Un autunno caldo, caldissimo, ed il perdurare del sole sui cieli italiani questa volta non c’entra nulla. Ad arroventare l’atmosfera, purtroppo, sono le crescenti e manifeste difficoltà economiche che rendono la vita difficile, se non improba, a milioni di persone. Il termometro del tutto sono gli indici, come quello relativo all’inflazione, comunicato ieri dall’Istat ed in drammatico aumento, fino a livelli che non si toccavano da tre anni. Ed altri numeri pesantissimi sono quelli illustrati dalla Cgil in uno studio il cui titolo è già tutto un programma: “Salari, il decennio perduto”. Un’indagine che quantifica in oltre cinquemila euro il potere d’acquisto perduto dai lavoratori dipendenti dal 2000 ad oggi. EFFETTO IVA SOLO PARZIALE Cominciamo dal caro vita, il cui andamento se è già preoccupante limitandosi al raffronto numerico, lo diventa ancor di più accompagnandolo con un paio di semplici ragionamenti. L’indice dei prezzi al consumo nel mese di settembre è aumentato dello 0,1% rispetto ad agosto e, soprattutto, del 3,1% rispetto ad un anno prima( dal2,8% di agosto).Equi subentra una prima considerazione, peraltro, effettuata direttamente dall’Istat quando avverte che la sua stima provvisoria incorpora solo parzialmente gli effetti dell’aumento dell’Iva, dal 20 al 21%. Come dire che già nel mese appena cominciato le cose potrebbero andar peggio. Un esempio sono le tariffe del gas, con il metano che anche a causa dell’aumento dell’Iva subisce proprio oggi un rincaro del 5,5%, pari ad un aggravio di 61 euro per una famiglia media. Resta comunque il fatto che un incremento del 3,1% rappresenta il livello più alto dell’inflazione dal mese di ottobre del 2008. Non manca, come prassi di queste rilevazioni, un’analisi più approfondita dell’andamento dei prezzi. La cosiddetta inflazione di fondo, calcolata al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, sale anch’essa considerevolmente, al 2,5%, con un’accelerazione di tre decimi di punto rispetto ad agosto. Ed ancora, la crescita tendenziale dei prezzi dei beni sale al 3,3% (era al 2,9% ad agosto) mentre quella dei prezzi dei servizi si porta al 2,7% dal 2,5% del mese precedente. Se si guarda ai vari settori, gli incrementi congiunturali più consistenti riguardano i servizi ricettivi e di ristorazione (+1,2%) e l’istruzione (+1%),ma anche l’abbigliamento e calzature (+0,8%) e i prodotti alimentari (+0,3% su agosto). Rispetto a un anno fa, gli incrementi più consistenti hanno invece riguardato i trasporti (+6,7% a fronte del +3,1% complessivo)ma anche la divisione abitazione acqua, elettricità e combustibili (+5,2% su settembre 2010) mentre i prodotti alimentari limitano l’incremento tendenziale al 2,3%. L’unico comparto che vede i prezzi scendere è quello delle comunicazioni con un -0,3% su agosto e un -1,6% su settembre 2010. Insomma, un’autentica e generale impennata del costo della vita, il cui impatto è ancor più drammatico considerando il momento nel quale arriva. Non siamo, infatti, in un periodo di vacche grasse con consumi frenetici che spingono al rialzo i prezzi. Al contrario, l’inflazione aumenta nonostante il Paese sia in stagnazione se non in recessione, colpendo dunque lavoratori con stipendi fermi, nonché persone disoccupate o in cassa integrazione. QUESTIONE IRRISOLTA E veniamo allo studio presentato ieri da Agostino Megale, segretario generale Fisac Cgil. «Lo scorso anno – ha ricordato il dirigente sindacale – l’analisi si concentrava sulla dinamica dei salari nel bel mezzo della crisi. Oggi, a due anni dall’irruzione della crisi nell’economia reale del nostro Paese, il Rapporto si concentra sulle perdite accumulate nelle retribuzioni e, più in generale, nell’economia italiana».Con risultati, aggiungiamo noi, che lasciano poco spazio all’immaginazione. Megale ha sottolineato come il raffronto della dinamica delle retribuzioni lorde e nette con l’inflazione effettiva, ripropone con forza l’irrisolta questione salariale. In particolare, dal 2000 al 2011, si è verificata una perdita cumulata di potere d’acquisto dei salari lordi di 2.929 euro che, sommata alla mancata restituzione del fiscal drag, si traduce in 5.304 euro in meno per ogni lavoratore dipendente. Ma a spaventare è anche il raffronto con le altre nazioni. Nel periodo 2000-2010, a parità di potere d’acquisto, le retribuzioni lorde italiane sono cresciute solo del 2,1% rispetto alla crescita reale delle retribuzioni lorde dei lavoratori inglesi del 17,40%, francesi (11,1%) e americani (4,5%). Con il paradosso che in Italia, sempre a parità di potere d’acquisto, nonostante una dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto più sostenuta, le retribuzioni risultano all’ultimo posto della classifica Ocse 2010.❖
L’Unità 01.10.11
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“Occupazione, debole recupero. Resta l’emergenza per i giovani”, di Giuseppe Vittori
Ventotto giovani su cento sono disoccupati. Il dato è preoccupante perché segna un leggero aumento rispetto al precedente e perché i lavoratori più giovani non sembrano beneficiare affatto né del lieve calo del tasso di disoccupazione registrato nel secondo trimestre 2011, né del lieve incremento del tasso di occupazione registrato in agosto quando si è avuto +0,1% rispetto a luglio e +0,8% rispetto a un anno prima. Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi canta vittoria e sembra accontentarsi di pochi decimali di crescita dovuti peraltro – spiegano dall’Istat – al lavoro flessibile e alla manodopera straniera cioè alla regolarizzazione di lavoro esistente e non alla creazione di nuova occupazione. SEMPRE PIÙ FLESSIBILI Nel dettaglio: ad agosto 2011gli occupati erano23 milioni e 3mila unità, in aumento dello 0,1% rispetto a luglio ma in calo di 587mila unità rispetto al picco degli occupati raggiunto ad aprile 2008, cioè prima dello scoppiare della crisi. La crescita riguarda la sola componente maschile. Nel confronto con lo stesso mese del 2010 l’occupazione aumenta dello 0,8% (191mila unità). Il tasso di occupazione si attesta al 57%, in aumento dello 0,1% nel confronto con luglio e di 0,3 punti rispetto ad agosto 2010. Il numero dei disoccupati, pari a 1 milione e 965mila, diminuisce dell’1,8% (-36mila unità) rispetto a luglio. La flessione riguarda sia la componente maschile sia quella femminile. Su base annua il numero di disoccupati diminuisce del 4% (-83mila unità). Quanto al tasso di disoccupazione, si attesta al 7,9%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto a luglio e di 0,4 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 27,6%, con un aumento congiunturale di 0,1 punti percentuali. Cambia, peggiorando, la composizione dei senza lavoro con quasi il 53% che lo cerca da oltre un anno: sono i disoccupati di lunga durata, aumentati di quasi 5 punti (dal 48,1% del secondo trimestre 2010 al 52,9% del secondo trimestre 2011). «La capacità propulsiva del mercato è lenta», continua l’Istat. A fronte di un aumento dei lavoratori dipendenti dello 0,8% si riduce il numero dei contratti a tempo indeterminato (-0,1%) mentre cresce il numero di quelli a termine (+6,8% pari a 149mila). «Buone notizie», per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. «Siamo consapevoli – dice – di dover accompagnare ed accelerare questo processo incoraggiando gli investimenti, il ritorno al lavoro dei cassaintegrati, la nuova occupazione di qualità», aggiunge. «Il ministro sbaglia ad essere così soddisfatto – replica Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil – con questo trend torneremo ai livelli pre crisi solo nel 2014-2015». Inoltre «i disoccupati da più di un anno sono oltre la metà del totale; finiscono i periodi di indennità di disoccupazione restando senza alcuna tutela e il governo non fa niente. Ma non parlava anche di questo la famosa lettera della Bce?». L’ottimismo del ministro appare fuori luogo anche al deputato Pd Cesare Damiano chenon vede «un’inversione di tendenza strutturale». Che infatti non c’è.❖
L’Unità 01.10.11