In occasione di ogni manovra finanziaria torna, immancabile, la discussione sulla (cosiddetta) lotta all’evasione. Basta guardare le tabelle riassuntive degli impatti dei decreti 98 e 138 predisposte dalla Ragioneria Generale dello Stato per capire che gli importi attesi dai (modesti) provvedimenti antievasivi sono poco rilevanti. D’altronde, in anni recenti il governo di centro-destra ha attribuito ad altre misure (il redditometro, ad esempio) un notevole di recupero di gettito.
Il punto, in effetti, non è quello di «dare i numeri», quanto piuttosto di affrontare razionalmente il problema partendo da alcuni punti fermi, senza i quali la discussione si trasforma in chiacchiericcio.
Primo: esistono pochi confronti internazionali affidabili, ma da quel che sappiamo tutti i Paesi mediterranei, Grecia e Italia in testa, sono caratterizzati da livelli di evasione più elevati rispetto agli altri Paesi Ocse, sebbene nessuno tra essi, neppure i celebrati Stati Uniti, siano esenti dal problema.
Secondo: è vero che i livelli di etica fiscale (tax morale, nella letteratura inglese) contribuiscono a spiegare i differenziali di evasione tra i diversi Paesi, ma non è vero che i fattori etico-culturali spieghino tutto, posto che, in una recente ricerca danese, è emerso che poco meno del 40% del reddito dei lavoratori autonomi viene occultato.
Terzo (e conseguenze): è l’opportunità che fa l’evasione, ed è riducendo le opportunità che si riduce l’evasione. Questo è particolarmente importante per un Paese come l’Italia che è caratterizzato (come la Grecia, e non è un caso) da un’elevata frammentazione produttiva, con 6 milioni di partite Iva di dimensione ridottissima, per i quali l’evasione è un ammortizzatore sociale poco costoso.
Quarto: non è affatto vero che l’evasione in Italia è sempre rimasta uguale nel tempo: secondo le stime ufficiali dell’Agenzia delle Entrate rese note nel recente Rapporto Giovannini, l’evasione dell’Iva nel 2007 è diminuita di 3 punti di Pil e nel 2009 si è ridotta di 0,8 punti di Pil, dopo un lieve aumento nel 2008. Il problema vero è che abbiamo solo delle intuizioni su cosa abbia causato questi fenomeni, ed è proprio da qui che bisogna partire per provare a sintetizzare i possibili interventi.
1 È necessario arrivare anche in Italia, come avviene nel Regno Unito, ad una stima ufficiale dell’evasione delle principali imposte, annuale e basata su metodologie condivise e trasparenti, con un tentativo di stimare l’impatto dei singoli provvedimenti sulla propensione all’evasione. Solo in questo modo sarà possibile sottrarre le valutazioni sull’evasione e sui suoi andamenti al chiacchericcio televisivo, dove vengono spesso citati dati sbagliati o che si riferiscono a fenomeni diversi, condendoli, per di più di interpretazioni discutibili quando non palesemente false.
2 L’enorme mole di dati di cui dispone l’Amministrazione finanziaria sui redditi dichiarati e presunti, i patrimoni, i consumi individuali va razionalizzataed integrata attraverso informazioni sui patrimoni finanziari (eventualmente da inserire in dichiarazione). Queste informazioni vanno rese fruibili agli uffici periferici in modo che questi possano dissuadere preventivamente i titolari di redditi d’impresa e da lavoro autonomo senza sostituto d’imposta dal presentare dichiarazioni palesemente false. Si tratta, in altri termini, di far sapere al contribuente che l’Amministrazione c’è e che l’Amministrazione sa, o quantomeno non è completamente al buio. Ciò consentirebbe, da un lato, di concentrare l’azione repressiva su un numero inferiore di soggetti e, dall’altro lato, costringerebbe l’Amministrazione stessa a razionalizzare le sue richieste di informazioni ai contribuenti, troppo spesso ripetute. Si attuerebbe così un vero e proprio cambiamento di paradigma organizzativo, da quello quasi esclusivamente repressivo a quello preventivo.
3 Nell’attesa che il cambiamento prefigurato al punto 2) si compia, devono essere ridotte tutte le opportunità di evasione, ad esempio introducendo ulteriori vincoli all’utilizzo dei crediti Iva in compensazione (misura introdotta nel 2008 e che ha fruttato un incremento di gettito di 6 miliardi), utilizzando le informazioni sui fornitori di beni e di servizi delle aziende strutturate e di maggiore dimensione e riducendo nella massima misura possibile l’uso del contante, avvalendosi per questo anche degli strumenti giuridici messi a disposizione dalla normativa internazionale contro il riciclaggio e incentivando l’uso degli strumenti di pagamento elettronici. Gli studi di settore vanno mantenuti in vigore, limitandoli ad un numero inferiore di soggetti, semplificandone e razionalizzandone la struttura logica e territorializzandoli sempre di più, anche in chiave di strumento di contrasto territoriale dell’evasione.
4 Le politiche per la razionalizzazione della struttura distributiva e per l’aumento delle dimensioni medie delle imprese vanno considerate a tutti gli effetti come delle politiche anti-evasione, posto che, entro certi limiti dimensionali, la propensione all’evasione tende a diminuire all’aumentare della dimensione, perché la contabilità è uno strumento di controllo interno dell’organizzazione aziendale. Secondo l’ipotesi di una relazione ad U tra evasione e dimensione, la propensione ad evadere torna a crescere tra le imprese di grande dimensione, ma in questi casi assume forme e modalità del tutto diverse (ai confini con l’elusione) che richiedono strategie di contrasto diverse.
La differenziazione delle strategie di contrasto sulla base delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative dei soggetti è la strada seguita sempre più spesso a livello internazionale, ma essa va perseguita cambiando gli obiettivi (e i connessi premi di risultato) dell’Amministrazione, che non possono basarsi esclusivamente sull’evasione contestata, ma anche sulla capacità di prevenire i fenomeni. Negli ultimi anni qualcosa sembra essere cambiato nel panorama politico, e in particolare nel centro-destra, dove si è passati dalla demagogia antitasse basata sugli ipotetici vampiri e sui condoni al recupero, e in taluni casi addirittura al rafforzamento, di provvedimenti varati o delineati dai governi di centro-sinistra. Si apre quindi un’opportunità di compiere una svolta quasi definitiva delineando una vera e propria strategia che va forse definita, più che di lotta all’evasione (espressione ormai abusata), di richiesta delle imposte dovute. Inutile dire che una simile opportunità sarebbe, forse definitivamente, sprecata se prevalesse la sciagurata ipotesi di varare un nuovo condonoo scudo fiscale che dir si voglia.
*Ricercatore di Scienze delle Finanze
da L’Unità
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«Nel Pdl rispunta il condono “tombale”», di v. co.
Proposta di due deputati ad Alfano e a Giorgetti. Allo studio altre sanatorie «L´ultimo. Tombale. E poi introdurre il reato di evasione». Giuseppe Centrella, segretario dell´Ugl, rilancia le parole magiche: condono fiscale. Non è il solo e nelle ultime, febbrili, ore per cambiare la manovra a saldi invariati la formula spunta di prepotenza sul tavolo di Alfano, segretario del Pdl, e di Alberto Giorgetti, sottosegretario all´Economia.
Il primo condono tombale, varato dal governo Berlusconi nel 2002, portò nelle casse dello Stato 20,8 miliardi (sui 25 previsti), preceduto e seguito negli anni da tre scudi per i capitali. Un buon auspicio per il secondo, che potrebbe arrivare ora. C´è tempo fino a lunedì 29 agosto alle ore 20, per depositare gli emendamenti. Il tempo stringe.
Una proposta in realtà già esiste. Riguarda 4 anni fiscali, dal 2006 al 2009, ed è a firma dei deputati Pdl Antonio Mazzocchi, questore della Camera, e Amedeo Laboccetta, membro della commissione Bilancio. «In Italia ci sono due milioni tra commercianti, artigiani e professionisti che si trovano in contenzioso col fisco o in posizione di evasione parziale o totale», e dunque da invogliare. «Il condono tombale porterà oltre 35 miliardi», è la stima. «Da utilizzare per le famiglie numerose, per alleggerire il contributo di solidarietà e combattere l´evasione», dicono. E poi, dopo, inasprire le pene: «Abbassiamo la soglia a 50 dai 100 mila euro per la dichiarazione di redditi o Iva infedele. E a 20 dai 77 mila se omessa. Poi alziamo il carcere da 2 a 5 anni. Oggi è da 1 a 3», suggeriscono. «Chi aderisce al condono tombale inibisce l´esercizio dell´azione accertatrice e dell´eventuale azione penale quando i tributi evasi superano la soglia di rilevanza penale, oggi fissata a 103 mila euro o 77 mila», a seconda dei casi, è il regalo. Renata Polverini, governatore della regione Lazio, si spinge anche oltre nelle stime, proponendo «un ultimo, definitivo, condono fiscale dal quale reperire non meno di 50 miliardi».
Al di là degli incassi ipotizzati, la misura non è peregrina. Un piccolo condono, quello sui contenziosi, è inserito nella manovra di luglio. Funziona così: il contribuente che ha vinto in uno dei gradi di giudizio con il fisco, può chiudere la lite versando il 10% dell´imposta evasa. Se non ha vinto, il 50%. Se la pronuncia del giudice deve arrivare, il 30%. Unico limite: un debito fiscale non superiore ai 20 mila euro. Questa soglia – un´ipotesi rispolverata ora – potrebbe scomparire e le due percentuali maggiori dimagrire.
da la Repubblica