attualità, lavoro

"Una generazione abbandonata. La vera priorità è recuperarla", di Bruno Ugolini

C’è qualcosa di stupefacente nelle parole (e nel le mancate scelte) del governo in carica. Mentre l’Italia rischia di precipitare nella bancarotta ci si ostina a non dire la verità al Paese, a diffondere ventate di ottimismo rassicurante. È successo nelle ultime ore quando il ministro del welfare, Maurizio Sacconi, commentava, come un’importante notizia positiva, gli ultimi dati forniti dall’Istat sull’andamento dell’occupazione. C’è da rimanere trasecolati visto che quelle cifre gridavano, ad esempio, di una crescente emergenza precari. Il tasso di disoccupazione giovanile, secondo i dati in questo caso avvalora- ti dall’Eurostat, è tornato ad aumentare passando dal 27,5% al 27,6%. Lo stesso lieve aumento del numero dei lavoratori occupati che tanto esaltava il ministro (uno 0,8% pari a 191 mila unità dall’agosto 2010) era dovuto al fatto che la stragrande maggioranza dei nuovi ingressi nel mondo del lavoro era data da 106 mila nuovi rapporti precari. Il posto fisso e una certa sicurezza di poter godere di diritti e tutele, sono diventati una chimera. Il centrodestra emana decreti per distruggere lo Statuto dei lavoratori (l’articolo 8 appena emanato ) mentre alimenta la possibilità di reclutare con circa 40 possibili modi diversi, a basso prezzo e senza alcun Statuto, centinaia di migliaia di giovani (sei milioni e mezzo secondo lo studioso Luciano Gallino). C’è in questa fotografia che racconta di una generazione lasciata allo sbando, un particolare ancora più inquietante che riguarda il mezzogiorno d’Italia. Qui il tasso di inattività dei giovani dai 15 ai 24 anni sale infatti dal 71,6% del terzo trimestre del2010 al 73,8 per cento. Mentre lo Svimez considera l’industria meridionale a rischio di estinzione. Nelle aziende manifatturiere del Sud si concentra il 60% delle perdite di lavoro determinate dalla crisi. Dei 533mila posti di lavoro persi in Italia tra il 2008 e il 2010, ben 281mila sono nel Mezzogiorno. E così riprende la fuga, quella conosciuta in altre epoche: negli ultimi dieci anni (2000-2009) dal Sud sono emigrati 600 mila lavoratori. E lo Svimez prevede che nei prossimi vent’anni, quasi un giovane su quattro lascerà quei territori. Ecco perché lascia sbalorditi la cantilena facilona del governo. Sarebbe necessario correre ai ripari, dare davvero prime risposte alle richieste per misure atte a favorire una ripresa produttiva, ad arrestare il ricorso al precariato. Cioè a forme di lavoro che non aiutano lo sviluppo, frantumano la coesione sociale, producono disperazioni e ribellismi prima o poi destinati a scoppiare. I sindacati attorno al tema dell’emergenza precari hanno fatto poco. Un po’ per la difficoltà nel rintracciare, organizzare, rappresenta-re donne e uomini che spesso lavorano in solitudine e spesso non cercano un rapporto con le organizzazioni presenti nel mondo del lavoro. Un po’ perché si è presi dai problemi quotidiani che coinvolgono moltitudini di presunti «posti fissi». La stessa Cgil ha faticato e fatica a organizzare iniziative pur lodevoli come quelle dei «giovani non più disposti a tutto». Ha pesato nel cuore del sindacato, come ha rammentato ieri la stessa Susanna Camusso, una linea tesa a inseguire un’ipotesi di abolizione immediata della legge 30 (quella che ha moltiplicato le forme contrattuali) voluta dal centrodestra. Sono stati disdegna- ti obiettivi anche parziali ma inseriti in un disegno di stabilità , come aveva cercato di costruire il governo Prodi, soprattutto attraverso l’operato del ministro del Lavoro Damiano. Ora l’importante è riprendere l’impegno ponendo al centro delle manifestazioni e delle iniziative che si annunciano non solo la condizione di chi ha un lavoro ma che rischia di vederlo scomparire oppure di chi vede minacciati i propri diritti. Occorre mettere in primo piano anche la condizione ancor più drammatica del popolo dei precari, quella che abbiamo visto ieri sera così drammaticamente rap- presentata nella trasmissione «Presa Diretta» a cura di Riccardo Iacona su Rai 3. È una lotta che negli ultimi tempi ha acquisito crescenti consensi. È possibile citare le parole (purtroppo non inserite nella famosa lettera segreta della Bce) di Mario Draghi. Aveva sostenuto il Governatore della Banca d’Italia che senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari, «si indebolisce l’accumulazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità». Così come sarebbe necessario rievocare il messaggio spedito di recente ad Ancona da Papa Benedetto XVI, allorché incitava a superare «l’incertezza del precariato e il problema della disoccupazione».Con l’avvertenza della necessità di un nuovo modello di sviluppo capace di porre al centro l’uomo, soprattutto chi ha meno, chi è disagiato. Sono prese di posizioni, appelli, inviti che dovrebbero far riflettere. Anche il popolo dei precari rischia di essere attratto dalle sirene dell’antipolitica. E non ha i mezzi necessari per comprare intere pagine di giornali onde far sentire la propria voce, le proprie proposte. ❖

L’Unità 03.10.11

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«Precari, abbiamo sbagliato tutti È ora di dare loro un contratto», di Giulia Gentile

«È chiaro che abbiamo sbagliato qualcosa, se gran parte del lavoro oggi è precario. Per anni l’obietti vo del sindacato è stato abolire la legge 30 del 2003. Invece, forse, avremmo dovuto pensare a contrattualizzare chi aveva una forma di lavoro flessibile. Abbiamo pensato: risponderemo loro quando cancelleremo la legge. Ma intanto il tempo è passato, i precari sono aumentati, e non si è fatto che dare risposta ai soliti».
Fa autocritica sulle politiche messe in campo dai sindacati per tutelare gli «atipici». E ammette che, se il futuro delle donne nel nostro Paese deve passa re attraverso un «rigoroso cambio di linguaggio», il numero uno del sindacato italiano più «pesante», la Cgil, può essere chiamato «se gretaria generale». Davanti ad una platea di almeno duemila persone che alle due di pomeriggio sfidano un sole quasi agostano, Susanna Camusso, invitata a Ferrara per l’ultima giornata del festival di Internazionale, risponde alle domande dei corrispondenti di Libération, ElMundoe Tageszeitung sulla «generazione mille euro» che in Italia raggiunge vette pari a due milioni e mezzo di (ormai ex) giovani.
Sul maxischermo montato sul palco di piazza Municipio scorrono i volti di ragazzi intervistati nei giorni del festival, che ragionano sulla propria condizione di lavoro. E quando viene chiesto loro cosa direbbero alla segretaria generale della Cgil, rispondono: «Anche gli atipici devono rientrare nella contrattazione». Mentre una ricerc trice trentanovenne sorride alla telecamera e chiede: «Noi donne dobbiamo cambiare sesso?».A trasformare l’Italia in un Paese da dove i cervelli fuggono, e che Eric Joz sef di Libération definisce «quello con il tasso di precarizzazione più alto d’Europa», per Camusso ha contribuito un «atteggiamento culturale nei confronti di istruzione e scuola che ha trovato il suo esecuto re materiale nella ministra Maria Stella Gelmini». Ma se siamo arrivati ad un mercato fatto di «quarantasei tipi diversi di rapporti di lavoro, che significa non avere di fatto un rapporto di lavoro ma un menù alla carta», le responsabilità vanno rintracciate anche negli «errori di politica e sindacati». «Abbiamo pensato che quello dei contratti a termine, e dei co.co. co. fosse un fenomeno marginale e facilmente riassorbibile ragiona la segretaria -. Invece, purtroppo, questa è diventata la condizione di vita prevalente per un’intera generazione».
Che fare allora per rispondere ai tanti sms inviati dal pubblico ad un numero ad hoc, che chiedono a Susanna Camusso di potersi lasciare alle spalle anni di precarietà? «A 35 anni ho messo da parte l’idea di fare un figlio scrive, ad esempio, una ragazza -: posso sperare che almeno il mio fratello minore vivrà in una situazione migliore?». Mentre un altro messaggio propone «un salario orario minimo, per evitare di lavorare tutto il giorno tutti i giorni per 600 euro al mese». Il «salario minimo garantito non risolve il problema ragiona Camusso -: perché le norme per il riconoscimento e la retribuzione delle mansioni ci sono». Ma vengono sistematicamente bypassate. Occorre, allora, «cambiare le leggi». E, contemporaneamente, «lavorare alla contrattualizzazione dei precari, rendere i precari visi bili. E lottare perché non si assottigli ancora la loro possibilità di difendersi».
«MANIFESTO» E DINTORNI Susanna Camusso sull’oggi vede cose buone e cose meno buone. Non risparmia una stoccata al governo Berlusconi («manca l’interlocutore con cui fare un “patto sociale”. E questo, di interlocutore, prima se ne va e meglio è»). Sul «Manifesto» del le imprese guarda la parte del bicchiere mezzo pieno: «Occorre distinguere il valore simbolico dei gesti, che sono coerenti con il messaggio di discontinuità che in questi giorni viene da tutti i soggetti sociali, dai contenuti». Nel merito comunque la Confindustria «non è sufficiente mente coraggiosa sul tema dell’imposta patrimoniale», e propone soluzioni alla crisi «ancora troppo permeate da una logica» che in realtà la crisi se l’è portata con sé. A partire dall’idea di una «costante riduzione del perimetro dello Stato a scapito dei servizi» e dalla perenne richiesta di «innalzamento dell’età pensiona bile, quando poi negli ultimi anni le imprese non hanno fatto che sollecitare incentivi al pensionamento». Infine, Della Valle. Per Camusso «parte dal presupposto sbagliato che tutti i politici siano uguali, e che tutta la responsabilità della situazione sia della politica». «Invece aggiunge anche la classe dirigente di questo Paese ha le sue responsabili tà, come nel caso della finanziarizzazione dell’industria». «La logica dell’ antipolitica è preoccupante, perché rappresenta un terribile viatico all’ avventura autoritaria», conclude la segreteria Cgil

L’Unità 03.10.11