Sto andando al «presidio dei bidelli », davanti la sede del governo regionale siciliano. Perché ho deciso di aderire allo sciopero della fame di Calogero Fantauzzo, di Pietro Musso, di Filippo La Spisa a Palermo e di Pietro Aprile, di Vincenzo Figura edi Giuseppe Agosta a Ragusa? Io, quella del «non ci credo agli scioperi della fame, sono ricatti morali»? E poi perché, dopo anni di affanni e grida, non sai più come rompere le cecità e le sordità. Non solo di coloro che stanno «su di noi», bensì di quelli che stanno accanto a noi. Siamo perfettamente consapevoli che lo scempio della scuola statale non porta un’unica firma, Gelmini, né Tremonti, né Berlusconi, ma porta milioni di firme di italiani e la politica non ha fatto altro che andar dietro. La politica italiana: quella che va dietro. Vorrei, mi batto, ci credo, in tutt’altro: in una politica che preceda, disegni, prefiguri e guidi l’Italia e i suoi italiani. Chedica parole chedisegnino direzioni condivise e condivisibili, credute e credibili, non scatole vuote. La scuola statale di qualità è una di quelle: un modo vero per ridisegnare il sentiero giusto per l’Italia. Molti fanno finta di essere d’accordo, pochi danno prova di crederci davvero: perché pensano che sia la crisi a dover governare le nostre gesta e non viceversa. Mi ritrovo in un week end di caldo infernale sotto i pini a piazza Indipendenza a chiacchierare, mentre siam lì, con Pietro, Filippo, Calogero a bere acqua e succhi. Tre disperazioni ma anche tre passioni. Siamo gente di scuola noi e alla fine di che si parla? Sempre di loro: di figli o di alunni. Di mogli amate e mai tradite, di risparmi e di libri. Di studio e di corridoi. Di registri e di colleghi. E poi giù giù: dei banchi e delle sedie che mancano, «ma lo hai capito che mancano a Palermo 18 milioni di euro di sedie e di banchi e Cammarata ci mette solo 3 mila euro?!». «In Cile sono in milioni ad essere scesi in piazza per la scuola» mi fa Pietro. Anche da noi scenderebbero, se avessero delle facce davanti a cui raccontarlo e non muri. Io non ci credo al racconto della città cattiva e indifferente, ignorante e ostile. Secondo me la colpa è anche nostra, nonabbiamo ancora trovato le parole giuste per raccontarla questa storia, non abbiamo trovato il bandolo della storia e i veri protagonisti, che non siamo noi ma i nostri figli. Cosa stiamo chiedendo? Torno alle radici dei pini che mi circondano: una seduta all’ars dedicata alla scuola : sicurezza e salubrità negli edifici scolastici e il tempo pieno per i ragazzi. Siamo al 2% di tempo pieno qua da noi, altrove raggiungono l’85%. Se anche si arrivasse in Sicilia al 50% saremmo tutti a scuola: i colleghi, ma anche Calogero, Pietro e Filippo e tutti quelli come loro. I ragazzi: starebbero più a scuola, i ragazzi. Cosa manca? La volontà: politica, sociale, culturale, economica. Ma anche un po’ più d’amore per questo Paese e per noi stessi. Se lo capissimo tutti, non soltanto quelli chiusi là dentro, sarebbe fatta.
L’Unità 07.09.11