In 20 anni di storia la Lega lo ha riesumato secondo le esigenze
Vent`anni di secessione sì e secessione no, ad anni alterni, secondo la stagione, in base a come gira il mondo o a come gira a Umberto Bossi. Ora gli gira la secessione sì esattamente come dodici mesi fa gli girava la secessione no e questo andirivieni padano prosegue da una vita, portando con sé il periodico scandalo o sollievo delle classi dirigenti.
Però non è difficile scovare la regola: è tempo di secessione quando la Lega molla la metà campo e gioca all`attacco, se non altro perché è la miglior difesa, e infiamma il pubblico assonnato o deluso.
L`epoca più di bigiotteria che d`oro della secessione cominciò nel 1996 e si concluse fra il `99 e il 2000, gli anni di Bobo Maroni che sfida gli sbirri come Enrico Toti, dell`assalto al campanile di Venezia con l`autoblindo serenissimo, del sortire tambureggiante di istituzioni padane che in due settimane sprofondano nello sbadiglio.
Però le minacce di qualche gusto, perché inedito, risalgono ai primi Anni Novanta quando Gianfranco Miglio studiò il sistema delle tre macroregioni (Padania al Nord, Etruria al Centro, Ausonia al Sud) che aveva uno spirito federale e un impatto squarciante, e fu accolto con raccapriccio dai reggenti della Prima Repubblica. Bossi parlava di piccole patrie e sventolava in solitaria un Trattato di Helsinki che al punto tale santificava l`autodeterminazione dei popoli. Ma si sa che Bossi è incendiario all`opposizione e pompiere al governo e l`autonomismo sfumò intanto che la Lega aveva mandato Silvio Berlusconi (coi voti) e poi Lamberto Dini (col ribaltone) a Palazzo Chigi.
E rispuntò in vista della nuova campagna elettorale. «Il voto l`ho chiesto non sul federalismo ma sull`indipendenza della Padania», disse Bossi nel `96, dopo aver raccattato il 10 per cento correndo in solitaria (e favorendo la prima vittoria di Romano Prodi); un risultato che premiava la secessione dalle coalizioni e indicava i gusti di un elettorato. Il gruppo parlamentare si chiamò dunque «Lega Nord per l`Indipendenza della Padania».
Bossi inaugurò la legislatura – cinque lunghi anni sui quali arrampicarsi – proclamando la via cecoslovacca alla secessione: cioè tutti attorno a un tavolo a tracciare nuovi confini. Gli toccò passare, per prevedibile e drastica carenza di interlocutori, alle marce sul Po, ai parlamenti padani, ai referendum folcloristico-istituzionali, alla guardia nazionale, al governo provvisorio, alla dichiarazione d`indipendenza. Le sentenze bossarde non conoscono appello: «Il federalismo non è più utile»; «la misura è colma, è superata per sempre, secessione!»; «non c`è nessuna possibilità di non fare la secessione».
Ma già nel `98 spunta un «o devolution o secessione» e, via via che proseguono gli abboccamenti coi vecchi alleati di centrodestra, la fondazione della Padania perde di vigore illusionista e nel `99 siamo alla «Padania che non vuol dire necessariamente secessione». Nel 2000 il Gran Capo fa la matura analisi: «Uscendo allora da un`alleanza di governo, non c`era altra possibilità che smettere di far politica o lanciare la secessione. E forse fu precipitosa l`uscita dal governo. Ma adesso siamo tutti cresciuti, anche Berlusconi».
Si cresce, si torna al governo, non si secede, si federalizza, si lavora agli assetti istituzionali e semmai, se c`è qualche intralcio nella nuova via legalitaria, un latrato è liberatorio: «Se non passa il federalismo, il nord torna alla secessione», dice Bossi nel 2003. E quando c`è l`approvazione del federalismo sciacquetto del 2005, Bossi si dà un modo da padre nobile: «Secessione addio, vince la democrazia». Ne siamo sicuri? Ma no. Passa un anno e mezzo e, perse le elezioni, la secessione ritorna sotto forma di «attrazione enorme». Perché? Ma perché «finora con le parole non abbiamo cambiato niente». Fortuna che il secondo governo Prodi dura meno di poco, Bossi torna nella stanze del potere e «attenzione, il Nord può rivelarsi una belva se viene ancora deluso . Il Nord ha la forza di conquistarsi la libertà, al di là di me e della Lega». Siamo alla fine del 2008. Però, ecco, magari questa è la volta buona. Magari a questo turno poche chiacchiere e tanta ciccia, perché «la secessione non è la soluzione giusta. La parola d`ordine è federalismo» (maggio 2010). Il federalismo che pareva fatto e battezzato, ma oggi c`è la crisi ed è più traballante dei governo:
l`aria è quella di un altro giro che si chiude ad accumulo di fuffa. «Arrivati a questo punto meglio fare la secessione», dice Bossi splendidamente inesausto.
LA STRATEGIA Il Carroccio la ripropone nei momenti in cui deve giocare all`attacco 1990. Il progetto La Repubblica del Nord. Il 20 maggio del 1990, in occasione del primo giuramento di Pontida, Bossi annuncia l`avvio del progetto che porterà alla creazione della Repubblica del Nord
1996. La proclamazione. A Venezia nasce la Padana. Dopo il rito dell`ampolla con l`acqua del Po, raccolta alle pendici del Monviso, il 15 settembre 1996 Bossi proclama a Venezia la nascita della Repubblica Federale Padana
1997. Le istituzioni. Il Parlamento Padano a Mantova. Il 26 ottobre del 1997 si svolgono le prime elezioni del Parlamento Padano (che successivamente si chiamerà Parlamento del Nord), con sede a Bagnolo San Vito (Mn)
2000. Il passo indietro. Nessuno scisma meglio il federalismo. Il 4 giugno del 2000, dal palco di Pontida, Bossi dice che «puntare sulla secessione sarebbe come chiedere l`impossibile e l`impossibile genera frustrazione».
da La Stampa