La coordinatrice delle Democratiche: «Spetta a noi costruire il futuro. C`è bisogno di una nuova cultura politica e di una vera democrazia paritaria». Le parole che non vorrei più sentire pronunciare da un politico? Non ci ho pensato, mi vengono in mente quelle che vorrei si pronunciassero più spesso». Roberta Agostini, 42 anni, laurea in Filosofia, consigliere provinciale nonché coordinatrice nazionale delle Donne Democratiche, preferisce partire da quello che ci vorrebbe per rinnovare non solo la classe dirigente politica, ma la «cultura politica stessa».
Va bene, allora partiamo da ciò che vorrebbe sentire più spesso quando i politici parlano.
«Mi piacerebbe si usasse più spesso la parola “partecipazione” e che si partisse da qui per aprire una stagione di riforma delle istituzioni democratiche. Mi piace molto anche la parola “capacità”, diversa da “merito”, perché è sulle capacità delle persone che dobbiamo saper investire per costruire una società solidale. Un` altra parola che mi piace molto è “relazione”: ci arriva dal movimento delle donne e mai come ora è attuale. E’ soltanto insieme agli altri che è possibile riuscire a invertire l`affermazione di questo ventennio berlusconiano che ha travolto tutto e tutti. E infine, la parola “dignità”: bisognerebbe riaffermarla costantemente, soprattutto in politica, perché soltanto con la dignità ci si sottrae allo scambio mercantile».
Matteo Renzi ne ha coniata una per parlare di rinnovamento. Rottamazione. Le piace?
«Questo termine non mi appartiene. Penso che ci sia bisogno di un rinnovamento profondo che passa per le classi dirigenti e la cultura politica. La rottamazione non c`entra nulla».
Se ne parla costantemente, ma attraverso cosa passa e si afferma il rinnovamento?
«Passa e si afferma attraverso l`innovazione della proposta politica, del progetto che si è in grado di presentare al Paese. In questo senso credo che in Italia ce ne sia un grande bisogno per uscire da questa crisi profonda che lo sta attraversando. Dobbiamo mettere in campo una proposta completamente diversa, fatta da riforme profonde nell’economia, nel welfare, nelle istituzioni e portata avanti da una nuova classe dirigente, soprattutto femminile».
Un vero rinnovamento della classe dirigente non si afferma anche attraverso una vera democrazia paritaria
«Questo è un Paese che soffre di un blocco storico. In Europa si sono fatti passi in avanti mentre qui abbiamo una classe dirigente ancora prevalentemente maschile. Le donne preparate e competenti possono essere una risorsa per l`innovazione. Le intercettazioni che stiamo leggendo in questi giorni sui quotidiani e che riguardano il nostro presidente del Consiglio, invece, danno l`idea dello spaventoso passo indietro che si è fatto».
Un passo indietro che le donne coinvolte nelle inchieste sullo sfruttamento della prostituzione, hanno accettato di fare con la speranza di salire con l`ascensore anziché per le scale.
«C`è una regressione culturale che deve far riflettere tutti. Per fortuna questo Paese è dotato anche di antidoti: ci sono donne che non si riconoscono in quel modello e si ribellano. Sono quelle che studiano, lavorano e combattono ogni giorno per vedere affermati i loro diritti. Ci sono donne preparate in ogni luogo di lavoro eppure le statistiche ci confermano che a parità di merito non riescono a raggiungere i posti apicali che toccano quasi sempre agli uomini. Queste donne, malgrado tutto, continuano a non arrendersi e a ribellarsi al modello che il nostro presidente del Consiglio ha cercato di imporre con il suo comportamento».
Nel lavoro come in politica. Dica la verità, anche nel Pd si fa fatica ad occupare posti di potere? In fondo per ogni donna che si afferma, c`è un maschio che deve fare un passo indietro…
«L`atto fondativo del Pd ha visto le donne protagoniste, nello Statuto abbiamo degli articoli che sanciscono la democrazia paritaria e credo che nel panorama italiano siamo una delle forze politiche più avanzate, in grado di interpretare anche in questo senso un profondo rinnovamento. Però, ammetto, c`è ancora molto da lavorare per affermare questa democrazia paritaria ovunque, nei Comuni, nelle Province e via via su fino ad arrivare al livello nazionale».
Sta di fatto però, che se si andasse al voto in primavera, i nomi che circolano per le primarie di coalizione sono tutti di uomini.
Sorride. «Questo è un tema, vero, della politica italiana che chiede un salto di cultura. Anche in questo senso c`è bisogno di riforme profonde in grado di incidere sulla condizione di vita delle donne. L`esercizio di una democrazia paritaria realmente fruita è legata alle condizioni di vita delle donne. Le statistiche ci dicono che siamo in fondo a tutte le classifiche: occupazione, servizi, retribuzioni, carriere… Siamo di fronte a una situazione di blocco che è in parte una delle ragioni di questa crisi e se non si parte da qui è difficile immaginare un cambiamento».
Le prossime elezioni possono essere un`occasione per far emergere una nuova classe dirigente?
«Le prossime elezioni saranno un banco di prova. Il Paese è ad un bivio della sua storia: o cambiamo e facciamo un salto di qualità o rischiamo un ulteriore balzo indietro. In questo momento tocca a noi, classe dirigente più giovane, prenderci la responsabilità di contribuire a costruire il futuro dell`Italia, dando segnali di profondo cambiamento non soltanto a parole ma nei fatti, con un progetto all’altezza della situazione».
Ce la farete o finirete vittime del virus dei personalismo e cambiando i nomi dei protagonisti il copione resterà lo stesso?
«Quello purtroppo è un virus che scorre nelle vene di tutto il paese, però noi siamo chiamati alla prova dei fatti. Siamo il partito che sul territorio ha giovani amministratori capaci e lo stesso Pier Luigi Bersani, ha voluto una nuova classe dirigente in segreteria. Ci sono tutte le condizioni per vincere la sfida».
L’Unità 28.09.11