Non sono un esperto in materia tributaria, né di finanza pubblica. Faccio l´imprenditore di un´azienda italiana, in un settore high-tech, presente sui più importanti mercati mondiali che coprono gran parte della nostra attività. E´ quindi per noi normale conoscere le condizioni in cui operiamo. E confrontando le realtà delle diverse economie, balza evidente che il nodo più macroscopico di differenza tra noi e gli altri risieda nella piaga endemica dell´evasione fiscale.
Sono rimasto quindi “sorpreso” per non dire “sconcertato” nel leggere che, sia nella manovra correttiva di luglio, sia nel decreto legge di metà agosto, il gettito previsto dall´evasione fiscale avrà un ruolo marginale. In particolare il decreto, ora in discussione in Parlamento, individua nel triennio un possibile prelievo aggiuntivo di neanche un miliardo di euro dalla lotta all´evasione, a fronte di un gettito stimato per l´intera manovra di 45 miliardi. Viene ripetutamente detto che “l´evasione è una battaglia persa in partenza” e che da decenni si cerca di abbattere il fenomeno ma con modesti risultati e che, comunque, il governo doveva assumere provvedimenti con effetti immediati, mentre la lotta all´evasione non può che manifestare i suoi effetti solo nel medio-lungo termine.
Ma l´enormità del fenomeno italiano (si stima che lo Stato subisca annualmente un mancato gettito tributario di circa 120 miliardi) e la differenza macroscopica, rispetto a quanto avviene, in tema di evasione, negli altri paesi della comunità europea, pongono interrogativi e scelte non più eludibili. È vero, i mercati e gli organismi internazionali tengono conto degli effetti a breve degli interventi volti a contenere il debito pubblico ma soprattutto valutano i provvedimenti strutturali di risanamento e di sviluppo.
Proviamo quindi a leggere alcuni dati prendendo come riferimento e fonte le pubblicazioni della Banca d´Italia. Ad esempio, emerge che in Italia il “numero delle operazioni pro capite con strumenti diversi dal contante” sono risultate pari nel 2010 a 66 contro una media dell´area euro di 176. Non è un caso che solo la Grecia (14) – paese noto per l´evasione fiscale – risulti l´ultima in classifica. Altri Paesi mediterranei, quali la Spagna (121) e il Portogallo (152) segnano valori non molto lontani dalla media europea. E questo significa che anche nella nostra area del mediterraneo è possibile – se si vuole – cambiare sistema. D´altro canto l´analisi disaggregata per aree territoriali fa emergere in Italia un rilevante divario tra Centronord (84) e Mezzogiorno (39). Una conferma questa che l´utilizzo dei mezzi elettronici è purtroppo modesto anche nelle stesse regioni del Nord comparabili per livello di reddito con quelle europee più sviluppate, quali la Francia che presenta un indice pari a 255. Inoltre non è un caso che la Francia abbia registrato nel 2010 una “emissione netta cumulata” di banconote pari a 84 miliardi di euro mentre per l´Italia il valore risulta il doppio, pari cioè a 145 miliardi.
È evidente che il permanere in Italia di una continua ed elevata propensione all´utilizzo del contante è il chiaro sintomo dell´endemica evasione fiscale del nostro Paese.
La strada principale per combattere l´evasione risiede quindi nell´abbattere la circolazione di carta moneta con l´obbligo di utilizzare per tutte le principali transazioni le diverse forme di pagamento elettronico (bonifici, addebiti, operazioni con carte) e assegni bancari che sono tracciabili e individuabili. Fa impressione leggere che, nel decreto di ferragosto, l´abbassamento della soglia (da 5 mila euro) a 2.500 euro per il trasferimento di contante è riportato tra le norme (art. 2, comma 4) in tema di “prevenzione dell´utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo”. Il provvedimento va nella direzione giusta ma è solo un pannicello caldo anche perché non è inserito in un forte programma contro l´evasione fiscale.
La Francia è riuscita a canalizzare larghissima parte di pagamenti e di riscossione senza movimentare denaro e senza quindi creare i presupposti per l´evasione fiscale. Certo, anche la Francia, come tutti gli altri paesi europei, ha dovuto lottare in questi anni contro l´evasione fiscale assumendo idonei provvedimenti e i risultati sono tangibili.
Ecco perché il governo e il nostro Parlamento devono trovare il coraggio di parlare con verità – come ha detto il Presidente Giorgio Napolitano – e di assumere provvedimenti strutturali di risanamento, di pulizia e di equità. In questa direzione va visto, e quindi riscritto, il decreto legge in tema di evasione fiscale. È assurdo porsi l´obiettivo di abbattere, alla fine del prossimo quinquennio, la metà dell´evasione fiscale attuale, con un vantaggio quindi per le casse dello Stato intorno ai 50-60 miliardi? È certamente un obiettivo durissimo perché tocca interessi diffusi e una incultura profondamente radicata nel nostro Paese. D´altro canto una seria politica volta alla drastica riduzione dell´evasione fiscale può rappresentare un forte stimolo per il rilancio e la crescita del nostro sistema economico e produttivo. Così si potrà avviare la riduzione della pressione fiscale, arrivata ormai a livelli eccessivi per i contribuenti, siano essi imprese o cittadini.
La Repubblica 25.08.11
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“La lezione di mr. buffett”, NADIA URBINATI
Perché fa tanto scalpore che un super-ricco ritenga di dover pagare più tasse e pensi che i suoi simili debbano fare altrettanto? La proposta del super-ricco Warren Buffett non è nuova: era stata ventilata lo scorso anno da Hillary Clinton la quale ebbe il coraggio di denunciare lo sfacciato privilegio che i ricchi si sono conquistati, anche grazie alla stabilità sociale che la democrazia garantisce. Infatti, se i meno abbienti continuano a stare al gioco e non rovesciano l´ordine sociale, se non bruciano auto e non assaltano negozi (o lo fanno solo sporadicamente), è perché a nessuno è consentito di acquisire un vantaggio così sfacciato da stravincere.
Su questo tacito accordo la disegueglianza economica può convivere con l´eguaglianza politica e non mettere a repentaglio la stabilità sociale. Ora, il Signor Buffett si è rivolto alla Commissione del Congresso che è in procinto di tagliare le tasse per almeno un trilione e mezzo di dollari nei prossimi dieci anni. Ha ricordato ai rappresentanti che a conti fatti, egli paga il 17% per cento di tasse mentre i cittadini medi pagano tra il 33% e il 41%. Ha infine fatto presente che i super-ricchi contribuiscono meno in tutti i sensi ai costi sociali (per esempio non mandando i figli a morire in Afghanistan) mentre sono i più “coccolati” dallo Stato, quasi che “appartenessero a una specie in via di estinzione” che merita protezione – benché siano ben lontani dall´estinguersi visto che hanno agguerriti avvocati difensori nelle commissioni legislative.
Il super-ricco americano ci ha dato un´esemplare lezione di democrazia. Nel nome dell´eguaglianza di considerazione e della libertà che ciascuno gode di ricercare la propria felicità, Buffett ha rivendicato una giusta tassazione che distribuisca sacrifici in proporzione alle possibilità. Prima che l´egemonia reaganiana facesse illudere i poveri che privilegiando i ricchi avrebbero ricevuto un qualche beneficio (perché, secondo la vulgata, meno tasse significherebbe più soldi da investire), i ricchi pagavano di più di quanto non paghino oggi e non per questo la società era più povera. Pochi ricordano e dicono che fino agli anni 50 i super-ricchi americani pagavano molte ma molte più tasse di ora (e anche le tasse di successione, magicamente sparite in molti stati democratici).
Buffett riporta in circolazione quella vecchia idea e rivolto a repubblicani e democratici suggerisce loro di invertire rotta e fare quello che in altri gravi momenti del passato hanno saputo fare: equilibrare il taglio delle spese con l´incremento delle tasse per i più abbienti. Si tratterebbe, lo ha ricordato di qua dell´Atlantico Jean-Paul Fitoussi, di una scelta che oltretutto non deprimerebbe i consumi. Ma, soprattutto, risponderebbe a un maggiore senso di giustizia perché riporterebbe il principio di proporzionalità al centro del discorso politico rinsaldando il patto di unità tra cittadini, un patto che il privilegio, invece, erode. Lo ha ripetuto con straordinaria chiarezza il nostro Presidente della Repubblica dal palcoscenico del Meeting di Rimini: verità sullo stato dell´economica ed equità delle misure economiche sono due facce della stessa medaglia; insieme possono motivare solidale responsabilità.
In questi diversi moniti è riflessa un´identica cruciale questione, emersa insieme alla trasformazione democratica delle società moderne: l´importanza di affiancare ai due pilastri individualisti (libertà ed eguaglianza) quello della solidale responsabilità verso la società tutta; un principio sancito anche nell´articolo 41 della nostra Costituzione, oggi sotto attacco da parte del governo perché, ci dicono i ministri, limita la libertà d´impresa in quanto chiede all´impresa responsabilità verso la società. Solidale responsabilità verso il patto fondativo della società non significa comunismo; significa invece riconoscere che è conveniente per tutti che ciascuno contribuisca secondo le proprie possibilità accertabili e accertate al mantenimento delle basilari condizioni della vita associata – un´idea che a Palazzo Chigi non piace se è vero che il Presidente del consiglio identifica le tasse con il furto (“mettere le mani nelle tasche degli italiani”) come se esse non servissero invece a ciò che è negli interessi degli italiani. Avere una giustizia efficiente e giusta, una burocrazia non spolpata ma resa funzionale al suo servizio (del quale la società ha comunque bisogno), un sistema scolastico e di ricerca degno di questo nome, un sistema di difesa e di sicurezza che consolidi il senso di tranquillità del vivere quotidiano: tutto questo è un bene da proteggere. E´ utile per tutti, ricchi e meno ricchi.
Insomma nell´argomento del super-ricco americano all´equità fiscale come nell´appello del Presidente Napolitano alla verità (sullo stato dell´economica ma anche dei contribuenti di fronte al fisco) non c´è alcun moralismo. Non c´è la noblesse oblige di chi è disposto a far l´elemosina al povero né un generico appello buonista alla solidarietá. C´è invece il richiamo molto ragionevole e opportuno alla “fraternità” tra cittadini – un sentimento meglio traducibile con l´interesse bene inteso che aveva colpito Alexis de Tocqueville nel suo viaggio americano, lui che veniva da un paese che aveva pagato un prezzo altissimo a causa dei privilegi di casta e del risentimento da essi generato. I rivoluzionari dell´89, volendo gettare le basi del nuovo ordine politico, avevano voluto affiancare alla libertá e all´eguaglianza la fraternità.
Le vicende tragiche del Terrore non hanno eliminato il senso di questo principio pur cambiandone le forme di attuazione: incardinato in un sentimento religioso di unità e compassionevole aiuto, il termine venne poi reinterpretato come “associazione” (termine caro a Mazzini) così da imprimere un senso di volontarietà al contributo di ciascuno alla vita sociale. Al di là della storia complessa del termine, è importante sottolineare come una società democratica composta di individui liberi e uguali abbia bisogno di un legame di solidarietà fra i cittadini più forte di quello che l´obbedienza alla legge può creare, di un individualismo cooperativo, non atomistico.
In alcuni momenti critici le diseguaglianze economiche richiedono un intervento che sappia infondere un senso di responsabile solidarietà che è poi senso di ragionevole utilità, di vera convenienza. La verità sullo stato dell´economica di una società e l´onestà dei cittadini di fronte ai loro obblighi fiscali sono funzionali alla fiducia, la quale è condizione perché ci sia solidarietà. E appunto, tra le verità da svelare vi è il privilegio di cui godono i pochi. Il super-ricco Buffett ha detto che il trattamento di favore garantito attualmente ai detentori di patrimoni crea un senso di privilegio al quale quei pochi si attaccano come a un dono naturale, con giustificato risentimento da parte dei super-poveri. È un dato certo e misurabile che i privilegi sono in aumento in tutte le società democratiche mentre diminuisce l´eguaglianza di opportunità (in un´intervista rilasciata a questo giornale, Luca Cordero di Montezemolo parlava alcuni giorni fa di un incremento delle condizioni di monopolio). Il privilegio cerca di preservarsi e si radica facendosi ordine castale; questo è un pericolo enorme poiché la diseguaglianza di ceto mina alla radice la democrazia in quanto toglie valore alla solidarietà di cui c´è bisogno per sopportare insieme sacrifici.
La Repubblica 25.08.11
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“Dialogo al bar tra onesti evasori”, di STEFANO BENNI
PRIMO SIGNORE – Ha letto cosa dice il governo sulla nostra economia?
Secondo signore – Ho letto almeno dieci posizioni diverse. Più che una maggioranza sembra un corso di yoga. Però su una cosa tutti concordano, la lotta all´evasione fiscale.
Primo signore – Non me ne parli. Stamattina vado al bar, consumo brioche e caffè e non mi danno lo scontrino.
Lo fanno solo a quelli con la faccia sospetta. Lei si immagina quanto può guadagnare un bar del centro?
– Secondo signore – Me lo immagino.
– E fuori dal bar c´erano due ragazzi con la chitarra, e davanti un cappello pieno di monete. Secondo lei, se mettiamo insieme tutti i suonatori di strada, quanti soldi non denunciati ci sono?
– Lei ha ragione.
– Poi vado a prendere la macchina e vedo il mio dentista che scende da una Porsche. Lei sa che un impianto dentario costa diecimila euro con le tasse e cinquemila senza?
– È successo anche a me. Il molare non ha una morale.
– Prendo la macchina parto, e mi sbarrano la strada tre auto blu, dico tre, che accompagnano una parlamentare in un ristorante. Chi paga il bollo delle auto blu e cosa succede al conto del ristorante? Lei conosce tutti i privilegi della casta. Sa che la Polverini usa un Canad Air per farsi lo shampoo?
– Non faccio fatica a crederlo.
– Insomma, dopo sono tanto arrabbiato che sfrego la macchina contro un segnale stradale. Vado dal meccanico e chiedo il preventivo. Lui dice, mille euro senza fattura, duemila con la fattura, tremila se lo dico in giro.
– Tutti uguali, lo so.
– Infine, giacché si era fatto tardi sulla strada vedo un transessuale. Così, per pura curiosità, chiedo cosa vuole. Mi dice trecento euro in macchina, cinquecento in casa. Ma lo sa quanti trans esentasse girano nella notte?
– Anche io li frequento per pura curiosità. È uno scandalo.
– Vado a casa, vedo una partita in Tv. Le sembra possibile che i giocatori dell´Inter abbiano ingaggi favolosi e non debbano pagare la supertassa?
– Sono d´accordo, ma perché solo i giocatori dell´Inter?
– Sono milanista.
– Capisco. Ma scusi, posso farle una domanda? Lei paga le tasse?
– Ma neanche per sogno. Io sono un imprenditore. La mia fabbrichetta è il mio Vaticano. Ho i capitali a Ginevra e le case intestate a tre nonne diverse. Prendo dei capannoni marci e denuncio false perdite. Pago in nero gli operai e faccio bollette finte per le materie in entrata. Con un trucco ho i sussidi europei per l´industria e tramite un cognato, anche quelli per la coltivazione dei girasoli.
– Ma….
– Lo so lei cosa vuole dire. Ma io produco, do lavoro e contribuisco al Pil, ci mancherebbe altro che dovessi pagare le tasse.
– E non ha paura di un´ispezione?
– Conosco un generale della finanza che ha una grande simpatia per me..
– Lei è davvero furbo e fortunato.
– E lei che lavoro fa?
– Sono un costruttore immobiliare e talvolta pago le tasse.
– Allora non perdo tempo con lei. È la gente come lei che rende insicura l´economia.
– Però riciclo soldi sporchi.
– Meno male. Venga, prendiamo qualcosa in un bar. E mi raccomando, lo scontrino!
La Repubblica 25.08.11