Le stringenti condizioni imposte al governo Berlusconi dall’Europa in cambio del via libera all’acquisto dei titoli di debito da parte della Bce ci parlano chiaramente di un governo a sovranità limitata.
Di un esecutivo a credibilità zero, trasformato di fatto in esecutore di una agenda eterodiretta perché ritenuto incapace di prendere la minima decisione in materia di sviluppo e di contenimento della spesa. Una condizione bruciante e umiliante per il nostro paese, ma anche rivelativa.
Cade infatti, e definitivamente, la retorica vuota del governo del fare, la maschera falsamente decisionista di una compagine lontana anni luce dai requisiti di autorevolezza, autonomia e trasparenza indispensabili ad aprire una fase di responsabile cooperazione che produca riforme eque e durature.
Il governo non possiede alcuna delle credenziali necessarie per aprire una nuova stagione concertativa. Per incapacità e per inettitudine. Ma anche per deliberato e miope disegno politico. Nel suo operato non c’è, né c’è mai stata l’ombra di una apertura alle proposte dell’opposizione.
Non c’è, né c’è mai stata traccia di una azione tesa a coinvolgere tutte le forze sociali in uno sforzo comune. Non c’è, né c’è mai stata traccia di un gesto mirato a ristabilire un clima di lavoro unitario che sciolga i principali nodi strutturali del paese. Al contrario, l’esecutivo della destra ha scientificamente tentato di dividere, umiliando le istituzioni, contrapponendo categorie, territori e fasce sociali, tentando di frammentare il mondo del lavoro. Ancora oggi, di fronte alle drammatiche nubi che si addensano sul nostro paese, il governo si muove con la logica e l’impostazione di sempre.
La pervicacia con cui il ministro Sacconi ha tentato nei giorni scorsi di incunearsi e dividere il mondo del lavoro in vista del tavolo di domani, la dice lunga sull’incapacità dell’esecutivo di capire la portata del grande traguardo unitario raggiunto dalle organizzazioni sociali, e di raccogliere a sua volta la sfida di coesione che attende l’Italia. Le coraggiose intese che uniscono oggi sindacati e imprese in un unico fronte riformista sono un clamoroso contrappunto rispetto all’immobilismo e alla mancanza di responsabilità del governo. L’accordo sulla contrattazione prima, il manifesto dei sei punti dopo, rappresentano risultati straordinari non solo di merito, ma anche di metodo politico.
Dalla società arriva oggi la spinta più forte verso un modello di piena condivisione delle responsabilità su obiettivi strategici comuni. Questo passo essenziale sarà in grado di trasformarsi in un vero cammino concertativo solo in presenza di un governo di unità nazionale disposto a mettere al primo punto dell’agenda l’obiettivo della coesione territoriale, economica e sociale.
In questo contesto, lo sforzo più significativo deve essere affrontato dalle fasce sociali più agiate. Servono politiche redistributive, che spostino il carico dei sacrifici dai salari e dalle pensioni più basse alle più alte rendite improduttive. Una indicazione di buon senso, si direbbe, eppure sistematicamente mortificata dai provvedimenti dell’asse Berlusconi-Tremonti.
Come dimostrano gli inasprimenti introdotti dalla Finanziaria, che in molti casi invertono il principio di progressività previsto dalla carta costituzionale. In vista di una revisione della manovra, il Pd lotterà per difendere questi principi, consapevole che solo mettendo al centro delle priorità convergenza e solidarietà sociale il paese sarà in grado di ripartire nel suo complesso.
da Europa Quotidiano 09.08.11