È ripartito l’assalto ai giornali politici, no-profit e editi dalle cooperative. L’alibi è quello dei tagli ai costi della politica, in realtà si colpiscono voci scomode. I tagli sono già pesanti, 4 mila i posti a rischio. Tagliare i costi.
L’ opinione pubblica insiste per un taglio dei costi della politica. Ma attenzione a non buttare con l’acqua sporca anche il bambino. Perché c’è chi tenta di sfruttare l’emergenza legata alla crisi per realizzare una violenta e pericolosa sforbiciata non tanto alla “casta”, ma ai diritti e alle forme di democrazia. Non vi è solo l’articolo 8 della Manovra straordinaria che mette in discussione le garanzie fissate dallo statuto dei lavoratori. Anche il diritto all’informazione e la tutela del pluralismo rischiano di uscire triturate con i tagli alle testate non profit, di idee, cooperative e politiche, oggi veramente a rischio chiusura, praticata dal governo Berlusconi. Vi sono i tagli su ciò che si è già tagliato. Oltre a cancellare i contributi indiretti come le agevolazioni sulle tarif-
fe postali, per quelli diretti dai 408 milioni di euro del 2008 lo scorso anno si è passati a 195 milioni per il 2010, 2011 e 2011. Ma in realtà quelli realmente disponibili non saranno più di 90 milioni di euro, visto che su quella posta vanno ora a gravare anche i circa 50 milioni di euro della convenzione tra Stato e Rai ed altri 50 milioni l’anno destinati a coprire il debito storico che l’amministrazione pubblica ha verso le Poste. Sono spese che nulla hanno a che fare con le finalità del Fondo per l’editoria. Risorse incerte e comunque dimezzate.
IL DIRITTO SOGGETTIVO
A questo si aggiungono gli effetti drammatici della cancellazione del diritto “soggettivo” al finanziamento pubblico. Ora, con la logica del “riparto” degli stanziamenti, solo a fine anno le aziende potranno sapere l’entità delle risorse che saranno disponibili, per un finanziamento che sarà disponibile solo l’anno seguente. Questa incertezza sulle risorse disponibili ha già praticamente impedito agli amministratori di indicare cifre certe nei loro bilanci e questo ha finito per rendere ancora più problematico, incerto e oneroso il rapporto con il
sistema bancario. Non è certo facile, in queste condizioni, mettere in campo strategie di impresa, di vero rilancio del settore, accettando la sfida dell’innovazione tecnologica e programmare investimenti a medio termine. Così un centinaio di testate rischiano la chiusura e circa quattromila dipendenti, tra giornalisti e poligrafici, la disoccupazione. Si tratta in molti casi di giornali che esprimono un punto di vista critico nel panorama editoriale italiano e che ne arricchiscono il pluralismo. Dal Manifesto ad Avvenire, da Salvagente a Terra, dalle testate diocesane, ai quotidiani editi da cooperative di giornalisti che assicurano l’informazione delle comunità locali, sino ai quotidiani politici come Liberazione, La Padania, Europa, Il Secolo d’Italia, come la stessa Unità. Voci antiche e spesso scomode.
L’ARTICOLO 21
Questo spiega l’intervento correttivo della politica che per garantire la piena applicazione dell’articolo 21 della Costituzione ha assicurato un sostegno a queste realtà, prima con l’istituzione delle provvidenze e poi del Fondo per l’editoria. Quindi, non una tassa a favore della «casta» o a favore dei costi della politica, come qualcuno denuncia dimenticando le richieste di pulizia e di una radicale riforma dei criteri di assegnazione dei contributi.Che occorra bonificare il settore, disboscandolo dalle finte cooperative o dalle testate nate solo per raccogliere il finanziamento pubblico, lo chiede proprio l’articolato mondo dell’editoria non-profit, di idee, cooperative e politica, da Mediacoop alla Fnsi, al Comitato per la libertà di informazio-ne e il pluralismo, a direttori e alle redazioni dei giornali politici interessati. Da tempo sul tavolo vi sono proposte precise per definire criteri oggettivi e rigorosi per l’assegnazione dei contributi legati alla tiratura, alla reale diffusione e alla effettiva occupazione delle aziende interessate che anticipino la Riforma di sistema da tempo annunciata, ma che tarda a venire. Per questo un gruppo trasversale di parlamentari tra cui il senatore del Pd Vincenzo Vita ha già annunciato un emendamento per la prossima Manovra “ordinaria” di ottobre, che anticipi la Riforma, legando il finanziamento a criteri di selezione che favorisca le aziende vere, con dipendenti regolarmente assunti, con un prodotto che è in edicola. L’altra richiesta è di assicurare almeno quei180 milioni di euro stanziati lo scorso anno.
Chi si appella al mercato e alle sue logiche regolarizzatrici dovrebbe ricordarsi dell’anomalia italiana: l’andamento del mercato pubblicitario. È l’altra faccia del conflitto di interessi del premier Berlusconi. A differenza degli altri principali paesi europei – dati 2008 – in Italia la televisione drena oltre il 58%della pubblicità, con Mediaset che la fa da padrona aggiudicandosi il 35% del mercato. Alla Rai va il 15% e alle altre emittenti nazionali l’8%. Alla stampa va complessivamente meno del 30%, di cui ai quotidiani va il 18% e ai periodici il 10%. Il fatturato pubblicitario di Internet, in espansione, non supera il 5%. Per capire l’anomalia basta confrontarla con i dati europei: la media è del 30% alla Tv, 45% alla stampa, il 5% alla radio e 20%per gli altri mezzi, quelli «mondo» sono 39% per la Tv, 40% Stampa, 8% Radio e 13 % altri mezzi (dati Zenith Optimedia).
Questo dato già significativo, diventa davvero drammatico se guardiamo alla realtà dell’editoria «no profit». La raccolta pubblicitaria premia i gruppi editoriali forti e se in media pesa per il 50% delle entrate, per questo settore e a prescindere dalla tiratura, non supera il 15 % delle entrate. Il contributo pubblico, in parte, compensa questa discriminazione. Assicurare la vita di queste voci non è un problema di democrazia?
L’Unità 19.09.11