Sebbene sia l’unica cosa che conta davvero, la manovra economica sembra oscurata: travolta dalla valanga di intercettazioni e di veleni che scorrono fra il presidente del Consiglio e la magistratura. L’interrogatorio di Silvio Berlusconi come presunta vittima di un ricatto sui suoi incontri con ragazze da parte di Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola, non ci sarà. Il premier lo rifiuta perché i magistrati della Procura di Napoli non si sono accontentati della sua memoria difensiva; e dunque si ritiene perseguitato. Non solo. La sua imputazione decisa ieri dalla magistratura di Milano per il caso Unipol e la notizia che sarebbero state registrate oltre 100 mila telefonate, acuisce i sospetti e la rabbia del capo del governo.
Che effetto tutto questo possa avere sulla credibilità dell’Italia è prevedibile: negativo. Per capire l’eventuale impatto sui titoli di Stato italiani, invece, sarà necessario aspettare. Ieri il Financial Times rilanciava l’ipotesi di un prossimo declassamento dell’Italia. Eppure, non andrebbe considerato troppo «significativo», essendo frutto del «nervosismo dei mercati». Per ora i contraccolpi di quanto avviene si scaricano nel recinto della maggioranza: scosse contraddittorie ma continue.
Così, Berlusconi continua a prosciugare il Fli di Gianfranco Fini, provando a portargli via tre deputati. Ma ritorna l’incognita dell’alleanza con la Lega. Un articolo pepato di Panorama sulla moglie di Umberto Bossi è stato definito «una carognata» dai ministri Roberto Maroni e Roberto Calderoli, che ne hanno chiesto conto al premier come editore del settimanale. E questa tensione a pochi giorni dal voto parlamentare sull’arresto di Marco Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti, aumenta le incognite sulla tenuta del centrodestra. Se qualcuno ottenesse lo scrutinio segreto, la prospettiva che l’ex consigliere del ministro dell’Economia finisca in prigione diventerebbe probabile.
E di rimbalzo si farebbe complicata anche la posizione di Tremonti. Ma forse, il problema più spinoso sono gli equilibri dentro la Lega e la leadership declinante di Bossi. Gli attacchi alla famiglia del capo dei lumbard vanno letti più come il prodotto delle faide in atto nel Carroccio, a cominciare dalla lotta per la successione, che come una manovra berlusconiana. Mai come in questa fase il presidente del Consiglio ha bisogno che il suo principale alleato tenga in mano il partito: una capacità non più così scontata. Se smotta la sponda rappresentata da Bossi, la fine del governo sarebbe inevitabile.
L’impressione, invece, è che ormai nessuno dei leader del centrodestra controlli per intero il suo esercito. Le dinamiche che si sono messe in moto privilegiano le contestazioni. Basta registrare le proteste contro la manovra economica da parte di alcuni sindaci leghisti, o i piani più o meno vistosi di esponenti del Pdl per arrivare a un governo senza più Berlusconi a palazzo Chigi. Si tratta di un dissenso destinato a non arrivare alla rottura fino al momento in cui, per un incidente o per qualche imprevisto, il governo dovesse cadere. Solo a quel punto esploderà. Anche se Berlusconi non cederà fino all’ultimo, asserragliato a palazzo Chigi: costi quello che costi.
Il Corriere della Sera 16.09.11