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Le obiezioni del Pd “laburista”, di Rudy Francesco Calvo

Anche i Democratici dicono no a interventi da parte della Bce giudicati troppo liberali. I contenuti della lettera inviata al governo italiano da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet non possono certo essere definiti originali. Anzi, in casa Pd qualcuno leggendoli avrà avuto la sensazione di un deja vu. «Riduzione al 50 per cento delle società e degli enti partecipati dallo stato centrale e dal sistema delle autonomie – Non è possibile garantire stabilità ai singoli posti di lavoro, ma si può garantire continuità all’occupazione delle persone […] Ci vogliono politiche attive sul mercato del lavoro, che forniscano tutele del reddito in caso di disoccupazione e un sistema efficiente di servizi, di formazione e di occasioni per il reimpiego. Questo è il senso della migliore flexicurity europea – Riforma del modello di politica retributiva nelle pubbliche amministrazioni […]. Rimpiazzo parziale e selettivo del turnover […]. Abolizione dello spoils system e graduale superamento degli automatismi retributivi e di carriera – La lotta alla precarietà è indispensabile per dare prospettive di vita dignitosa ai giovani. Si devono estendere a tutti i lavoratori le tutele fondamentali – Meno tasse sul salario di produttività».
Sono i cinque punti fondamentali sui quali la Bce ha chiesto al nostro governo di intervenire, così come erano stati declinati già nel 2008 dal programma di governo del Pd. Ma con i se non si fa la storia e dire oggi che una vittoria dei dem allora avrebbe scongiurato la difficile situazione attuale del paese avrebbe quindi poco senso. Quel che è certo, però, è che il Pd ha nel proprio Dna proprio quegli interventi strutturali di cui l’Italia ha bisogno.
O, quanto meno, li aveva. In questi tre anni, infatti, il profilo del partito è notevolmente cambiato. La spinta liberal imposta in origine da Walter Veltroni è stata sostituita dall’impronta laburista, che caratterizza l’attuale segreteria Bersani. Dinamiche normali in un partito democratico (una cosa analoga è successa anche in Gran Bretagna, per esempio), ma che mettono attualmente il Pd in una posizione delicata. Se la richiesta del Nazareno (e di tutte le opposizioni), ossia un nuovo governo di transizione che affronti la crisi economica e traghetti il paese verso le elezioni, dovesse alla fine realizzarsi, cosa farebbero i democrat? Darebbero il loro voto in parlamento ai provvedimenti scritti a quattro mani anche da Mario Draghi, colui che rappresenta «perfettamente un’Italia che c’è» e che non è «esattamente l’Italia berlusconiana» (parole di Bersani, il giorno della nomina alla Bce del Governatore uscente di Bankitalia)?
Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, è chiaro: «Si tratta di misure improprie. È quanto meno singolare che la Bce intervenga nella politica economica di uno stato richiedendo interventi che non hanno niente a che fare con la politica monetaria». I dem, quindi, se coinvolti in un nuovo esecutivo, si impegnerebbero a mantenere i saldi, ma cambiando i contenuti della manovra, come hanno sempre affermato in queste settimane.
Da questo punto di vista, l’intervento della Bce non cambia niente. Soprattutto, per quanto riguarda il mercato del lavoro: se la ricetta di Francoforte ricorda la proposta avanzata dal senatore dem Pietro Ichino, il corpaccione del partito nella recente conferenza tematica di Genova si è mosso in un’altra direzione. «Attaccano sempre il lavoro dipendente – accusa Fassina – in uno sforzo di emergenza invece bisogna coinvolgere tutti». Quindi, bisogna alzare le tasse sulle rendite finanziarie, introdurre liberalizzazioni «vere», combattere «anche in maniera drastica » l’evasione fiscale: «In un quadro del genere, siamo pronti a discutere di tutto – chiarisce Fassina – anche delle pensioni di anzianità».

da Europa Quotidiano 09.08.11

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“La Bce spacca le parti sociali”, Gianni Del Vecchio

A sinistra le richieste avanzate da Francoforte non piacciono: la Cgil rigetta le misure sul mercato del lavoro.
Una prima avvisaglia si era avuta sabato scorso quando la Cgil non aveva condiviso l’appello di imprese, banche e altre associazioni affinché il governo accelerasse su liberalizzazioni e privatizzazioni. Ma la vera rottura dell’armonia fra le parti sociali (che invece aveva portato al documento comune in sei punti dello scorso 4 agosto) è avvenuta ieri, poche ore dopo la diffusione da parte del Corriere della sera della lettera con la quale la Bce ha di fatto “commissariato” l’esecutivo.
La Cgil ha preso nettamente le distanze dai diktat europei, che dovrebbero tradursi automaticamente in provvedimenti legislativi da parte della maggioranza. E per rafforzare il concetto ha bollato come inutile l’incontro con Sacconi previsto per domani pomeriggio. Il tutto mentre le altre organizzazioni – come Confindustria, Rete Imprese e Alleanza delle cooperative – hanno preferito non commentare e rimandare tutto a mercoledì, anche perché in fondo la ricetta di Trichet non è poi così lontana dalle loro posizioni. Che Susanna Camusso non ci stia a farsi portare su terreni impervi per la sua organizzazione dalle altri parti sociali, lo si deduce dalla nota diffusa in serata dal sindacato di corso d’Italia.
Il segretario generale prende di mira quasi tutte le misure prescritte dalla Banca centrale e le rispedisce al mittente senza tanti complimenti. A cominciare da quella più pericolosa per i lavoratori, ovvero la riforma della legislazione sul lavoro. Trichet ha “consigliato” a Berlusconi e Tremonti misure molto precise: meno rigidità nelle norme sui licenziamenti dei contratti a tempo indeterminato, interventi sul pubblico impiego e il superamento del modello attuale basato sull’estrema flessibilità dei giovani e sulla totale protezione degli altri. Troppo per la Camusso, così come è troppo il tanto strombazzato Statuto dei lavori del ministro Sacconi. Ma la Cgil dice “no” anche all’anticipo di una manovra definita «iniqua e squilibrata», che colpisce i soliti noti, ovvero lavoratori e pensionati.
Una manovra partorita da un governo che invece di essere la soluzione del problema è parte attiva di quest’ultimo. Il sindacato di corso d’Italia infine boccia sonoramente gli aneliti liberalizzatori e privatizzatori di Francoforte e delle organizzazioni datoriali: «Consideriamo sbagliate alcune richieste come le privatizzazioni delle aziende locali di servizio, la svendita del patrimonio pubblico e la pretesa cancellazione di questa o quella istituzione». Insomma, quello della Camusso è un messaggio forte e chiaro alla Bce, al governo, alle altre parti sociali e, non ultimo, a quella parte della stessa Cgil che la sostiene ma che negli ultimi tempi ha fatto trapelare più di un malumore per un presunto schiacciamento su posizioni confindustriali.
La lunga nota della segreteria generale è poi interessante perché, al di là delle critiche di merito, pone anche una questione di metodo per i futuri incontri con il governo, a partire da quello in programma domani. «Oggi l’Europa ci detta l’agenda e il governo è obbligato a recepirla. Ciò conferma l’inutilità di incontri come quelli voluti dal ministro del welfare. È indispensabile che il governo convochi parti sociali, regioni e enti locali, spieghi cosa ci chiede la Bce, renda pubblica la lettera, e dica cosa ha intenzione di fare».
Quindi, niente incontro con Sacconi, anche perché a corso d’Italia non va giù il fatto che in un momento così difficile per il paese il ministro del lavoro non abbia rinunciato alla sua opera certosina di divisione sindacale. Sì invece a uno con Tremonti e Berlusconi, ma solo a patto che vengano cancellate «le iniquità della manovra». Cosa tuttavia alquanto improbabile.

da Europa Quotidiano 09.08.11