Si può calcolare che in Italia la crescita del Pil legata allo sviluppo della banda larga possa arrivare all´1,5-2%. Mentre il governo italiano distoglieva dalla Finanziaria gli 800 milioni di euro destinati allo sviluppo della banda larga, per dirottarli al fondo per gli “interventi urgenti” di vari ministeri, proprio ieri la Banca mondiale comunicava che l´aumento di ogni dieci punti del broadband accelera la crescita economica dell´1,38%. E a supporto di questa stima, citava i dati più recenti diffusi da McKinsey secondo cui la penetrazione della banda larga tra le famiglie favorisce un aumento del Pil tra lo 0,1 e l´1,4%.
È esattamente quanto aveva anticipato già tre anni fa il presidente dell´Autorità di garanzia sulle Comunicazioni, Corrado Calabrò, nella sua Relazione annuale al Parlamento. Dov´era, allora, il presidente del Consiglio? In quali feste o festini era affaccendato? E dov´era, di che cosa si occupava, il nostro ineffabile ministro dell´Economia?
La “banda larga” non è, come forse pensano a palazzo Chigi e dintorni, un complesso musicale né un gruppo organizzato di ladri e malfattori. È la più moderna ed efficiente infrastruttura di cui può dotarsi un Paese, aumentando la velocità e la “portata” di trasmissione on line, per alimentare così l´economia nazionale. Tant´è che – come ha ricordato qualche giorno fa il presidente Fini, in un videointervento al Forum Iab – la cosiddetta “Internet economy” rappresenta già il 2% del Pil e il 34% delle imprese che hanno adottato il broadband sono riuscite a incrementare il numero degli occupati.
Per comprenderne più precisamente la funzione e l´importanza, basta consultare Wikipedia, la libera enciclopedia della Rete: “La diffusione della banda larga è considerata un fattore di crescita economica e occupazionale di un Paese in quanto in grado di ridurre il cosiddetto digital divide”. E ancora: “Una velocità minima di connessione è un requisito tecnico irrinunciabile per la diffusione di alcuni servizi quali: telelavoro, telemedicina, Iptv, teleconferenza, videochiamata, l´avvio di un´attività a distanza”. Secondo Wikipedia, insomma, “la disponibilità di una connessione a banda larga è praticamente indispensabile in qualunque sede di lavoro che richieda un´interazione via Internet con l´esterno”.
Aveva ragione in questo caso il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, a protestare per il taglio. Ma poi anche lui – come la sua collega dell´Ambiente, Stefania Prestigiacomo – ha dovuto arrendersi al diktat del superministro Tremonti, accontentandosi di qualche vaga e generica assicurazione.
Non c´è sviluppo – invece – senza banda larga, né in Italia né altrove. E gli 800 milioni di euro, ricavati peraltro dall´asta sulle frequenze digitali, sarebbero stati appena sufficienti per avviare un piano nazionale che avrebbe potuto favorire in particolare la crescita del Mezzogiorno, ancora arretrato sul piano delle strutture e dei collegamenti, e quindi dell´intero Paese.
Gli orientamenti della Commissione europea in materia di gare pubbliche sono chiari: i proventi devono essere impiegati solo per la riduzione dei saldi correnti o appunto per le telecomunicazioni. E perciò una destinazione di questi fondi ad altri scopi, come la Scuola o la Difesa, potrebbe anche provocare un ricorso degli operatori mobili alla Corte di Giustizia. La stessa Agcom, del resto, s´era espressa in questo senso con una segnalazione inviata al governo e al Parlamento il 7 settembre scorso, meritandosi l´apprezzamento della Federazione editori giornali che sollecita risorse per la banda larga e per i contenuti di qualità sulla Rete.
Non è una questione soltanto tecnica o economica. Se è vero che nell´era della comunicazione globale il futuro della nostra società dipende da Internet, con tutto il suo potenziale di interattività e multimedialità, blog e social network, la banda larga – o magari ultra-larga – rappresenta la condizione essenziale della crescita e dello sviluppo. E naturalmente, anche della vita democratica.
La Repubblica 15.10.11