C’è chi dichiara meno ma anche chi non paga nulla. Quasi 9 autonomi su 10 denunciano meno di 20 mila euro Fra i dipendenti sono poco più di cinque. Possibile? Poi ci sono nullatenenti con il Suv in giardino. Ecco la mappa
Ad averceli in cassa quei 120 miliardi di imposte evase, oggi la gente parlerebbe delle vacanze e del trascorso pranzo di Ferragosto, altro che di questa manovra bis che fa grondare sangue perfino al cuore di Berlusconi. E invece non ce li abbiamo, perché questo è il paese dei furbi egoisti in cui l’evasione riguarda all’incirca un quarto del Pil. A pagarne il conto siamo tutti, ovviamente, ma a smaniare oggi, per questo numeroso esercito di disertori delle tasse, sono soprattutto quei 559 mila cittadini che prendono più di 90 mila euro l’anno, pagano ogni lira di tasse (43%) e ne pagheranno – secondo la stima del centro studi degli artigiani di Mestre – 44,3% dal 2014.
Questi 559 mila – secondo una stima del fisco – hanno però altri 900 mila confratelli di reddito che a pagare non ci pensano proprio: nell’intrallazzo e nel nero stanno e lì intendono restare, con buona pace di chi deve pagare pure il balzello del contributo extra. Perché io dirigente pubblico o funzionario privato – è il ragionamento – devo pagare ogni centesimo e il mio vicino, lavoratore autonomo, no? A guardare i redditi dei lavoratori autonomi, un po’ di rabbia – in effetti sale: l’86,1% dichiara meno di 20 mila euro, quando tra i dipendenti questa percentuale è del 56,4%. E se andiamo a valutare la cosa per categoria, solo i dirigenti d’azienda (105 mila euro), i farmacisti (112 mila) e i notai(327 mila euro) dichiarano – in media – oltre i 90 mila.
I chirurghi superano di poco i 60 mila, i commercialisti arrivano si e no a 50, i dentisti (i dentisti!) sono ancora più poveri (46 mila). E via elencando: gli assicuratori 33 mila, i baristi, come i fruttivendoli, fanno la fame con 16 mila euro (a Roma o a Milano: ma andiamo!), i concessionari di auto 17 mila, i ristoratori e i tassisti 14 mila, i parrucchieri addirittura 11 mila. Una folla di un milione e 67 mila italiani è alle soglie della povertà ma con Suv parcheggiato fuori, Smart per la figlia, moto rombante per il figlio e vacanze lunghe tutti gli anni. Possibile? Ieri mattina un comunicato regionale dell’Agenzia delle Entrate del Lazio raccontava – in tono assai formale, per la verità – la seguente storia: un gruppo di funzionari ha fatto un blitz tra i balneari di Ostia, Fiumicino, Fregene e altre ridenti località marine del circondario. Bene – anzi, male! – : hanno trovato che l’evasione fiscale riguardava oltre il 50% del fatturato, per un ammontare che superava il milione di euro. Gli esercenti dell’ombrellone e della sdraio guadagnavano – in media – 86 mila euro l’anno. E quanti ne dichiaravano? 18 mila. Secca replica dell’associazione balneari: non siamo evasori, eccetera, eccetera. Ma intanto gli agenti delle entrate – come si dice a Roma «l’hanno beccati cor sorcio in bocca». E che smentiscano pure. Un caso, si capisce. Ma all’Agenzia delle Entrate, hanno un ricco file in cui hanno registrato centinaia di casi come questo.
Sul blob «PorscheMania» – per dirne un’altra – si pubblicizza un raduno di Cayenne in Friuli, con orari, indicazioni stradali, ma anche un avviso: «C’è un posto di blocco della Guardia di Finanza per l’accertamento dei dati del guidatore ….» e giù commenti, insulti e la solita litania del «faccio quello che mi pare» e del «tanto non pago un ca…». Tuttavia l’Agenzia delle Entrate non scherza, e solo lo scorso anno – insieme a Inps e Equitalia – ha riportato all’ovile dello Stato 25 miliardi che stavano prendendo tutt’altra strada. «C’è un solo modo per far pagare chi ci marcia – spiega il direttore centrale dell’accertamento, Luigi Magistro stare con il fiato sul collo. Senza vessazioni, si capisce, ma senza farsi prendere in giro». E lo strumento l’Agenzia se lo sta dando: il famoso redditometro, che ha ormai una ventina d’anni ma che è stato completamente rinnovato: «Prima dice ancora Magistro – indagavamo su redditi sospetti valutando il tenore di vita delle persone alla luce di 7-8 parametri di riferimento.
Ora ne abbiamo messi a punto un centinaio: non solo auto, barche, cavalli, spese, ma anche iscrizione a club e palestre esclusivi, scuole private dei figli, eccetera. Nessuno pensi di farla franca alla leggera». Qualcuno invece ci prova, non si sa mai. E allora c’è una ricetta anche per i cittadini: non vi danno la ricevuta fiscale? – spiegano all’Agenzia delle Entrate – tanto chiedetela e se non ve la danno o se incrementano la cifra – «sa c’è l’Iva!» – rivolgetevi alla Guardia di Finanza (pronto intervento 117), oppure mandate il tutto all’Agenzia. «Stamattina mi è arrivata una segnalazione proprio sulla mia mail dice Magistro – che hanno trovato sul sito dell’Agenzia. L’ho letta e l’ho girata a chi di dovere: il controllo è scattato subito. Che vuole: controllare 3 mila grandi società è relativamente facile, 70 mila piccole aziende lo è un po’ meno ma si può fare. Ma 5 milioni di partite Iva, senza l’aiuto dei cittadini, come si fa?».
da www.lastampa.it
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“Ecco quanto ci costa l’imbroglio dell’evasione”, di Bianca Di Giovanni
L’evasione fiscale non sente la crisi. Stando ai dati diffusi dalle principali fonti statistiche (Istat, Ocse, Banca d’Italia), l’Italia resta il paradiso per gli evasori, confermandosi un inferno fiscale per chi paga le tasse. Appena chiusa l’ultima sanatoria sui capitali illegalmente esportati, arriva da Banca d’Italia un dato inquietante: sono ancora oltre confine almeno 140 miliardi. La caverna di Alì Babà che il ministro voleva svuotare (così Giulio Tremonti definiva i tesori racchiusi nei forzieri off shore) si è subito riempita o molto probabilmente non si è mai svuotata. Dei 100 miliardi “regolarizzati”, solo 35 hanno effettivamente attraversato le frontiere un anno fa, come ha segnalato Bankitalia nel silenzio imbarazzato del Tesoro. Il resto è rimasto all’estero, con l’impagabile vantaggio di essere stato “riciclato” dallo Stato. Ma l’infedeltà fiscale non riguarda certo soltanto chi riesce a trasbordare verso il Lussemburgo (paradiso numero uno per le società italiane) o la Svizzera (meta dei transfrontalieri).
L’Iva continua ad essere il “caso” nel “caso-Italia”, con un livello di evasione della base imponibile (dato medio 2005-08).
Ogni tre euro incassati, uno non viene dichiarato ai fini Iva. In questo modo vengono sottratti alle casse dello Stato 30 miliardi l’anno: circa due punti di Pil. Basterebbe recuperarne la metà per cancellare tre quarti della manovra per l’anno prossimo. Via il contributo sull’Irpef, via il taglio dell’assistenza, via quello agli enti locali e ai ministeri.
Secondo un’analisi dell’Fmi la perdita di gettito dell’imposta sul valore aggiunto dell’Italia è pari al doppio di quella tedesca o francese.
Altre fonti, molto meno scientificamente autorevoli ma che hanno il pregio dell’immediatezza, disegnano un quadro altrettanto allarmante.
Sul sito www.evasori.info un anonimo statistico italiano fuggito (anche lui) all’estero ha deciso di raccogliere e compilare tutte le segnalazioni di fatture non pagate, scontrini non emessi, lavori eseguiti in nero. Ebbene, la curva delle segnalazioni dell’ultimo anno somiglia a una salita sul Monte Bianco: si parte da quota 134mila a settembre 2010 per arrivare a 148mila di questo mese. Più di mille segnalazioni al mese, 33 al giorno.
LA BATTAGLIA DI VISCO
Il quadro è ben noto agli addetti ai lavori: fiscalisti, esperti economici e policy makers. La guerra sull’evasione tra i due fronti politici è sempre stata feroce. Quando Vincenzo Visco mise nero su bianco le sue misure, nel centrodestra cominciò unacontraerea potentissima. Quella serie di interventi era studiata come una tenaglia che non lasciava scampo. Il “pacchetto” prevedeva un conto corrente dedicato per i professionisti (una sorta di libro contabile dell’attività), la tracciabilità dei pagamenti a partire da 500 euro, l’elenco clienti-fornitori per gli esercenti, la trasmissione telematica al fisco dei ricavi dei commercianti, il divieto di “girare” gli assegni, l’anagrafe dei conti correnti bancari, le fatture telematiche per le aziende che lavoravano per la pubblica amministrazione e infine qualche correzione degli studi di settore (valutare oltre al fatturato anche le spese). In Parlamento e sui giornali si scatenò l’inferno. Si agitò lo spettro del “Grande Fratello” che si insinua nei conti correnti.
Intanto però i contribuenti cominciarono a pagare: 20miliardi di gettito in più al netto degli accertamenti in 18 mesi. L’Italia si avvicinava all’Europa, dove il fiscopuò chiedere alle banche i saldi dei conti a inizio e fine anno (Francia), rintracciando acquisti di yacht e fuoristrada, senza che nessuno reclami la privacy. Imbracciando la bandiera della “libertà economica”, il duo Berlusconi-Tremonti ha demolito gran parte di questa impalcatura.
Tutto azzerato il primo anno, salvo ripescare qua e là qualche mezza misura per fronteggiare l’emorragia di entrate.Comequella sulla cosiddetta tracciabilità a partire da 2.500 euro (nella vecchia manovra era 3.000), che non è affatto una misura antievasionemasolo antiriciclaggio. L’altra operazione di Tremonti è consistita nello stop alle compensazioni, e nell’allargamento dei casi di adesione e conciliazione.
In questo modo le casse pubbliche non si sono svuotate, consentendo all’Agenzia delle Entrate di sfornare numeri trionfalistici. L’ultimo: 24 miliardi recuperati nel 2010. Tra questi, 10 a seguito di controlli e 6 per minori crediti d’imposta (il resto è per lo più emersione di contributi). In sostanza non ci sono misure che spingono a pagare regolarmente (tecnicamente: aumentare la tax compliance), ma solo operazioni che favoriscono il pagamento di una “multa” quando si viene pizzicati.
L’ARMA SCARDINATA
In questo modo si è scardinata l’arma più potente per sconfiggere il “male” italiano. È chiaro che l’evasione c’è quando i redditi non sono tracciabili. Per avere successo, quindi, bisogna puntare a rendere sempre più tracciabili tutti i redditi, quelli da lavoro dipendente o autonomo, e quelli da rendite. Il governo Berlusconi ha fatto molti passi indietro su questo fronte, utilizzando l’arma della trattativa e del concordato con chi è sotto accertamento.
Una tattica che come al solito premia chi è furbo. Eppure si potrebbe fare molto già da oggi, perché dell’evasione si sa molto. Si conosce il suo ammontare (circa 120 miliardi l’anno, suuna base imponibile di 300); la sua distribuzione territoriale a livello sia delle regioni che delle province (l’evasione complessiva è più alta al Nord che al Sud, ma le imprese e i lavoratori evadono più a Sud). I tecnici conoscono l’incidenza rispetto alle diverse tipologie di reddito: è molto ridotta per i redditi da lavoro dipendente (3-4 per cento); inesistente per le pensioni (ma presente presso i pensionati che hanno un’altra fonte di reddito, spesso in nero); ridotta nell’industria in senso stretto (5-7 per cento), ma molto elevata nel settore delle costruzioni e ancora più in quello dei servizi. Tra i lavoratori indipendenti, i professionisti evadono dimeno(33-35 per cento) e gli imprenditori di più (50-60 per cento). A questo punto non servono più analisi, ma le scelte politiche.
da L’Unità
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“PAGARE TUTTI È POSSIBILE”, di Ruggero Paladini
La manovra minaccia severe sanzioni per gli evasori, con chiusura di esercizi commerciali e studi professionali in caso di mancata emissione di scontrini e fatture.
Queste misure saranno efficaci come le grida manzoniane. Una trentina di anni fa fu varata la legge «manette agli evasori», ma di questi in galera non sembra ce ne siano, e gli studi sull’evasione e sull’economia nera dicono che il fenomeno è vivo. L’Italia (con la Grecia) è il paese dove l’evasione ha il peso maggiore, e ciò deriva da una serie di fattori: un numero più che doppio di piccoli operatori economici, sia nell’industria che nei servizi; una limitata funzionalità della macchina fiscale; una diffusa idea che evadere è come superare un po’ i limiti di velocità, in fondo che male c’è, se non ti becca l’autovelox? Nei paesi scandinavi i reati più gravi (a parte quelli di sangue) sono l’evasione fiscale e la guida in stato di ubriachezza.
La via più efficace per contrastare il fenomeno evasivo non è quella sanzionatoria, che ovviamente non deve mancare, ma quella dell’azione di deterrenza, che opera aumentando la spontanea adesione degli operatori alle regole fiscali.
Per fare questo i contribuenti devono percepire una probabilità elevata di essere individuati dall’Agenzia delle entrate; nel periodo 2006-2007 l’evasione diminuì in via preventiva, in seguito ai provvedimenti di Visco sulla tracciabilità, l’elenco clienti-fornitori, le limitazioni all’uso del contante.
La misura principale da adottare, a tal fine, è molto semplice: le banche, la posta, i fondi d’investimento, insomma tutti gli operatori finanziari, inviano all’Agenzia delle entrate i documenti che periodicamente spediscono ai loro clienti; la stessa cosa deve avvenire nel caso di vendite di beni durevoli di rilevante entità, come gli automezzi. Nelle transazioni immobiliari devono essere segnalati i valori di mercato, e nonsolo i valori catastali, anche se le imposte dovessero continuare a essere pagate su questi ultimi.
In tale modo la conoscenza delle consistenze patrimoniali, reali e finanziarie, e dei flussi dei redditi, in capo a ciascun contribuente, permette di incrociare patrimoni e redditi e verificarne la congruità, in analogia a quanto avviene per i rendiconti finanziari delle società quotate. Lo stesso “redditometro”, inoltre, acquisirebbe un ulteriore strumento di controllo di immediata efficacia.
Anche nel caso delle prestazioni sociali soggette alla prova dei mezzi, l’Agenzia delle entrate potrebbe comunicare all’Inps non solo se il richiedente si è dimenticato di segnalare l’esistenza di un conto in banca,mala consistenza media nel corso dell’anno dello stesso.
I due soli modi per sfuggire ai controlli sono le operazioni compiute totalmente all’estero e quelle che si basano sul contante. Per le prime gli accordi già vigenti sia in sede europea sia a livello internazionale, nonché le misure contro i paradisi fiscali, possono limitare in parte queste scappatoie.
Occorre, tuttavia, intensificare il lavoro per rendere maggiormente operative le misure esistenti e introdurne di più stringenti. Per quanto riguarda l’uso del contante, il circuito cash, per essere efficace non deve mai intersecarsi con una banca; controlli a campione possono quindi essere usati, in aggiunta ad altre disposizioni, per limitare l’uso del contante.
Questo cordone ombelicale tra fisco e sistema finanziario esiste già in altri paesi, per esempio negli USA e in Francia. Potrebbe essere creato anche in Italia, ma non da un governo come quello attuale, che ha condonato a destra e a manca. La misura, infatti, impatta su una vasta platea di contribuenti, costituita da imprenditori, commercianti, professionisti e proprietari di immobili, nonché dipendenti con secondo lavoro in nero. Sono prevedibili le proteste che accompagnerebbero l’adozione di queste misure; si leverebbe una campagna su certa stampa con accuse di “grande fratello” e neo bolscevismo, che solo un governo diverso dotato di una ferma volontà e di una maggioranza solida sarebbe in grado di sostenere.
da L’Unità
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“Scontrini, sommerso, elusione così 120 miliardi ogni anno sfuggono alla tassazione”, di Paolo Ghiseri
E per gli onesti la pressione fiscale è del 52%. Con il redditometro 2 le voci prese per i controlli non saranno più una decina ma circa un centinaio: oltre all´auto entreranno la palestra, le scuole private di lusso, i telefonini. Quest´anno si riuscirà a recuperare circa il 10% della cifra sottratta alle casse dello Stato. Sono milioni i contribuenti che nascondono piccole cifre per alzare il tenore di vita
Se un euro ogni tre evasi venisse regolarmente dichiarato al fisco, non ci sarebbe bisogno della manovra che in queste ore dilania il centrodestra. Più della pressione fiscale, cavallo di battaglia delle campagne elettorali berlusconiane, il vero record italiano sono i 120 miliardi di euro che ogni anno vengono semplicemente rubati allo Stato. Recuperando solo un terzo di quella cifra si arriverebbe a 40 miliardi contro una manovra che nelle intenzioni del governo ne dovrebbe valere 45. Così la guerra agli evasori diventa uno dei dilemmi del centrodestra: costringere il proprio elettorato a far quello che, in modo subliminare, gli era stato fatto credere che non avrebbe mai fatto fino in fondo, pagare davvero le tasse.
L´effetto della rivoluzione che forse non si vedrà mai vale poco meno di dieci punti di Pil: secondo i dati diffusi dal ministero dell´Economia, la pressione fiscale in Italia pesa sul Prodotto interno lordo per il 43,5 per cento. Ma a costruire il Prodotto interno lordo italiano contribuiscono anche gli introiti che derivano dall´economia sommersa, quella che il fisco non riesce a vedere. Così il 10 febbraio scorso la Cgia di Mestre ha calcolato la pressione fiscale effettiva, quella che grava su coloro che le tasse le pagano davvero e costituiscono l´economia visibile: lavoratori dipendenti (tutti) e lavoratori autonomi (quelli onesti). Depurando il Pil dal fatturato del sommerso si scopre che la pressione fiscale effettiva è del 51,9 per cento. In sostanza se tutti pagassero le tasse, per questo solo fatto la pressione fiscale, a gettito invariato, scenderebbe di 8,6 punti percentuali.
La guerra all´evasione ha recuperato nel 2010 circa 10 miliardi di euro. Luigi Magistro, il direttore dell´Agenzia delle Entrate che coordina le operazioni sul campo di battaglia, sottolinea che «nell´ultimo periodo è stato compiuto un significativo passo in avanti rispetto ai 6 miliardi dei recupero di qualche ano fa. Ma certo la strada è ancora lunga». Se, come si prevede, nel 2011 si arriverà a recuperare 11-12 miliardi di euro, bisogna sempre tenere presente che si tratta comunque di un decimo del malloppo sottratto ogni anno alle casse pubbliche. E nessun ingegnere idraulico potrebbe ritenersi soddisfatto di una conduttura che perde per strada il 90 per cento dell´acqua.
Per condurre la guerra è necessario conoscere a fondo il nemico. Chi è l´evasore? Una possibile risposta si ritrova nel recentissimo report del gruppo di lavoro su «Economia non osservata e flussi finanziari» presieduto dal presidente dell´Istat, Enrico Giovannini, e presentato a Tremonti il 14 luglio scorso. L´identikit è basato sulla tendenza italica a raccontare frottole al fisco e a dichiarare la verità quando si è certi dell´anonimato. Così basta confrontare i redditi dichiarati alle Agenzie delle entrate con quelli, più cospicui, confessati nei questionari anonimi delle indagini statistiche della Banca d´Italia. Le differenze sono vistose: gli uomini dichiarano in media 3.200 euro in più quando sono certi dell´anonimato, le donne, più virtuose, solo 1.170. Si evade di più al Centro (17 per cento) ma si evade molto anche al Nord (14 per cento) mentre il Sud sembra più virtuoso. Ma, avvertono gli estensori del rapporto, potrebbe trattarsi di un´illusione ottica perché «secondo altre indagini l´economia sommersa dovrebbe essere in media più diffusa nel Mezzogiorno». Insomma nel Sud si riuscirebbero ad evadere anche le indagini sull´evasione. Drammatiche le differenze per tipologia di contribuente: si scopre così che i lavoratori dipendenti dichiarano addirittura un reddito inferiore quando sono tutelati dall´anonimato rispetto a quanto risulta dagli accertamenti del fisco mentre lavoratori autonomi e imprenditori nascondono il 56 per cento del loro reddito e gli iper ricchi confessano al fisco solo il 17 per cento delle loro effettive proprietà.
«Si fa presto a dire evasori – premette Magistro – perché c´è frode e frode. Sono milioni quelli che chiamiamo micro evasori, persone che lavorano in nero o nascondono una parte del loro reddito per mantenere un livello di vita che in realtà non potrebbero permettersi. In genere, quando vengono scoperti, non sono in grado di restituire il maltolto per il semplice motivo che lo hanno speso o lo hanno utilizzato per pagare il mutuo della casa. In questi casi l´accertamento fiscale e le inevitabili sanzioni possono provocare conseguenze drammatiche per chi li subisce». Sono i forzati del doppio lavoro o coloro che accumulano in nero una parte delle entrate e che si nascondono nella vastissima platea delle partite Iva, circa 5 milioni di italiani. Tante piccole evasioni che incidono sulla torta complessiva come l´ancor più vasta area dell´elusione, la zona grigia di coloro che pagano solo una parte del dovuto magari con la complicità dei commercialisti: «Può accadere – ammette Magistro preoccupato di non generalizzare – che un consulente ritenga di fare l´interesse dell´assistito aiutandolo a non pagare le tasse invece di ricordargli i rischi che corre».
I sistemi di indagine infatti si fanno sempre più sofisticati. Nei prossimi mesi dovrebbe entrare in vigore il redditometro 2, versione aggiornata del primo strumento, nato vent´anni fa, per confrontare dichiarazioni dei redditi e effettivi stili di vita: «Oggi le voci prese in considerazione sono una decina mentre domani saranno circa un centinaio», rivela Magistro. Oltre all´auto entreranno nel redditometro la palestra, le scuole private di lusso, i telefonini. Per negozi e ristoranti si ricorre a veri e propri stratagemmi: «In certi casi basta verificare quante tovaglie ha mandato in lavanderia una pizzeria per sapere qual è stato il reale giro d´affari», dicono all´Agenzia. Tutti deterrenti che non sempre servono a fermare gli evasori totali. Ma dovrebbero scoraggiare gli altri. Casi come quello della tranquilla impiegata di Reggio Emilia che nel 2006 ha dichiarato un reddito di 27 mila euro e che invece aveva entrate nascoste per 450 mila euro. E´ stata scoperta perché ha acquistato azioni per oltre 2 milioni e ha cercato di giustificarsi: «L´ho fatto per fare un favore agli altri soci che sono miei amici».
Ingenuità che non commettono i grandi evasori, le società che hanno la possibilità di frodare milioni al fisco. In Italia ci sono 3.000 aziende sopra i 100 milioni di imponibile annuo e 70 mila tra i 5 e i 100 milioni. «Con le grandi aziende – spiega Magistro – c´è da tempo un´azione di tutoraggio, la collaborazione è spesso proficua per loro e per il fisco. Stiamo ora concentrando l´attenzione su quelle medie». I trucchi per evadere in questi casi sono abbastanza tradizionali. Uno dei più diffusi è quello dell´esportazione dei capitali o del trasferimento della stessa sede sociale nei paradisi fiscali. A febbraio è stata scoperta una società sarda che ha mantenuto l´attività a Cagliari ma ha spostato la sede a Panama. E´ stata costretta a pagare 5 milioni di euro tra sanzioni e recupero del dovuto. Più ingegnosa la truffa scoperta ad Ancona a febbraio: un milione e mezzo di tasse evase da una società del settore ittico che dichiarava di pescare due terzi delle vongole che effettivamente vendeva. Quando i funzionari dell´Agenzia delle entrate hanno messo alle strette i titolari, si sono sentiti rispondere che le vongole erano sì state pescate ma poi erano state ributtate a mare perché considerate scarto. Il fisco, questa volta, non ha abboccato.
da La Repubblica