Con il nuovo decreto anche l’articolo 18 diventerà derogabile rendendo più facili i licenziamenti. Una norma da cancellare. È importante che il sindacato ritrovi una posizione unitaria
Una vendetta. Un colpo mortale al diritto del lavoro e ai diritti dei lavoratori. Erano tre anni che il ministro Sacconi cercava il momento buono. E ora, dopo i tentativi andati a vuoto, sembra averlo trovato. Il varo della manovra-bis – imposta dall’Europa a un governo assente e indecente – gli ha spianato la strada. Da oggi, grazie all’articolo 8 del decreto, curiosamente compreso in un Titolo III denominato «Misure a sostegno dell’occupazione», il principio della derogabilità di leggi e contratti diventa regola dominante. Le prerogative e l’autonomia delle parti sociali sui temi del lavoro sono oggetto di una pesante invasione di campo. E l’accordo negoziato unitariamente da Cgil, Cisl e Uil e Confindustria lo scorso28 giugno viene messo, nei fatti, in discussione.
Nel testo di Sacconi non solo c’è una deroga – che sembra ritagliata su misura per Marchionne – che riconosce la validità erga omnes degli accordi stipulati alla Fiat di Pomigliano, di Mirafiori e alla ex Bertone. Si stabilisce anche un principio in base al quale d’ora in avanti sindacati “comparativamente più rappresentativi”, a livello nazionale o di azienda, potranno stipulare contratti aziendali sostitutivi di quelli nazionali. Senza nessuna certificazione della rappresentatività reale e senza nessun referendum tra il lavoratori. Un colpo mortale alla democrazia sindacale e al contratto nazionale.
È inutile che il ministro del Lavoro, come nelle sue dichiarazioni successive al varo del decreto, si sforzi di spiegare che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quello che impedisce i licenziamenti senza giusta causa) non viene toccato. La realtà dice un’altra cosa, opposta. La nuova norma afferma che anche l’articolo 18 è derogabile, ad eccezione dei licenziamenti discriminatori e dei licenziamenti delle lavoratrici in “concomitanza di matrimonio”. Per il resto, in azienda, le parti possono concordare ciò che vogliono, anche la modifica della disciplina del recesso. Unaconcessione evidente nei confronti di quegli imprenditori che da sempre chiedono norme meno rigide sulla “mobilità in uscita”, cioè una maggiore libertà di licenziare.
Soprattutto in tempo di crisi, si tratta di un segnale grave e preoccupante che può aprire la strada a situazioni socialmente insostenibili. Altro che patto di solidarietà tra generazioni. Minando l’articolo 18 e rendendo più facili i licenziamenti si dà, indistintamente, un colpo a giovani e anziani. E come sempre, a pagare il prezzo più alto, saranno i più deboli. È preoccupante che l’attenzione della maggior parte dei mezzi di informazione sia stata monopolizzata dagli altri provvedimenti, mediaticamente più appetibili. Risulta poco comprensibile l’atteggiamento di Confindustria, che ha cercato di minimizzare affermando che quanto
disposto è addirittura in linea con l’intesa del 28 giugno. L’augurio è che di fronte a questo attacco al diritto del lavoro si ritrovi rapidamente una posizione unitaria del sindacato.
Quella varata venerdì sera dal governo è una manovra ingiusta, inutile e odiosa. Colpisce nelle tasche i soliti noti, cioè chi da sempre già paga, ha come componente essenziale lo scempio dello stato sociale e non contiene alcun serio provvedimento per lo sviluppo. Ma è anche una manovra che mira a ridurre in modo scientifico gli spazi di democrazia, le tutele a sostegno dell’occupazione e i diritti di chi lavora. E questo va denunciato con forza. Il Partito democratico deve assolutamente respingere la manovra al mittente. Ma deve anche, nel presentare i suoi punti alternativi, mettere in evidenza quello riguardante il lavoro che rischia di essere sottovalutato. Dobbiamo dire con chiarezza che l’articolo 8, quello relativo alla “contrattazione di prossimità”, va cancellato e che le norme che disciplinano i licenziamenti non vanno toccate se non vogliamo condannare i giovani alla precarietà a vita. Infine, un punto di proposta qualificante, deve essere il recepimento per legge dell’accordo del 28 giugno in materia di contrattazione e rappresentatività. In tempi di crisi difendere il lavoro e tutelare chi lavora è più essenziale che mai e, vista la situazione, occorre una
forte mobilitazione politica e sociale.
L’Unità 15.08.11