Adesso anche il ministro Tremonti, la testa di ponte leghista nel Pdl, è finito nel mirino. E non l’ha presa per niente bene. Se Umberto Bossi è giunto ad attaccare perfino l’amico Giulio, appare ormai evidente come la Lega non sia in grado di avere una linea politica chiara. L’effetto è sotto gli occhi di tutti: un galleggiamento dell’esecutivo che sta trascinando a fondo il paese, costringendo la Bce e il Quirinale a prendere in mano la situazione, grazie anche all’assunzione di responsabilità delle opposizioni.
Qui non è più una questione di pernacchie e diti medi alzati. Non sono solo intemperanze e sgrammaticature politiche (oltre che linguistiche) da accettare perché «sono fatti così», in nome della stabilità del governo. Del «non cambiare il pilota durante la tempesta», per dirla con Romano Prodi. C’è un problema che parte da via Bellerio, passa per palazzo Chigi e torna nuovamente in Padania, in una piazza Affari che continua a sprofondare come nei comuni soffocati dagli interventi dell’esecutivo.
Il Carroccio è senza guida. Bossi non è più oggettivamente in grado di tenere quello che una volta era considerato l’ultimo partito leninista in Italia. È inevitabile dirlo: anche e soprattutto per i suoi problemi di salute. Il “cerchio magico” prova a tenerlo in sella, nella speranza di prevalere a breve nello scontro interno, ma anche i suoi componenti più noti (Renzo detto “il Trota”, Rosi Mauro, Reguzzoni, Bricolo) non godono di grande autorevolezza, nemmeno tra la base.
Chi l’autorevolezza ce l’ha, dentro e fuori il partito, è invece Roberto Maroni. Lo ha dimostrato sul pratone di Pontida (emblematico lo striscione “Maroni presidente del consiglio”), lo ha confermato a Montecitorio, con il voto dei “suoi” a favore dell’arresto di Papa. Da allora, però, Maroni tace. Non che ci si aspettasse un immediato colpo di mano: Europa è stata tra i primi a frenare gli entusiasmi di chi già vedeva il suo trasloco dal Viminale a palazzo Chigi a capo di un governo di responsabilità, che non era visto male nemmeno da una parte del Pd.
Ma era difficile immaginare che il suo low profile lo portasse perfino a disertare un vertice cruciale, come quello di ieri sera a palazzo Grazioli.
Il momento dell’avvicendamento è arrivato. Serve alla Lega, che è nata prima del berlusconismo, ma rischia di morire con esso. Serve al governo: questo o un altro che sia, comunque non può prescindere dai numeri leghisti in parlamento. Serve al Quirinale, che non può contare su un interlocutore pronto a salire al Colle solo «se serve» (Bossi ieri). Serve perfino alle opposizioni, compreso un Pd che, sparito Maroni, ammette di aver perso il filo di dialogo che aveva costruito con il Carroccio. Serve, in definitiva, all’Italia. Padania compresa.
da Europa Quotidiano 12.08.11