro auspica da tempo. Il tira e molla va avanti da giugno, in un turbine di voci e illazioni, veti e veleni. Il risultato è disastroso. La Banca d´Italia finisce, suo malgrado, nel tritacarne della politica di sottogoverno. La nomina del governatore diventa come la nomina del direttore generale della Rai. Via Nazionale viene ridotta come Viale Mazzini. Un banchiere centrale del calibro di Saccomanni è costretto ai ridicoli esami di “milanesità” imposti dalla follia populista di Bossi. Un civil servant del valore di Grilli è obbligato a difendersi dal sospetto di essere un “normalizzatore” marchiato a fuoco dalla politica.
L´indiscrezione di queste ultime ore è che, per uscire dallo “stallo” e dalla tenaglia di Draghi che preme per Saccomanni e di Tremonti che non molla su Grilli, il premier starebbe riprendendo in considerazione l´ipotesi del “terzo uomo”. E il candidato sarebbe Lorenzo Bini Smaghi. Il membro italiano nel board della Bce è caduto in disgrazia, dopo aver rifiutato di dimettersi dal suo incarico all´indomani della nomina di Draghi all´Eurotower e aver creato un caso diplomatico con il presidente Sarkozy, che reclama quella poltrona per un francese. Venerdì scorso il Cavaliere ha convocato Bini Smaghi a Palazzo Grazioli. Chi gli ha parlato, riferisce che il “terzo uomo”, ancora amareggiato per come le cancellerie e i media hanno raccontato prima dell´estate la sua “battaglia per l´indipendenza del banchiere centrale”, continui a ribadire che la sua «non è una candidatura politica. Io non ho ‘padrini´, ho solo la mia storia e il mio curriculum, che dimostra tra l´altro che sono l´unico candidato dello stesso livello di Draghi».
Ma fonti autorevoli riferiscono che ora per il “terzo uomo” qualche spiraglio si potrebbe riaprire. Secondo un´esegesi filo-francese, se scegliesse lui per la Banca d´Italia Berlusconi (oltre a far finire in pareggio la partita tra Draghi e Tremonti) farebbe un favore a Sarkozy. Secondo un´esegesi anti-tedesca, se Berlusconi trasferisse Bini Smaghi a Via Nazionale, il nuovo governatore potrebbe arginare il ricostituito asse Merkel-Sarkozy nel consiglio direttivo della Bce, e al tempo stesso bilanciare il ruolo di Draghi, che soprattutto nella prima fase del suo mandato a Francoforte dovrà dimostrare di essere “più tedesco dei tedeschi”. C´è chi dice che Bini Smaghi, nel suo colloquio riservato con Berlusconi, gli abbia esposto proprio queste diverse “opportunità”. Ma sono ragionamenti di tipo puramente “tattico”. Qui non si tratta di fare favori a una cancelleria o a una persona. Si tratta, viceversa, di fare una scelta che assicuri l´indipendenza, il prestigio e la continuità nella gestione della Banca. Per questo, anche l´ipotesi del “terzo uomo”, presenta molte incognite. Non ultima, la possibilità che, se fosse nominato un esterno (compreso Bini Smaghi), il direttorio di Via Nazionale potrebbe persino rassegnare le dimissioni in blocco.
In ogni caso il premier ha preso nota. Ma ancora una volta non ha promesso né deciso nulla. Siamo al vuoto decisionale. Questo, soprattutto, inquieta Napolitano. Il presidente non è mai intervenuto e non interviene nella diatriba sui nomi. Di certo, ha a cuore l´autorevolezza e l´autonomia della Banca d´Italia. Di certo, non ha apprezzato il “danno d´immagine” causato all´Italia dalla “resistenza” di Bini Smaghi.
Il primo incontro tra il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio risale al 22 giugno. Alla vigilia della designazione ufficiale di Draghi alla Bce, che viene formalizzata due giorni dopo, Napolitano avverte il premier: ha cominciato a pensare alla successione in Banca d´Italia? Tocca a lui fare il primo passo. Berlusconi glissa: «Presidente, abbiamo ancora tanto tempo».
Deluso, il Capo dello Stato compie un primo passo istituzionale. Il 27 giugno scrive una lettera a Berlusconi (la stessa che gli ha ricordato nel colloquio di venerdì scorso): «Illustre signor presidente del Consiglio dei ministri, come Lei sa, l´articolo 19, comma 8 della legge 28 dicembre 2005, relativa a “Disposizioni per la tutela del risparmio”, fissa una procedura ben precisa per la nomina del governatore della Banca d´Italia». La nomina, secondo la legge, «è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d´Italia». Napolitano ricorda a Berlusconi che la nomina del governatore è dunque “un atto complesso”, ma che ruota intorno al «potere di proposta del presidente del Consiglio». Spetta a lui mettere in moto il meccanismo. Il presidente della Repubblica interviene “in concorso”, con una decisione che deve avere «il più ampio consenso dei soggetti istituzionali indicati dalla legge». E quella decisione, auspica il Capo dello Stato, deve essere presa «in tempi brevi», per evitare polemiche e indiscrezioni.
Napolitano sa che il gioco al massacro può cominciare da un momento all´altro. E infatti il gioco al massacro comincia. Tremonti rivela a Repubblica che il governo ha già deciso: il nuovo governatore sarà Grilli. Scoppia il putiferio. L´opposizione insorge, qualche ministro già indignato per lo strapotere di Tremonti storce il naso, la Banca d´Italia e Draghi si allarmano. Il 30 giugno il Capo dello Stato è costretto a diramare un comunicato ufficiale, in cui invoca «un clima di discrezione e rispetto attorno ai nomi», condanna «forzature politiche e contrapposizioni personali». Ma quello del Quirinale, purtroppo, è inchiostro sprecato. Da quel momento in poi, il toto-nomine su Palazzo Koch impazza, e la politica come sempre dà il peggio di sé, spargendo tossine e veline intorno a Via Nazionale. Berlusconi non fa nulla per impedirlo. Sale al Colle altre quattro volte, durante l´estate. Il 18 luglio e il 27 luglio si parla di manovra e giustizia, ma il premier non dice una parola su Bankitalia. Il 28 luglio e il 2 agosto Napolitano riceve Draghi per fare il punto della situazione, e per discutere sulla crisi finanziaria. Il filo diretto tra Quirinale e Palazzo Koch produce il “commissariamento” del governo sulla manovra d´emergenza.
Il premier torna sul Colle l´11 agosto e il 14 settembre: parla della manovra d´emergenza, ma non dice una parola sulla successione a Draghi. Il 16 settembre, tuttavia, sembra profilarsi una svolta: Berlusconi riceve Saccomanni a Palazzo Grazioli. «Incontro lungo e molto cordiale», racconta il direttore generale di Via Nazionale. Sembra fatta. C´è un Consiglio Superiore della Banca già convocato per il 28 settembre: basta la lettera del premier, con la proposta del nome, e il gioco è fatto. Napolitano sembra sollevato. Mercoledì 21 settembre torna a ricevere Berlusconi al Colle, subito dopo il downgrading del debito italiano deciso da S&P. Stavolta è Napolitano che lo incalza: «Allora, ha deciso qualcosa sulla Banca d´Italia?». Va in scena una farsa pilatesca: il premier farfuglia: «Presidente, la scelta è difficile. Grilli lo conosco bene. Saccomanni l´ho incontrato cinque giorni fa: sono tutti e due così bravi…». Il Capo dello Stato è stupefatto. Torna a ripetere: «La scelta spetta a lei. Non si può più rinviare».
E invece si rimanda. Il 27 settembre il Cavaliere convoca Tremonti a Palazzo Grazioli. Un “duello” lungo due ore, dal quale Berlusconi esce sfinito. «Non c´è niente da fare. Giulio non si convince a dare via libera a Saccomanni. Per lui è diventata una questione di vita o di morte». Stretto in una morsa, il Cavaliere non sa che fare. Salvo ripetere, dopo l´ultimo consulto sul Colle di venerdì scorso, un´assurda formula dorotea: «Esistono persistenti difficoltà nella scelta». Il 24 ottobre è convocata una nuova seduta del Consiglio superiore di Palazzo Koch. È l´ultima occasione utile, per chiudere questa tragicommedia, dannosa per la Banca d´Italia e penosa per l´Italia.

La Repubblica 17.10.11