La manovra del governo è sbagliata e va corretta nel suo equilibrio fondamentale. Uno dei punti inaccettabili per il Pd è l’art. 8, intitolato “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”.
A dire il vero questa norma va stralciata dal decreto perché non c’entra niente con i saldi di bilancio e non ha nessun carattere di urgenza.
Sono anni che si parla di riformare la contrattazione collettiva e il ministro del lavoro ha da tempo presentato proposte su vari temi, fra cui una sul cosiddetto Statuto dei lavori, che riemerge ora in parte in questo art. 8.
Anzitutto la norma va ben oltre quello che suggerisce il titolo, perché investe in generale il ruolo del contratto collettivo, dandogli poteri assoluti di cambiare la gran parte delle norme del diritto del lavoro.
Noi siamo favorevoli a sostenere la contrattazione anche aziendale, ma non è questo il modo. In passato ci sono state molte esperienze positive di legislazione di sostegno, a cominciare dallo Statuto dei lavoratori, che questa norma vuole cambiare. Ma questa legislazione era veramente di sostegno, rispettosa degli orientamenti delle parti: ben diversa da questa.
Infatti, tanto per cominciare, la norma dell’art. 8 individua in modo inaccettabile due soggetti che potrebbero svolgere questa contrattazione: le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e le rappresentanze sindacali operanti in azienda. La prima formula è quelle usata tradizionalmente dal legislatore, la seconda è del tutto inedita. Ma tutte e due indicano soggetti sindacali diversi da quelli individuati come rappresentativi dal recente accordo interconfederale del 28 giugno 2011 che fissa una soglia di rappresentatività certificata e che a livello aziendale richiede che i contratti si facciano dalle Rsu o dalle Rsa rappresentative della maggioranza dei lavoratori. Il legislatore fa come se l’accordo non fosse stato appena firmato dalle parti, unitariamente. Eppure fino a ieri il governo ha sempre detto che voleva rimettersi alla volontà delle parti in questa materia.
A parte l’incoerenza, le conseguenze sono gravi per la serietà della rappresentanza. I contratti decentrati potrebbero essere conclusi da qualunque tipo di rappresentanza aziendale anche minoritaria e non legata a sindacati nazionali rappresentativi. Oppure da qualunque sindacato nazionale, anche da solo e senza verifica del suo mandato.
Tutto ciò è tanto più grave perché il decreto intende dare a questi contratti efficacia generale, cioè per tutti i lavoratori. Lo dice espressamente il comma 3 dell’art. 8 che contiene una sanatoria retroattiva degli accordi conclusi prima del 28 giugno 2011: una norma fatta per salvare gli accordi Fiat.
Qui almeno si richiede che gli accordi siano stati approvati con votazione a maggioranza dai lavoratori. Perché tale condizione è stabilita solo per gli accordi passati e non per quelli futuri? Non vedo il motivo.
Ma l’efficacia generale riguarda anche le intese del primo comma, quelle a cui il legislatore attribuisce il potere di regolare una serie di materie ora regolate per legge, quindi di cambiare la legge. Si tratta di quasi tutte le regole fondamentali del rapporto di lavoro: impianti audiovisivi, mansioni e inquadramento del personale, contratti a termine e a orario ridotto, regime di solidarietà negli appalti e nella somministrazione di lavoro, orario di lavoro, modalità di assunzione e di disciplina del rapporto, comprese le collaborazioni e le partite Iva , trasformazione e conversione dei contratti di lavoro, e conseguenze del recesso dal rapporto (salvo il licenziamento discriminatorio e quello della lavoratrice per causa di matrimonio) Anche in passato il legislatore ha delegato alla contrattazione la possibilità di flessibilizzare certe regole del rapporto ritenute troppo rigide: si voleva appunto una flessibilità negoziata.
Ma in questi casi la delega era sempre puntuale, su materie ristrette e contenuta entro limiti definiti dallo stesso legislatore. Qui invece la delega è senza limiti e senza criteri direttivi, pur riguardando norme e diritti fondamentali dell’ordinamento, come quelli dello Statuto dei lavoratori.
Un tale potere derogatorio è tanto più grave e inaccettabile in quanto può essere esercitato anche a livello di singola azienda da rappresentanze sindacali non rappresentative. Questo significa che possono introdursi nel sistema cambiamenti fondamentali da soggetti irresponsabili e in modo diverso azienda per azienda: una balcanizzazione del diritto del lavoro ingiusta e pericolosa per i lavoratori e, credo, anche per le aziende.
Una simile delegificazione presenta anche dubbi di legittimità, in tutti i casi in cui riguardi norme di ascendenza costituzionale o di derivazione comunitaria: orario, riposi, termine, eguaglianza ecc. Sono critiche simili a quelle da noi rivolte al cosiddetto “collegato lavoro” che voleva introdurre un arbitrato “di equità”, non tenuto al rispetto delle norme inderogabili di legge. Non a caso su questo punto si appuntarono allora anche i rilievi del capo dello stato che portarono a una modifica del collegato e a introdurre la condizione che l’arbitrato dovesse svolgersi nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.
da Europa Quotidiano 19.08.11