La rasoiata (come l’ha definita il quotidiano dei vescovi Avvenire) c’è stata. Sarà stata la pressione della Bce, o magari l’ultima settimana nera di Piazza Affari che ha bruciato oltre 80 miliardi di euro, ma alla fine il Governo ha trovato lo scatto d’orgoglio per rafforzare la manovra di luglio. È l’ambizione, però, che è mancata. L’ambizione, e il coraggio, di trasformare un decreto correttivo d’emergenza in un provvedimento in grado di ridare anima e fiducia a una crescita economica che per l’Italia continua a restare un sogno perduto.
Che la manovra segni una sterzata decisa nel segno del rigore è nei numeri di questa manovra. Una correzione in un anno di quasi 2,5 punti di Pil (e di un un altro 1,5 nell’anno successivo) è davvero un colpo da far «grondare sangue», secondo le parole dell’inedito presidente del
Consiglio di questi giorni.
Ma non è solo il saldo che conta. L’analisi delle misure per il prossimo anno (finalmente si può ragionare su interventi che diventano operativi in tempi rapidi) evidenzia come la correzione aggiuntiva di 20 miliardi avvenga per oltre 17 con tagli alla spesa pubblica. Per l’esattezza: quasi sette sui ministeri, 6 sugli enti locali, 4 sull’assistenza (invalidità, accompagni, pensioni sociali), uno attraverso minori misure previdenziali.
Per i mercati questo è un buon segnale. Perché il risanamento vero si fa con i tagli di spesa, non con le tasse. Se oggi l’Italia è di nuovo in condizioni di emergenza è perché il contenimento del deficit e del debito nell’ultimo ventennio è avvenuto soprattutto attraverso misure una tantum, nuove entrate e riduzione degli interessi sul debito (effetto euro). La spesa pubblica, invece, ha continuato a correre: dal 2000 a oggi siamo passati da 592 miliardi a 742 miliardi.
In questa manovra, invece, i tagli di spesa ci sono. Ma sono credibili? Su questo è legittimo più di un dubbio. Perché sui ministeri non c’è ancora l’indicazione di quali siano le spese e i comparti su cui i tagli saranno operati; perché sull’assistenza non c’è alcuna indicazione di merito, se non l’impegno complessivo; perché su Enti locali e Regioni saranno questi ultimi a dover tradurre in realtà i tagli. È un’indeterminatezza che può essere pericolosa: potrebbe indebolire la credibilità dei tagli al cospetto dei mercati.
Il principale punto di debolezza, però, è un altro. È in quello che nella manovra non c’è. Nell’ambizione e il coraggio, si diceva, di puntare non solo sulla necessaria rasoiata, ma sull’altrettanto necessaria crescita economica.
Il coraggio – e la responsabilità – per esempio di intervenire con decisione sull’età pensionabile per liberare risorse utili ad alleggerire il peso di quel cuneo contributivo che asciuga le buste paga e grava sul costo del lavoro. Nel Manifesto per la crescita e il rigore, pubblicato dal Sole-24 Ore, si indica l’innalzamento in tempi rapidi dell’età pensionabile a 70 anni. È un obiettivo, si poteva fare molto meno, ma il nulla (o quasi) no. Se ne prenda atto: l’Italia non può più permettersi un’età di pensionamento più bassa di partner europei dalla grande solidità finanziaria.
Lo stop sulla previdenza è il segnale più evidente di una manovra senza ambizione. Tra le ipotesi in campo c’era anche l’aumento delle aliquote Iva di 1-2 punti per liberare oltre 10 miliardi da destinare alla riduzione delle imposte sul lavoro. Una misura utile a crescere. E anche questa per ora è stata archiviata.
Sono stati approvati, questo è un bene, il rafforzamento dei contratti aziendali e gli incentivi alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, ma l’eterna riforma delle professioni è stata ancora in gran parte svuotata. Poco o niente, poi, sulle liberalizzazioni, sulla ricerca, sull’università, sulla trasparenza della pubblica amministrazione.
È questo il buco nero della manovra. Un Paese senza crescita è un Paese che perde il futuro. E alla lunga è anche un Paese che non riuscirà a tenere in ordine i propri conti. Perché se non si produce ricchezza non si fa neppure risanamento. Sarà utile che il Parlamento ne tenga conto, altrimenti potremmo accorgerci presto che la rasoiata sarà arrivata dritta al collo del sistema Italia, e non avremo più le forze per reagire.
Il Sole 24 Ore 14.08.11