C’è il rischio che il nuovo anno scolastico sia particolarmente rovinoso per la nostra scuola. Certamente perché i tagli al personale degli ultimi anni e le difficoltà finanziarie delle scuole non sono fattori che favoriscono non dico l’innovazione, ma almeno la necessaria regolarità nella gestione delle scuole. Certamente perché l’opacità dell’azione ministeriale – nell’accompagnamento dei processi di riordino in atto – non lascia presagire niente di buono; c’è anzi il rischio che la demotivazione e il disinteresse crescano ulteriormente.
Ma quest’anno c’è una ragione in più.
La manovra finanziaria dello scorso luglio ha infatti cancellato la deroga, per scuole con più sedi, al numero di classi (da 32 a 40) necessario per la concessione dell’esonero o del semiesonero del docente collaboratore del Dirigente. Pertanto le scuole che non raggiungono il limite previsto di 40 classi, quale che sia la loro situazione (sezioni staccate, sezioni associate, corsi serali), non potranno più fruire del semiesonero; e quelle che non avranno raggiunto il limite delle 55 classi non potranno godere dell’esonero. (Precedentemente, rispetto all’esonero, era prevista la deroga per le scuole con più sedi e con un numero di classi tra 44 e 55).
Con questa nuova disposizione, tra l’altro, “piove sul bagnato”.
Nel senso che quest’anno è ulteriormente aumentato il numero delle scuole date in reggenza. Più della metà delle scuole avrà mediamente, a livello nazionale, un dirigente “dimidiato”, costretto a dividersi tra la scuola di titolarità e la scuola assegnata in reggenza, che passerà gran parte del suo tempo in giro a raggiungere le diverse scuole e le loro sezioni. E, quando le avrà raggiunte, dovrà affrontare situazioni spesso nuove, senza più neanche il sostegno informativo e organizzativo del collaboratore, saggiamente garantito gli anni precedenti attraverso la deroga di cui sopra. Questo dato, già di per sé inverosimile, diventa impressionante in regioni come la Lombardia, in cui più di un terzo delle scuole dal 1° settembre è senza dirigente: oltre il 65%.
Dire che ci si trova, se non si ricorre urgentemente ai ripari, di fronte a un’operazione rischiosa, è dir poco.
Va bene risparmiare, ma risparmiare condannando le scuole, nel migliore dei casi, a non poter gestire neanche l’ordinario, è uno scandalo ingiustificabile in un paese civile. E infatti quello che sta succedendo da noi, per quanto riguarda gli interventi sulla scuola, non trova riscontro in nessuno dei paesi sviluppati. Nessuno.
E la cosa ancora più grave è che provvedimenti di questo genere si prendono nel bel mezzo di un processo innovativo, sul fronte dell’organizzazione didattica e dei contenuti formativi (criticabile finchè si vuole, soprattutto in ragione dei tagli a cui si associa, ma potenzialmente migliorativo), che meriterebbe misure di sostegno e accompagnamento, oltre che di monitoraggio. Che purtroppo, invece, nella pratica scolastica si apprezzano come la metastasiana “Araba Fenice”.
Questo disastro va scongiurato.
È necessario, a questo punto, una mobilitazione delle organizzazioni sindacali e delle associazioni professionali (l’ANDIS di Milano già si è mossa con un suo comunicato molto netto), ma anche delle scuole (Collegi e Consigli di istituto), che evidenzi problemi e difficoltà e chieda soluzioni accettabili.
Non si chiede la luna. Solo di non essere presi in giro.
Forse andrebbe ricordato al MIUR che, almeno sulla carta, quello che sta cominciando è un anno importante per le sorti delle riforme da poco avviate; importante anche per riprendere e dare gambe a elaborazioni e interventi capaci di creare condizioni di contesto concretamente migliorative del fare scuola.
Per quanto riguarda i processi di riordino e riforma già avviati e in fase di realizzazione
(qui mi riferisco alla scuola secondaria), è noto infatti che con il nuovo anno scolastico si completa il processo di riordino del primo biennio e per la prima volta si attiverà, nelle aree Tecnica e Professionale, l’insegnamento di Scienze e Tecnologie applicate. È attraverso tale insegnamento soprattutto che gli studenti potranno verificare la fondatezza delle loro scelte di indirizzo.
Ma l’anno che parte dovrà anche necessariamente impegnare le scuole perché attraverso le Linee Guida per il secondo biennio degli Istituti Tecnici e Professionali (in fase di avanzata elaborazione, si dice) si realizzino le condizioni perché le innovazioni previste possano trovare non solo momenti di formazione docente mirata, ma anche di progettazione didattica; almeno per le classi terze del prossimo anno scolastico. (Come si sa, per i Licei, non ci sono Linee Guida, ma Indicazioni nazionali, – costruite, tra l’altro, con criteri e strategie di riferimento del tutto diversi; ciò, a evidenziare… l’unitarietà e l’equivalenza formativa del sistema scuola. Ma tant’è. In questo nostro strampalato paese, si arriva ormai a tollerare di tutto).
A proposito delle Linee Guida, a voler fare le cose come Dio comanda, bisognerebbe anche capire, in primo luogo, cosa ne è stato delle stesse lo scorso anno e come ha funzionato la progettazione curricolare e didattica.
Questo è il lavoro necessario richiesto perché il riordino produca innovazione e miglioramenti.
Ma, con questi chiari di luna, quale scuola potrà sentirsi impegnata su terreni così faticosi e importanti?
Che non sono, tra l’altro, gli unici su cui le scuole dovrebbero essere chiamate a lavorare. Andrebbero considerati infatti anche i risultati relativi all’attivazione dei dipartimenti e del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) (Su quest’ultimo, in molti casi, i problemi, come sappiamo, sono stati enormi e il quadro delle sperimentazioni tentate non è molto incoraggiante).
Come pure ci sarebbero da approfondire i primi risultati sulla certificazione delle competenze, realizzata, nelle Superiori, per la prima volta lo scorso anno scolatico, a cui molte scuole tra l’altro erano arrivate impreparate; e non per colpa loro. Ma problemi al riguardo si pongono anche per la Secondaria di primo grado.
Sul tema delle competenze, inoltre, gli interventi in termini di ricerca/sperimetazione – anche ai fini di una formazione docente più convinta ed efficace – richiederebbero elaborazioni complessive più approfondite. E ciò, a partire dalle riflessioni più recenti di chi pensa al lavoro per competenze non solo come metodologia didattica e progettuale, ma anche come possibile nuovo asse strategico di una scuola diventata di massa, chiamata a fare i conti con le trasformazioni senza precedenti dell’era digitale.
A questo punto, mi sembra addirittura insensato tirare in ballo ambiti di intervento, pure comunque fondamentali, relativi alle condizioni strutturali di contorno, accennati all’inizio. Come, ad esempio, la valutazione del personale, su cui lo scorso anno si è sviluppato un grosso dibattito a seguito delle sperimentazioni volute dalla Gelmini (tra l’altro miseramente fallite, ma a cui va riconosciuto il merito di aver sollevato una questione di grande rilevanza). Ambito importante di ricerca e di sperimentazione a cui si è collegata, tra l’altro, anche la riflessione sul Decreto Brunetta e le sue implicazioni sulla figura del Dirigente Scolastico e sull’idea di scuola ad esso sottesa.
Tutto questo per sottolineare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che non di tagli alle risorse per l’istruzione e la formazione si dovrebbe parlare (anche nell’attuale situazione di crisi economica), ma di ulterori investimenti. Nella convinzione, tra l’altro da tutti a parole condivisa, che senza investimenti su conoscenza e formazione non c’è futuro.
Un inciso, non comunque fuori tema: riguarda i ragionamenti e le analisi interessanti e preoccupate svolti quest’estate da Tiriticco e De Anna, anche su ScuolaOggi, sulla questione della “descolarizzazione” strisciante e di respiro regressivo che sta vivendo il sistema di istruzione e formazione nel nostro paese.
Mi sembra che gli interventi ultimi contro la scuola pubblica costituiscano ulteriori segnali di questa deriva.
Ovviamente si vorrebbe sbagliare.
Ciò detto, un elemento conclusivo di riflessione va aggiunto: cominciare un anno scolastico con uno stato d’animo depresso non giova a nessuno.
Ritengo inoltre che sarebbe miope e distante dall’etica democratica limitarsi solo ad inveire contro la politica e il Ministero. Anche se nell’attuale situazione, più di una tentazione, più che giustificata, ci sarebbe.
Comunque, alla cattiva politica – o a una politica inadeguata – non si può rispondere con la fuga dalle responsabilità specifiche, di singoli e di categoria – legate al proprio ruolo e alla proria etica professionale -, che non possono essere oscurate, senza tirarsi la zappa sui piedi.
So che quest’ultima considerazione può apparire contradditoria ed erroneamente salomonica.
Ma penso convintamente che non lo sia.
E questo perché, di fronte allo sconquasso nel quale ci muoviamo, o si sviluppa un diverso protagonismo delle associazioni professionali e delle organizzazioni sindacali – ma anche dei Collegi docenti singolarmente e/o in rete -, volto a farsi carico, per quanto sta nelle proprie possibilità, di un funzionamento decoroso delle singole istituzioni, oppure la scuola di tutti sarà sommersa da questa diffusa situazione di demotivazione e impotenza.
Con conseguente caduta di ogni speranza di uscire da questo sfascio giocando la carta dell’innovazione e del miglioramento.
O no?
da ScuolaOggi 04.09.11