I democratici hanno indicato una serie di azioni da avviare per rimettere in moto un Paese sempre più in ginocchio: dalla pubblica amministazione al fisco, dalle liberalizzazioni alla politica industriale. E la revisione della manovra.
L’Italia si trova in un mare in tempesta senza nocchiere. Anche le altre leadership europee sono incerte e deboli. Oggi, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia sono sotto straordinaria pressione, ma segnali di tensione riguardano persino i titoli di Stato francesi. La ragione di fondo è la contraddizione tra l’unione politica e l’unione economica.
La fine del ciclo della finanza facile e spensierata, fonte di debito pubblico e debito privato, ha fatto emergere il limite dell’avventura europea: da un lato, la moneta unica, condivisa da 17 economie diverse, anzi distanti, in termini di capacità competitiva; dall’altro, un assetto di governance inadeguato, privo delle istituzioni federali necessarie ad una politica economica comune per rimuovere i differenziali di competitività, per promuovere il lavoro di qualità nel quadro di uno sviluppo sostenibile, per fare trasferimenti di risorse tra aree a differente dinamica di produttività, in nome non di una solidarietà astratta, ma in riferimento ad un egoismo illuminato. Purtroppo, soltanto due scenari si intravedono all’orizzonte: l’evoluzione politica o l’involuzione economica.
Evoluzione politica vuol dire portare avanti senza esitazioni la strada intrapresa il 21 Luglio a Bruxelles nel vertice straordinario di capi di Stato e di Governo dell’euro area: evoluzione del Fondo salva-Stati in una Agenzia Europea per il Debito Pubblico per intervenire con risorse sufficienti sul mercato secondario anche per Paesi come la Spagna e l’Italia; maggior coinvolgimento dei creditori privati nella ristrutturazione del debito greco e contestuale intervento per la necessaria ricapitalizzazione delle banche coinvolte; avvio di un programmadi investimenti infrastrutturali, nella ricerca, nella “innovazione verde”, finanziati da eurobond e project bond per innalzare la domanda interna europea e innalzare la capacità competitiva dell’intera area monetaria. L’avvicinamento dell’Unione politica all’Unione economica è condizione necessaria per ritrovare la stabilità finanziaria e la strada dello sviluppo sostenibile in ciascun Paese euro. Condizione necessaria, ma non sufficiente. I compiti a casa da fare, per tutti, sono tanti. Per noi, più di altri. Noi abbiamo, almeno, un decennio perso alle spalle da recuperare. La nostra sfida è l’economia reale, terreno completamente rimosso, ma decisivo per il lavoro e per la riduzione del debito pubblico.
Ieri, Pierluigi Bersani ha indicato cinque priorità da affrontare per incominciare a recuperare: la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni; la riforma del fisco; le liberalizzazioni; la politica industriale; e la riarticolazione per l’equità della recente manovra di finanza pubblica a saldi invariati.
L’insistenza sull’economia reale è il segno della radicale alternativa di politica economica proposta dal Pd alla linea senza prospettive, come oggi è evidente, seguita dal governo Berlusconi, Bossi, Tremonti. Il Pd insiste sullo stesso punto sin dall’inizio della legislatura: senza recupero di produttività, intesa come produttività totale dei fattori e non come produttività dei lavoratori, qualunque percorso di riduzione del debito pubblico non è credibile. Quanti si ostinano a guardare soltanto al deficit del bilancio pubblico dovrebbero dare un’occhiata anche al saldo sempre più negativo della bilancia dei pagamenti.
Siamooggettodi vacillante fiducia esterna perché, nonostante la stagnazione, confermata anche ieri dall’Istat, viaggiamo verso un deficit di bilancia commerciale del 5% del Pil. Come possiamo andare avanti così? Come si può aver fiducia che ripaghi un debito pubblico extra-large un Paese che noncresceda15 anni e che, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, nel migliori dei casi si attesta su un Pil potenziale dello 0,6%all’anno? Nonsiamo vittime di insensibili speculatori. Siamo “venduti” da investitori razionali consapevoli della nostra economia reale e spaesati nella grande transizione in corso nello scenario globale.
L’anticipo del presunto pareggio di bilancio al 2013 comunicato ieri in conferenza stampa da Berlusconi e Tremonti non affronta il problema di fondo. Servirà a poco. Speriamo sia alibi sufficiente alla Banca Centrale Europea per acquistare sul mercato secondario i nostri titoli di debito. Servirebbero riforme vere. Invece, si annunciano, ancora una volta, interventi demagogici e sbagliati nella Costituzione, come l’introduzione del pareggio di bilancio e la rimozione dei contrappesi sociali all’iniziativa economica o misure per tentare di dividere i sindacati sullo Statuto dei Lavoratori. Come in Irlanda, Portogallo e Spagna, Paesi in maggiori difficoltà delle nostre, anche da noi va restituita la parola ai cittadini per dare forza alla svolta riformista necessaria ad uscire dal tunnel.
da L’Unità