Nell´Italia di oggi va di moda il gioco dell´oca: si tirano i dadi, si avanza di qualche casella, ma alla fine si ritorna sempre al punto di partenza, ossia al biennio 1992-93, l´età di Tangentopoli, perché in tanti sono convinti che l´attuale fase politica abbia delle analogie con il tempo in cui finì la cosiddetta “Repubblica dei partiti”. L´ultimo a cogliere elementi di corrispondenza tra i due momenti è stato il leader dell´Udc Casini nel dibattito alla Camera, il quale ha parlato della «fine di un´epoca» simile a quella di vent´anni fa.
Ai tempi di Mani pulite il discorso pubblico fu presidiato da tre retoriche nazionali: la prima riguardava il ruolo salvifico e di supplenza della magistratura destinata a surrogare un sistema corrotto e allo sbando; la seconda si fondava sull´autosufficienza rigeneratrice della società civile, giudicata per principio incontaminata e quindi in grado di sostituirsi al vecchio regime; la terza offriva una lettura rivoluzionaria di quel passaggio storico tesa a sottolineare soltanto gli aspetti di rottura e non le dinamiche di conservazione e di trasformismo che nel frattempo si andavano addensando sotto i velami della propaganda. Sappiamo tutti come è finita: l´uscita da quella crisi di regime fu a destra, con il successo di Berlusconi, lo sdoganamento di Fini e l´ascesa di Bossi, cui è seguito un lungo ciclo personalistico, populista e plebiscitario che invece di risolvere i problemi del Paese li ha ulteriormente aggravati e oggi mostra tutta la sua conclamata insufficienza.
All´indomani del voto amministrativo si è sollevato un vento di protesta che ha recuperato alcuni luoghi comuni del discorso pubblico al tempo di Tangentopoli con l´obiettivo di produrre i medesimi effetti di scardinamento del sistema. Il primo argomento è costituito dalla polemica contro la casta che è stato inopinatamente sovrapposto al tema dei costi della politica, da ridurre e da equiparare agli standard europei. In questo modo si attacca indiscriminatamente il Parlamento e non il Governo, si confondono le responsabilità di Berlusconi con quelle dell´opposizione e si concede al Cavaliere una provvidenziale boccata di ossigeno. È facile prevedere che tale situazione di stallo durerà a lungo e che il vento dell´antipolitica continuerà a soffiare impetuoso perché il sistema di potere italiano è stato colto impreparato sia dal collasso del consenso berlusconiano, per la prima volta non sostituito da una crescita della Lega, sia dall´imprevisto successo del Partito democratico.
L´altra carta su cui puntare è l´azione della magistratura, la quale, come è giusto che sia, dove vede ipotesi di reato indaga senza fare sconti a nessuno. Se il sogno di un provvidenziale e rigeneratore tsunami giudiziario conquista tanti commentatori, sarebbe bene però non dimenticare le lesioni del garantismo che caratterizzarono quella stagione, quando la miscela di antipolitica e di giustizialismo finì per favorire la destra e di fatto assicurò una sostanziale impunità ai corrotti. Rispetto al 1992 l´azione giudiziaria appare più accorta e meno televisiva, senza che si affermi un unico centro propulsore simbolico come la procura di Milano. Ieri la magistratura agì come contropotere e puntava alla confessione dell´imputato attraverso l´esercizio della custodia cautelare, oggi più sulla delegittimazione morale preventiva tramite le intercettazioni.
Coloro che tirano i dadi al gioco dell´oca commettono l´errore di ignorare le specificità della crisi di regime del 1992-93. Anzitutto la fine della Guerra fredda che aveva giustificato la democrazia bloccata italiana e favorito, nel corso degli anni Settanta, la deriva tra consociativismo e sovversione armata. Allora ad avviare la slavina fu il venire meno di una tenuta internazionale. In secondo luogo, il ruolo svolto dal terrorismo mafioso che, come è sempre avvenuto nei cambi di potere, impiegò le sue carte per dimostrare che bisognava comunque scendere a patti e stabilire nuove forme di convivenza con Cosa nostra. Infine, erano in campo forze fresche disposte a giocare fino in fondo la propria partita: Berlusconi e Bossi, i quali appaiono oggi come astri in via di spegnimento o dalla stentata sopravvivenza, certo incapaci di convogliare su di sé speranze di rigenerazione politica.
Anche le ricette che circolano per accompagnare l´ipotetica uscita di scena di Berlusconi prima della scadenza naturale della legislatura ricalcano orme passate: l´esperienza di Ciampi, ossia di un esecutivo di salvezza nazionale che unisca le risorse migliori del Paese, o un governo di larghe intese, come fu quello di Dini, che preveda il sostegno della Lega e la tolleranza del Pdl. In entrambi i casi i nomi già ci sarebbero, ma, nonostante sia conclamata nel Paese e nella pubblica opinione l´esigenza di una discontinuità politica in favore di una soluzione “alla Ciampi”, non sono ancora maturate le condizioni di una svolta in Parlamento, ove Berlusconi conserva la maggioranza. Il Cavaliere resiste arroccato proponendo un canovaccio stantio di riforme fuori dal tempo e gioca la solita carta propagandistica dell´imprenditore «con tre aziende in borsa», avendo però perduto ogni credibilità interna e internazionale, come mostrano i risultati dei mercati all´indomani del suo intervento. Ma resta un centro di forza garante di equilibri e di interessi duri da superare soltanto per via istituzionale, manca cioè quel vuoto di potere e di rappresentanza che caratterizzò l´implosione del sistema di vent´anni fa.
In realtà, della stagione di Tangentopoli sono sopravvissute le retoriche e i riflessi, ma non le condizioni strutturali che provocarono quel crollo. Di conseguenza, nonostante la barca italiana sia ormai sotto la linea di galleggiamento e quindi a rischio di affondare, si continuerà a navigare a vista fin quando la crisi democratica di oggi non renderà inevitabile il ricorso alle urne. Crisi del berlusconismo e antipolitica sono le due facce di una stessa moneta che solo le elezioni e la definizione di un nuovo equilibrio di potere riusciranno a mettere fuori corso, ma fino ad allora continueranno a regnare sovrane, un lancio di dadi dopo l´altro.
La Repubblica 10.08.11