All’epoca della mia visita in Italia, nel marzo 2010, i temi riguardanti i Rom dell’Europa Orientale erano prioritari. Oggi, la loro situazione sembra alquanto oscurata dal dramma di rifugiati e immigrati provenienti dal travagliato Nord Africa. Ma non per questo dovrebbero essere dimenticate le questioni attinenti ai diritti umani affrontate dai Rom. Durante la mia visita l’anno scorso, mi recai in due insediamenti Rom alla periferia di Roma. Il primo, in via Marchetti, era una baraccopoli non autorizzata. Il secondo, in via Candoni, era stato creato dalle autorità. In quell’occasione incontrai anche il ministro dell’Interno Roberto Maroni, che mi garantì che i Rom avrebbero beneficiato del cosiddetto Piano per i Nomadi elaborato dal governo, attraverso il loro ricollocamento da insediamenti illegali a «campi» regolamentati.
Manifestai la mia seria preoccupazione circa tali soluzioni, osservando che, in nome della sicurezza, il «campo modello» ufficiale, in via Candoni, era circondato da alti muri di cinta con torri di sorveglianza della polizia. Ciò non lo distingueva affatto da quello non autorizzato, altrettanto segregato, lontano dalla città, dalle opportunità di lavoro che essa può offrire, dai suoi servizi sociali. La soluzione è l’integrazione nel tessuto della vita urbana. Questo solamente può condurre a un reale godimento dei diritti umani gruppi in precedenza marginalizzati e stigmatizzati, tra i quali i Rom.
Trattare interi gruppi etnici come «problemi di sicurezza» ne pregiudica ulteriormente diritti e benessere. Il governo italiano ha mantenuto il proprio approccio condizionato dalla sicurezza e continua a trattare i Rom come «nomadi» che non sono in grado di vivere in normali ambienti urbani. Ma la maggior parte dei Rom non è composta da nomadi in qualunque senso si voglia intendere tale termine. Un Rom che viveva nell’insediamento di via Marchetti mi disse con ironia amara: «Naturalmente, se passi da un trasferimento coatto all’altro, diventi un “nomade” che deve poter vivere in un “campo”. Come possono pensare che noi non vorremmo lavori, case, e mandare a scuola i nostri figli come chiunque altro?».
Come ebbi modo di verificare lo scorso anno attraverso i miei contatti diretti con gli abitanti di via Marchetti, quell’insediamento comprendeva un numero di Rom dalla Bosnia che si trovavano in Italia dagli inizi degli Anni Novanta, costretti ad allontanarsi a causa del conflitto interetnico che produsse un genocidio. Alcuni di essi mi mostrarono documenti che indicavano che era stato loro riconosciuto lo status di rifugiati. Altri avevano carte che attestavano la positiva considerazione del loro caso da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, che aveva portato – quasi un decennio fa – l’Italia a riconoscerne il diritto a rimanere sul suo territorio. Anche queste famiglie furono sottoposte a trasferimenti coatti in giugno, senza alcuna assistenza e senza un posto dove poter andare.
In seguito, sono rimasta scossa nell’apprendere che, dall’agosto 2010, sei bimbi Rom hanno già perso la vita a Roma o nei suoi dintorni, a causa di incidenti connessi alla mancanza di sicurezza negli insediamenti dove erano costretti a stare. La soluzione proposta ogni volta dopo tali tragedie è sempre stata la stessa: trasferimenti coatti.
Se da una parte un livello considerevole di risorse continua a indirizzarsi verso l’organizzazione di tali trasferimenti, viene invece data scarsa attenzione alle misure di inclusione sociale. Un recente rapporto su Rom e Sinti della Commissione speciale sui diritti umani del Senato italiano è giunto alla conclusione che le attuali politiche non hanno raggiunto alcun progresso al riguardo.
Mi sono particolarmente preoccupata quando, nel contesto delle elezioni locali tenutesi quest’anno in Italia, il partito del primo ministro Berlusconi ha fatto ricorso a un’aperta retorica antiRom come strumento di campagna elettorale. In contrasto, accolgo con piacere l’espressione di sostegno manifestata da Papa Benedetto XVI in occasione di un incontro con i Rom lo scorso giugno. Purtroppo, appena dieci giorni dopo l’udienza con il Pontefice, l’insediamento di via Marchetti è stato oggetto di trasferimenti coatti, con le autorità locali a sostegno della tesi che ciò fosse a grande vantaggio della sicurezza.
Secondo fonti affidabili della società civile, il trasferimento coatto di via Marchetti è stato condotto in una maniera che ha violato gli standard internazionali. La data non è stata annunciata in anticipo. Contro le rassicurazioni che mi erano state date nel 2010, agli abitanti non sono nemmeno stati offerti posti alternativi a via Candoni o in altri simili insediamenti ufficiali. Alcuni di coloro che sono stati allontanati si sono comunque spostati nell’insediamento di via Candoni, vivendo ai suoi margini, senza alcun alloggio loro fornito. Il sovraffollamento ha portato al deterioramento delle condizioni di vita in via Candoni. E le promesse di lavori e altri miglioramenti in favore dei residenti autorizzati del «campo» non si sono materializzati.
L’Unione Europea ha adottato un quadro per le strategie nazionali per l’integrazione dei Rom, in base al quale gli Stati membri dell’Ue devono formulare strategie inclusive che mirino a miglioramenti tangibili in materia di educazione, impiego, salute e alloggi per i Rom.
La posizione del governo italiano è in contrasto con lo spirito e gli obiettivi di tali disposizioni quadro. Occorre che l’Italia attui un cambiamento drastico nel proprio approccio e si discosti da politiche che sono principalmente mosse da motivi di sicurezza, piuttosto che da una visione di integrazione.
Se ci fosse abbastanza volontà politica da riconoscere quello che ora appare come l’ovvio fallimento dell’approccio fondato sulla sicurezza, l’elaborazione e la successive attuazione di una Strategia nazionale per l’integrazione dei Rom potrebbe segnare un punto di svolta. Oltre a creare una Strategia nazionale inclusiva in linea con le richieste politiche dell’Unione Europea, l’Italia dovrebbe anche essere attenta a rispettare i propri obblighi legali, che derivano da standard internazionali in materia di diritti umani.
*Alto Commissario Onu per i Diritti Umani
La Stampa 16.09.11