Dopo tre anni la destra che governa l’Italia è stata costretta ad ammettere che la crisi c’è e che il Paese versa in una situazione drammatica. Per quasi mille giorni, Silvio Berlusconi e i suoi ministri hanno ridimensionato ripetutamente il problema, accusando di “disfattismo e “pessimismo” chiunque osasse levare una voce di critica costruttiva. Poi, in una drammatica vigilia di Ferragosto, hanno varato una manovra straordinaria che, senza dubbio, colpisce i più deboli, imponendo sacrifici amari. Abbiamo sentito ripetere in questi giorni che la sanità non sarà indebolita, che non sono stati previsti nuovi tagli o nuove tasse. Dopo i colpi di forbice indiscriminati della manovra varata a luglio e l’imposizione di due ticket irragionevoli, una notizia del genere dovrebbe servire per rassicurarci. Ma temo, purtroppo, che non corrisponda a verità: se l’anticipazione di un anno del federalismo, annunciata sabato da Roberto Calderoli, porterà con sé anche l’avvio dei costi standard, il Servizio Sanitario Nazionale sarà cannibalizzato da un sistema che non tiene conto delle reali esigenze di ciascuna Regione.
Il ministro della Salute Ferruccio Fazio, a mio avviso, dovrebbe affrettarsi a fare chiarezza su questo punto: la riforma federalista della sanità italiana, così come concepita dalla destra, è già confusa e poco lungimirante, anticiparla di un anno sarebbe irresponsabile. E, soprattutto, il governo dovrebbe spiegare come la attuerà, se neppure i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) sono stati approvati. I Lea definiscono le cure, gli accertamenti e gli interventi medici e chirurgici che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutte le persone sull’intero territorio: quelli italiani sono vecchi di dieci anni e non tengono perciò conto dei tanti progressi tecnologici ottenuti nel tempo. Questo ritardo danneggia ovviamente i pazienti e mette in difficoltà gli operatori sanitari: la medicina per fortuna non è la stessa del 2001, ma tale è rimasta per il governo. Non aggiornare il tipo di terapie attuabili, ad esempio, per curare una neoplasia, significa incrinare l’efficacia e l’efficienza delle cure. Al “governo del fare” del nostro presidente del Consiglio, imprenditore tanto pragmatico e concreto, sarebbe bastato continuare nel 2008 il lavoro già iniziato dal Governo Prodi: i Lea infatti erano già stati riscritti, sarebbe stato sufficiente un
timbro. Uno sforzo troppo impegnativo per la destra? Non è tutto. Le prestazioni previste dai Livelli Essenziali di Assistenza andrebbero verificate periodicamente in modo da impedire che vi siano disparità di trattamento, ad esempio, tra gli ammalati di Aosta e coloro che vivono a Trapani. Si tratta di controlli cruciali per non costringere i pazienti alla cosiddetta migrazione sanitaria, che spinge ogni anno circa un milione di persone dal sud al nord in cerca di una rete di assistenza funzionante ed efficiente. Questo fenomeno è davvero
preoccupante e diffuso: per citare un caso recente, la compagnia aerea Trawel Fly e gli ospedali Riuniti di Bergamo hanno sottoscritto una convenzione che garantisce tariffe ridotte del 25% sui voli per chi sceglie di curarsi nel nosocomio bergamasco. Niente di male, ovviamente, ma la Trawel Fly collega l’aeroporto di Bergamo con i maggiori scali del sud Italia (Catania, Crotone, Lamezia Terme, Lampedusa, Napoli, Olbia, Pantelleria, Reggio Calabria). Non credo sia un caso che tali intese commerciali si sviluppino coinvolgendo ospedali del nord e pazienti del sud: questa è la realtà su cui il governo avrebbe dovuto intervenire, anche applicando l’articolo 120 della Costituzione che prevede il commissariamento per le Regioni
che non sono in grado di garantire la qualità delle cure. Introdurre i costi standard in questo contesto, significherebbe punire in maniera intollerabile i cittadini del sud, già vessati da servizi sanitari regionali
inefficienti, senza far nulla per migliorare le loro condizioni di vita nel momento più fragile, quello della malattia. Non basta dire alle regioni, questo è quanto deve costare la cura per un tumore o una tac, per il resto sbrigatevela da sole. Non è un federalismo responsabile e porterà solo danni, perché si considerano solo gli aspetti economici e finanziari.
Servono, invece, una valutazione e una verifica complessiva, che tengano conto anche delle gravi difficoltà gestionali nelle regioni del
centro-sud. Ma forse è la strada leghista che avrà la meglio: non serve una riforma responsabile ma un federalismo dell’abbandono, per cui chi vive al nord ha gli ospedali che funzionano e non si interessa del destino del sud. Oppure, ancor peggio, un federalismo
cannibale, per cui si dirà ai cittadini del sud: “venite da noi al nord, pagate e sarete curati
L’Unità 15.08.11