Nonostante tutto, continuo a ritenere che un default sul debito pubblico dell’Italia, e di conseguenza un collasso del sistema monetario europeo, siano eventi improbabili. Eventi con probabilità bassa, ma non nulla, e soprattutto crescente nel tempo, se non interviene una risposta adeguata della nostra politica e di quella europea. Limitandoci alla nostra — perché è su questa che possiamo intervenire — continuo a ritenere che solo uno scatto di serietà collettiva sia in grado di sventare il pericolo in modo definitivo. Per evitarlo nell’immediato forse basta di meno: una manovra di riduzione del disavanzo appena credibile, che si può fare anche nelle attuali condizioni politiche. E infatti è quella che sta per essere approvata dal Parlamento, senza che di quello scatto si veda l’ombra. È per passare da manovre dettate dall’emergenza e dall’affanno ad una strategia che coniughi in modo efficace rigore, equità e crescita che è necessario lo scatto di serietà di cui dicevo. È questo che chiedeva de Bortoli nel suo editoriale dell’11 settembre.
La Spagna ha una struttura industriale più debole della nostra e si era illusa di aver superato il Pil pro capite italiano alimentando una bolla immobiliare insostenibile nel lungo andare. Una bolla che, esplodendo, ha prodotto disastri: il tasso di disoccupazione è tornato ai livelli intollerabili degli anni Ottanta e buona parte del sistema bancario è sull’orlo del collasso. Eppure la valutazione dell’economia spagnola da parte dei mercati, espressa dai Cds (i premi che bisogna pagare per assicurarsi contro l’insolvenza del debitore) o dallo spread dei Titoli di Stato spagnoli rispetto ai corrispondenti tedeschi, è analoga o migliore di quella italiana. In questi giorni, nettamente migliore. Perché? Una parte della spiegazione sta certamente in un rapporto Debito/Pil più favorevole del nostro. Ma la parte maggiore, credo, sta nella fiducia che gli osservatori internazionali nutrono per il sistema politico e istituzionale spagnolo. Dopo alcune esitazioni iniziali, Zapatero si è rapidamente adeguato alle richieste di rigore che gli provenivano dall’Unione Europea e in questi giorni ha fatto passare in modo bipartisan quella costituzionalizzazione dell’obbligo di pareggio di bilancio cui la Germania è particolarmente sensibile. Zapatero non si candiderà alle prossime elezioni e probabilmente il partito socialista pagherà con una sconfitta elettorale le politiche incaute che il capo del governo ha perseguito. Quale che sia il vincitore, mercati e istituzioni internazionali sono però convinti che la lezione è stata appresa sia dai socialisti, sia dai popolari, e della Spagna si fidano più che dell’Italia, nonostante una situazione economica oggettivamente molto grama.
Parlando di nuora (Spagna) perché suocera (Italia) intenda ho presentato due degli ingredienti che giocano nel giudizio dei mercati e delle istituzioni internazionali: il debito pubblico e il sistema politico. Il terzo è costituito dalle riforme, quelle che possono far quadrare il cerchio di rigore, equità e crescita. Due degli ingredienti appena menzionati (la riduzione del debito e le riforme) riguardano la torta, gli esiti cui vogliamo arrivare. Il terzo riguarda il pasticciere, chi la produce: un pessimo pasticciere, una politica confusa e poco autorevole, non riuscirà mai a produrre una buona torta, una torta che quadri il cerchio. È una torta difficile da produrre nell’attuale situazione italiana e anche un buon pasticciere farebbe fatica. Ma un cattivo pasticciere, una cattiva politica, è escluso possa riuscirci. Per il medio e lungo periodo, quello in cui speriamo di non essere tutti morti, questo è il grande problema. Un problema di cui per ora non si intravvede una soluzione.
Il presidente del consiglio — certo non una risorsa in una situazione in cui dipendiamo così fortemente dal giudizio internazionale — è però ancora il miglior acchiappavoti di cui dispone la coalizione di centrodestra. E anche se la sua uscita dall’agone politico fosse imminente, egli lascerebbe alle sue spalle, nella parte politica di cui è il leader, una situazione di grande confusione e instabilità. Sul lato opposto dello spettro politico la situazione non è molto migliore. Tanti piccoli partiti, alcuni con concezioni di politica economica poco realistiche. E anche nel partito maggiore e più responsabile, diverse visioni e orientamenti, e diversi attori in lotta tra loro: non passa giorno senza che, tra gli oppositori di Berlusconi, emerga una nuova candidatura alla leadership. La lotta per la leadership è parte integrante della politica, e di per sé non è fonte di disordine o di debolezza: anche in Spagna, o in altri Paesi in cui la politica funziona, c’è lotta. Ma ci sono anche regole: il gioco elettorale e costituzionale è stabile e il sistema dei partiti si è ad esso assestato. Da noi una transizione costituzionale che dia maggiori (ma controllati) poteri al capo dell’esecutivo non c’è mai stata: in una vera «Seconda Repubblica» non siamo mai entrati. E il sistema elettorale è sempre in discussione. Senza punti fermi di natura costituzionale ed elettorale, senza chiare regole del gioco, la competizione tra i partiti, il contrasto tra gli interessi, il conflitto tra le ambizioni personali producono disordine, incertezza, confusione. Insieme alle continue manifestazioni di corruzione e di arroganza, essi rendono la politica odiosa agli occhi dei cittadini. Ma soprattutto la rendono incomprensibile per gli stranieri, per le istituzioni e i mercati che debbono valutare della nostra affidabilità.
Insomma, la politica è il vero problema ed è nella politica che deve avvenire lo scatto di cui dicevo. A chi gli chiedeva ragione di un esito politico-elettorale, si dice che Nixon abbia risposto: «It’s the economy, stupid», è l’economia, stupido. La famosa frase si può invertire per spiegare un esito economico, il nostro deludente esito economico: «È la politica, stupido!».
Il Corriere della Sera 16.09.11