L´autunno dei patriarchi della destra al potere, Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, promette d´essere tragico. Ieri, a poche ore dagli ultimi disastrosi sondaggi per Pdl e Lega, si è scatenata una fragorosa corsa al si salvi chi può nelle fila degli alleati di governo. Davanti alla crisi, il leader della Lega è tornato a sventolare la bandiera della secessione, con toni mai usati dagli anni Novanta. Il premier ha dovuto rispondergli con un comunicato duro. Tradotto dalla retorica di circostanza, si capisce che Berlusconi non crede davvero nell´unità del Paese e in genere in nulla, ma è disposto oggi a dar ragione a chiunque, Napolitano o Obama, Merkel o Sarkozy o Bce, pur di rimanere aggrappato al potere ancora un anno o anche qualche mese. Al cospetto di una tale missione storica, la resistenza di Bossi e della Lega cominciano a diventare un serio ostacolo.
La rottura fra Berlusconi e Bossi è stata evocata molte volte senza altra ragione che l´ignavia di un´opposizione incapace di costituirsi come alternativa. Ma questa volta in ballo c´è la sopravvivenza stessa dei due leader e dei rispettivi movimenti, il primum vivere. Una spinta sufficiente per accelerare di colpo il lento caos della maggioranza.
La crisi più interessante è quella di Bossi e della Lega, perché imprevedibile. Fino a pochi mesi fa la Lega sembrava un´armata invincibile destinata a collezionare successi e allargare i confini geografici e politici del movimento, incassando milioni di elettori delusi dal berlusconismo e non solo. Che cosa è successo? Che di fronte all´ennesima promessa mancata, l´incantesimo fra la base e il vertice leghista si è rotto, complice il declino fisico e intellettuale del fondatore. Il punto più acuto di questa crisi si è toccato nell´ultima Pontida, quando di fronte a un popolo che invocava la secessione, un Bossi stanco e smarrito ha risposta con una misera lista della spesa e la pagliacciata dei tre ufficetti ministeriali a Villa Reale. Oggi Bossi ha capito ed è tornato sui propri passi, alle origini. All´unico vero obiettivo della Lega, da sempre dichiarato nel primo articolo dello statuto di partito: la secessione. Il federalismo è stato in questi anni un ripiego, uno strumento, una tattica. La Lega vuole la secessione del Nord, ma sa che per arrivarci serve una catastrofe. Per questo il Bossi degli anni Novanta tifava per l´esclusione dell´Italia dall´euro e quello di ora punta sul default dello stato, offrendo se necessario il proprio contributo, per esempio con la guerriglia sulla manovra economica. Su questa strada, le pretese del berlusconismo morente diventano un problema. È ormai chiaro che dal crollo di consensi o si salva la Lega o si salva Berlusconi, oppure muoiono entrambi, ma non sopravvivono insieme.
Lo stesso Berlusconi ha interesse oggi a entrare in conflitto con la Lega. È a palazzo Chigi dal ´94, con intervalli vari, e non ha combinato nulla, non una riforma. È l´uomo che ha governato più a lungo e più inutilmente il Paese. Ma è sempre stato un maestro nella creazione di capri espiatori, alleati cui addossare le colpe della propria incapacità. Oggi, cacciati Casini e Fini, gli è rimasto soltanto Bossi e il bisogno di un alibi si fa pressante, sotto i colpi di una crisi che rivela ogni giorno l´inadeguatezza del premier, l´incapacità di proteggere il Paese dalla speculazione internazionale. Quindi è prevedibile che nei prossimi mesi la ben oliata macchina del fango si indirizzerà contro l´unico capro espiatorio ancora disponibile su piazza, la Lega. A meno che di colpo Berlusconi non si assuma in prima persona le responsabilità di governo e decida di agire di conseguenza. Alla luce dell´esperienza di vent´anni, un´ipotesi di fantapolitica.
Una nota conclusiva. Per dieci anni Berlusconi ha giurato che il suo governo non avrebbe mai messo le mani in tasca agli italiani e Bossi ha ripetuto d´aver rinunciato alla secessione: coerenti fino all´ultimo.
La Repubblica 23.08.11