Marie Curie vinse il Nobel insieme al marito Pierre, e qualche anno dopo lo stesso premio andò alla loro figlia Irene, sempre con il consorte. In famiglia il talento era di casa. Non sempre accade lo stesso dietro quei cognomi che, a scorrere la rubrica telefonica delle università italiane, si ripetono pagina dopo pagina. «Measuring nepotism: the case of italian academia» è il titolo della ricerca di Stefano Allesina, cervello in fuga che da Carpi è volato a Chicago, dove si occupa di modelli matematici applicati all’ecologia. Misurare il nepotismo, calcolare il peso dei baroni. D’accordo, ma come? Spulciando la banca dati del ministero dell’Istruzione, questo ricercatore di 35 anni ha controllato quante volte lo stesso cognome si ripete dentro le nostre 94 università. Un lavoro lungo ma in fondo semplice, «statisticamente rozzo» come spiega lui stesso al telefono. Perché avere lo stesso cognome non vuol dire per forza essere parenti, visto che ci possono essere casi di omonimia. E perché le vie del nepotismo sono infinite, con la possibilità di concedere la spintarella ad amici, cugini e magari amanti che si chiamano in altro modo e quindi sfuggono ad un controllo del genere. Tra gli oltre 61 mila professori e ricercatori a tempo indeterminato delle università italiane, ci sono 4.583 cognomi ripetuti due volte, 1.903 che compaiono tre volte. Il record spetta ai signor Rossi, ovviamente, ce ne sono 255, seguiti da Russo, Ferrari e Romano. Tutti sopra quota cento ma in fondo sono anche i cognomi più diffusi nel Paese. L’analisi diventa più interessante quando si calcola il tasso di nepotismo all’interno delle singole università. Le cose vanno peggio al Sud, con il primo posto assoluto alla Lum Jean Monnet, piccolo ateneo privato della Puglia, seguito da Sassari e Cagliari, mentre per trovare la prima università del Nord bisogna scendere fino alla 15esima posizione con Modena e Reggio Emilia. Altra classifica per le aree disciplinari: i sospetti maggiori si concentrano su ingegneria industriale, seguita da diritto, medicina, geografia e pedagogia. I settori più virtuosi, invece, sono demografia, linguistica e psicologia. Anche qui un indizio non fa una prova. Ma il ricercatore sottolinea alcuni cognomi non proprio comunissimi: «In Economia il quinto cognome più diffuso è Massari, in Veterinaria il primo è Passantino» . Sbotta Luigi Frati, rettore della Sapienza con due figli e una moglie che hanno seguito la carriera accademica: «La meritocrazia non ha cognome. Piuttosto si veda se uno studioso è bravo oppure no» . E per questo cita l’indice H, che misura l’impatto del lavoro degli scienziati: «Il mio è 45, quello del ricercatore americano 11» . Virgilio Ferrario, preside di Medicina alla Statale di Milano, dice che il «nepotismo c’è ma si faccia la cortesia di vedere cosa succede nell’amministrazione pubblica» . Lui, l’autore dello studio, ribatte di «aver solo offerto uno strumento per combattere il fenomeno» . E dedica il suo lavoro ai ricercatori italiani all’estero. Forse ne avrebbero ancora più bisogno quelli rimasti a casa.
da Il Corriere della Sera