attualità, politica italiana

"La Repubblica del Presidente", di Ilvo Diamanti

Giorgio Napolitano non era mai stato così duro nei confronti della Lega Nord, prima. Ne aveva, anzi, sostenuto le rivendicazioni principali. In tema di federalismo ma anche di fisco e burocrazia. La Lega, d´altra parte, aveva offerto al Presidente una sponda utile, nella maggioranza, in occasione dei ricorrenti conflitti con il Premier, alla continua ricerca di vie di fuga dai propri guai giudiziari.
Ieri questo rapporto si è spezzato, in modo difficilmente recuperabile. Perché la condanna di Napolitano ha colpito i miti e i riti dell´identità leghista, proprio nel momento in cui vengono rilanciati. La secessione, ma, soprattutto, il “popolo padano”. Liquidato insieme alla manifestazione di Pontida. Un “prato”, dove si alzano le grida di “una certa parte di elettori”.
Un intervento così esplicito si spiega con il drammatico momento che attraversa il Paese. E con il ruolo assunto da Napolitano, soprattutto nell´ultimo anno. Il garante e il portabandiera – tricolore – dell´Unità. Nazionale e Politica.
Non molti avrebbero scommesso sul successo delle celebrazioni in occasione del 150enario dell´Unità d´Italia. D´altronde, l´Italia è un Paese di paesi, Regioni, città. Imprese e famiglie. Gli italiani. Orgogliosi del patrimonio artistico, della cucina, del paesaggio, delle tradizioni locali. Molto meno delle istituzioni. Per nulla della politica. La Lega ne aveva approfittato per rilanciare la Padania e la secessione. I miti fondativi. Ma anche per rispondere alla disaffezione degli elettori e dei militanti. Insoddisfatti della “Lega di governo” saldamente insediata a Roma. Delusi dagli esiti della riforma federalista, frustrata dalla pesante perdita di risorse e, quindi, di autonomia dei governi locali.
Tuttavia, le celebrazioni del 150enario hanno reso visibile e, anzi, amplificato il sentimento nazionale. Mentre le minacce leghiste hanno contribuito a rinsaldarlo ulteriormente. Facendo emergere, anzi, significative divisioni nella stessa Lega. Visto che la maggioranza dei suoi elettori si sente “italiana” assai più che “padana”. Come, d´altra parte, alcuni importanti dirigenti leghisti del Lombardo-Veneto. Per esempio: il sindaco di Verona, Tosi, e il vice-sindaco di Treviso, Gentilini.
Giorgio Napolitano ha, così, impersonato l´Unità nazionale e ne ha alimentato il sentimento, girando per l´Italia. Ne ha tratto, a sua volta, legittimazione e consenso. Oggi è la figura istituzionale che gode di maggiore fiducia tra gli italiani. Senza paragone, visto che oltre l´80% esprime grande stima nei suoi riguardi. Per questo ha deciso di rompere ogni indugio e ogni prudenza tattica. Proprio oggi. Mentre le celebrazioni del 150enario si avviano alla conclusione. Per delegittimare ogni accenno alla secessione e alla Padania. E sancire il valore condiviso dell´Unità nazionale, in modo indiscutibile. Tuttavia, l´intervento di Napolitano ha, indubbiamente, anche un significato politico.
In primo luogo, come ha scritto ieri Ezio Mauro, perché costringe la Lega a uscire dall´ambiguità. Un partito di governo, che occupa ruoli di prioritaria importanza nelle istituzioni nazionali e locali: non può sostenere apertamente la secessione. L´inesistenza della Nazione italiana, in nome di altre Nazioni – inesistenti. Per proprie ragioni politiche. Deve, altrimenti, trarne le conseguenze. “Uscire dalla legalità costituzionale”. E anzitutto dal governo.
In secondo luogo, l´intervento di Napolitano riflette la preoccupazione – e una certa angoscia – nei confronti di questa crisi. Economica, finanziaria, sociale. E, ancora: istituzionale e politica. Una crisi di legittimità e di rappresentanza, che investe la classe politica e soprattutto il governo.
Con pesanti e pericolose conseguenze, sul piano economico e finanziario internazionale. Visto che la sfiducia dei mercati è, in gran parte, prodotta dalla incredibilità del nostro governo e del suo leader. Con pesanti e pericolose conseguenze anche sul piano interno, nel rapporto con la società civile. Non è un caso che l´intervento di Napolitano venga all´indomani delle aperte critiche espresse dalle associazioni imprenditoriali e dalla Cei. Nello stesso giorno in cui i promotori del referendum contro l´attuale sistema elettorale annunciavano che le firme avevano superato un milione e duecentomila. Ben oltre le previsioni più ottimistiche. Segnale inequivocabile, come ha sottolineato il Presidente, della sfiducia dei cittadini verso questo sistema elettorale, che «produce» un Parlamento e una classe politica «irresponsabili». Senza collegamento con il territorio e con gli elettori. Da ciò l´auspicio a favore di una nuova e diversa legge elettorale, che faciliti «il ritorno della fiducia nelle istituzioni».
Difficile non trarre le implicazioni “politiche” di queste considerazioni “politiche”.
Il Presidente, infatti, teme il protrarsi ulteriore di una crisi ormai degenerata, ma che non trova sbocco. A causa di un sistema politico paralizzato e di un governo isolato e diviso. Troppo debole per governare, ma anche per cadere. Di un Parlamento a sua volta troppo debole per far cadere il governo. Di istituzioni delegittimate e sfiduciate dai cittadini. Napolitano. Spinge, da tempo, per una soluzione rapida. Ma teme una consultazione elettorale troppo ravvicinata. Perché avverrebbe in un clima avvelenato, che potrebbe produrre ulteriori lacerazioni nel tessuto civile. Mettere a rischio la stessa democrazia. Perché, inoltre, si svolgerebbe con questa legge elettorale, messa in mora dal referendum. Scomunicata da Napolitano, avversata da molti esponenti politici – di opposizione ma anche di governo. Il Presidente dell´Unità nazionale: vorrebbe un governo di Unità nazionale. Composto da tecnici autorevoli, sostenuta da una larga maggioranza – politicamente trasversale – del Parlamento. Guidato da una figura di prestigio, sopra le parti. Un governo a termine, per scrivere una nuova legge elettorale. Per restituire credibilità alle istituzioni e all´Italia. Presso i governi e i mercati internazionali. Presso i cittadini.
Giorgio Napolitano, in nome dell´Unità nazionale, agisce come il Capo di una Repubblica presidenziale – di fatto. Per evitare il decomporsi di questa Repubblica preterintenzionale. Prima che sia troppo tardi.

Repubblica 2.10.11

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«Il Paese cresca insieme o non cresce», di Dino Pesole

Se la vera sfida da affrontare con coraggio e determinazione è quella della crescita, vi è una condizione assoluta da rispettare: non esiste l’ipotesi che il Paese viaggi a più velocità, con il Nord che corre e il Sud che arranca. «O si cresce insieme oppure non si cresce», osserva il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano rispondendo a chi gli chiede se lo sviluppo dell’Italia possa prescindere da quel che accade nel Sud del Paese.
Giornata fitta di incontri, quella di Napolitano in visita nella sua città. Il tema della bassa crescita, già al centro di molti dei suoi più recenti interventi pubblici, tra cui quello dello scorso 9 settembre a Palermo, ritorna con forza sia in mattinata nel corso dell’inaugurazione dell’anno accademico alla facoltà di Ingegneria, sia in serata a Nisida nell’incontro con i giovani dell’istituto di riabilitazione penale minorile.
Lo sviluppo è la condizione indispensabile per offrire un futuro ai giovani. «Questo – osserva Napolitano – è il principale impegno di chiunque abbia responsabilità pubbliche». Se non si ha questo obiettivo, «non si è degni di guidare il Paese». Attenzione poi a non cadere in un eccesso di antipolitica. «Si impreca molto contro la politica, ma la politica siamo tutti noi». E il compito principale della politica – ribadisce nella Basilica di San Gennaro extra moenia – è dare una speranza ai giovani. Si commuove il presidente quando prende la parola per ricordare a tutti che in un momento difficile come quello che sta attraversando il Paese «i ragazzi ci danno la speranza e noi abbiamo il dovere di dargliela».
Vi sono dei fondati motivi per cui oggi un giovane dovrebbe credere nello Stato? La domanda di un giovane dell’istituto penitenziario minorile di Nisida è impegnativa. Napolitano risponde con una mini-lezione di educazione civica: lo Stato siamo tutti noi, appartiene a tutti. Non è solo Parlamento o istituzioni locali, ma un insieme la cui funzione fondamentale «è tenere unito il Paese». Ed è questa la funzione precipua del Capo dello Stato.
Dopo il fermo richiamo di due giorni fa sulle ipotesi secessioniste della Lega, Napolitano torna sul tema per ribadire che divisa l’Italia finirebbe ai margini «dell’Europa e del mondo moderno». Si continua a porre in discussione il valore fondante del l’unità raggiunta 150 anni fa? Per Napolitano la questione non sussiste. «Immaginate solo cosa sarebbero diventati sette staterelli divisi?» Resta da colmare il «persistente fossato» tra Nord e Sud, ed è questa la sfida più impegnativa. Le spinte federaliste sono pienamente compatibili con la salvaguardia dell’unità nazionale, a patto che sia ispirate a principi di solidarietà e perequazione. Non si cresce divisi, ribadisce, per ricordare a tutti che il Sud è una risorsa.
Lo accolgono con calore i giovani che a Nisida stanno cercando attraverso la riabilitazione di costruirsi un futuro. Napolitano ha già visitato la struttura quando era presidente della Camera, ascolta con attenzione le domande e risponde senza sottrarsi anche su questioni che coinvolgono direttamente il suo ruolo. «È faticoso fare il presidente della Repubblica?», gli viene chiesto. «Se tutti i pomeriggi fossero come questo non lo sarebbe affatto». Non taglia solo nastri e inaugura mostre o firma leggi. È alle prese con «vicende molto complicate» che richiedono il massimo di equilibrio. E così, quando a livello politico si registra «il massimo del disaccordo» su buona parte delle questioni al centro del dibattito, dalla giustizia alle ricette per uscire dalla crisi e far crescere il Paese, proprio al presidente della Repubblica si chiede di vigilare e di rappresentare con il suo ruolo l’unità della nazione. «Cerco di restare assolutamente imparziale rispetto ai partiti e alle posizioni politiche».

CRESCITA E COESIONE
L’appello per lo sviluppo
Il presidente Napolitano, nel corso della sua visita a Napoli, è tornato sul tema della crescita. Lo sviluppo è la condizione indispensabile per offrire un futuro ai giovani: «Questo – ha osservato – è il principale impegno di chiunque abbia responsabilità pubbliche». Se non si ha questo obiettivo, «non si è degni di guidare il Paese».
L’unità
Dopo il fermo richiamo di due giorni fa sulle ipotesi secessioniste avanzate dalla Lega, il presidente Napolitano è tornato sul tema per ribadire che divisa l’Italia finirebbe ai margini «dell’Europa e del mondo moderno». «Immaginate solo cosa sarebbero diventati sette staterelli divisi?» ha poi detto.
Le spinte federaliste
Per Napolitano Resta da colmare il «persistente fossato» tra Nord e Sud, ed è questa la sfida più impegnativa. Le spinte federaliste vengono considerate dal presidente pienamente compatibili con la salvaguardia dell’unità nazionale, a patto che sia ispirate a principi di solidarietà e perequazione.

da www.ilsole24ore.com

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«”L´Italia deve crescere nell´unità” Napolitano insiste, la Lega attacca», di Umberto Rosso
Calderoli: autodeterminazione. Amnistia, no del Quirinale. La difesa di Schifani e Fini Di Pietro: Bossi eversivo non può fare il ministro

«Questo paese o cresce tutto insieme, nord e sud, oppure non cresce». Eccola la replica di Giorgio Napolitano alle bordate di Lega e anche del Pdl, che sparano sul capo dello Stato accusato di entrata a gamba tesa per l´altolà al «popolo padano» che non esiste. «Io – dice il presidente della Repubblica – cerco di rimanere imparziale davanti ai diversi partiti e alle forze politiche». Aggiunge e precisa: «In alcuni paesi i capi di Stato tagliano solo nastri. In Italia non è così, devo seguire vicende difficili cercando di rimanere imparziale». Non si fa trascinare nel teatrino del botta e risposta, niente polemiche a tu per tu mentre lo scontro resta alto, ma il presidente della Repubblica nella seconda giornata della sua visita a Napoli «conferma» la linea dura anti-secessione rilanciando appunto un forte appello all´unità del paese: «Se non ci fosse stata quella riunificazione dell´Italia, oggi saremmo ai margini dell´Europa». Lo spiega al cardinale Sepe e ai ragazzi del volontariato – «la politica siamo tutti noi» – nella basilica di San Gennaro nel cuore del rione Sanità dove parte la standing ovation quando il presidente si commuove quasi alle lacrime richiamando «il dovere di dare la speranza a voi giovani».
Lo ripete più tardi ad altri giovanissimi, dentro il carcere minorile di Nisida, che al capo dello Stato consegnano la speranza di un futuro fuori da qui. Il sogno dell´amnistia. «Le carceri sovraffollate sono una vergogna per il nostro paese. Non da essere umani, Ma per l´amnistia i partiti non sono concordi, e quindi non so se ci siano le condizioni». Però, suggerisce il presidente della Repubblica, «non bisogna affidare solo a quella ipotesi la soluzione al problema delle carceri che scoppiano». Anche ai ragazzi di Nisida parla dell´unità d´Italia e «vale» ancora come risposta al centrodestra all´attacco del Quirinale. «C´è un fossato che divide a tutt´oggi il Nord e il Sud, va colmato. Bisogna correggere la rotta». I fan del secessionismo sono serviti un´altra volta. «Il Mezzogiorno è cambiato ma siamo lontani da un´Italia con uguali condizioni, opportunità e diritti goduti. Questo è rimasto l´anello debole nella costruzione dell´Italia, dobbiamo modificarlo».
A Roma, la Lega insiste. Il ministro Maroni non vuole polemizzare direttamente col capo dello Stato, «vale quel che ha scritto la Padania», che in prima pagina rivendica l´esistenza della Padania ma esclude che cambino in peggio i rapporti con il Colle. L´altro ministro, Calderoli, invoca «l´autodeterminazione dei popoli». Un uso bizzarro del principio sul quale, per la verità, Napolitano aveva ironizzato ancora prima dell´uscita del ministro della Semplificazione, «che fanno, si appellano all´Onu? Ridicolo». I due presidenti delle Camere si schierano col capo dello Stato, Schifani condivide, la Padania non esiste, «ma dalla Lega solo molto colore, niente atti di secessione in questi anni». Fini: Napolitano ha interpretato i sentimenti della stragrande maggioranza della popolazione contro le pulsioni leghiste a spaccare il nostro paese. E Di Pietro vorrebbe dal capo dello Stato una richiesta a Berlusconi per cacciare Bossi dal governo, «un ministro delle Riforme secessionista non può restare nell´esecutivo».
Per tutti, rispondendo alla domanda di uno dei ragazzi di Nisida, il monito del presidente: «Bisogna far vivere la Costituzione con una spinta forte anche dal basso. I principi enunciati non bastano a realizzarne gli ideali». Le cose scritte nella Costituzione sono belle e giuste ma segnano la strada. Come per l´articolo 3 sull´uguaglianza, «non è solo con quei paragrafi che si realizzeranno quegli ideali. Dobbiamo farli vivere».

da la Repubblica del 2.10.2011