Nella giornata di ieri, la Commnissione Cultura della Camera ha espresso parere favorevole sulla schema di decreto legislativo che disciplinerà la nuova procedura sul dissesto finanziario delle università e sul commissariamento degi atenei.
Le motivazioni del voto contrario del Partito Democratico sono state raccolte in un “parere alternativo” a quello della maggioranza, che potete leggere di seguito.
PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO PRESENTATO DAI DEPUTATI GHIZZONI, TOCCI, NICOLAIS, MAZZARELLA, BACHELET, COSCIA, DE BIASI, DE PASQUALE, DE TORRE, LEVI, LOLLI, PES, ROSSA, RUSSO, SIRAGUSA
La VII Commissione,
presa visione, con preoccupazione, dello schema di decreto legislativo recante la disciplina del dissesto finanziario delle università e del commissariamento degli atenei in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, lettera b) della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti dall’articolo 5, comma 4, lettere g), h), i) della legge 30 dicembre 2010, n. 240,
premesso che:
a salvaguardia delle attività didattiche e di ricerca, dei diritti degli studenti e dei docenti nonché dei finanziamenti statali, entro il quadro costituzionalmente garantito di autonomia delle università, è auspicabile l’approntamento di una disciplina organica sugli atenei che versano in gravi difficoltà finanziarie – eventualità verificatisi peraltro in modo molto limitato e sporadico – per i quali manca la necessaria normativa di riferimento;
valutato che:
il tema del dissesto finanziario di un’università e dell’eventuale successivo commissariamento appare particolarmente delicato per le seguente ragioni:
l’Università è un ente pubblico a finanza sostanzialmente derivata, ove la parte preminente delle spese fisse – quelle per stipendi o indennità varie – è determinata dallo Stato, così come dallo Stato dipende anche la maggior parte delle entrate, ed è chiaro che l’insolvenza potrebbe derivare proprio dalla diminuzione della contribuzione attesa o dall’aumento delle spese in conseguenza di interventi politici esterni ed estranei alla responsabilità delle università;
le università svolgono attività di natura peculiarmente strategica (tali sono sia la didattica che la ricerca universitarie) per produrre essenzialmente beni di natura non materiale (l’alta formazione e le nuove conoscenze) a vantaggio dell’intero Paese se non dell’intera umanità, per cui non possono essere ricondotte dal punto di vista economico a mere agenzie formative o di prestazione di servizi il cui stato finanziario possa essere ridotto all’equilibrio tra costi e ricavi o tra attività e passività, anche perché lo stesso concetto di ricavo è estraneo alla natura delle università, almeno quelle statali;
l’autonomia delle università e la libertà di insegnamento e di ricerca dei docenti sono capisaldi costituzionali e storici che vanno coniugati con estrema attenzione con il dovuto controllo da parte dello Stato o delle autorità preposte e con l’extrema ratio del commissariamento, istituto estraneo alla tradizione universitaria non solo italiana;
sussiste il problema, che può sembrare marginale ma non lo è, dei finanziamenti di ricerca ottenuti da singoli docenti universitari e gruppi di ricerca, quasi sempre in seguito a competizioni nazionali e internazionali, il cui uso libero e tempestivo da parte dei ricercatori coinvolti è fondamentale per il rispetto delle condizioni poste dall’ente finanziatore e per il successo della ricerca per cui è necessario contemperare quest’aspetto con
quello del bilancio di un ateneo che fosse dichiarato in dissesto;
considerato che:
lo schema di decreto legislativo proposto è emblematico della configurazione di un rapporto tra governo e atenei che umilia del tutto il ruolo di questi ultimi quali primarie istituzioni di formazione e ricerca, la cui autonomia è sancita dall’articolo 33 della Costituzione. Le università sono assimilate ad aziende di servizi in cui rilevano soprattutto parametri finanziari predeterminati e astratti da qualsiasi specifica valutazione di merito della loro attività. I modi in cui si esplica il controllo sui risultati finanziari della gestione e i risultati che esso comporta testimoniano dunque un approccio ragionieristico al funzionamento del sistema universitario, che ne trascura il valore e ne lede irreparabilmente i caratteri di autonomia degli Atenei. Col rischio, oltretutto, che tali meccanismi introducano un intollerabile controllo diretto e indiretto della politica sull’amministrazione e persino sugli orientamenti scientifici e didattici degli atenei;
le condizioni di dissesto sono accertate da un collegio dei revisori dei conti, di pura nomina ministeriale, il che ne ostacola la caratteristica di terzietà. L’accertamento, da parte dei revisori, della sussistenza di alcuni parametri negativi, comporta la declaratoria di dissesto che è dichiarata, senza alcun contraddittorio, dal Consiglio di Amministrazione che, senza poter esprimere le proprie considerazioni in merito, non può approvare il bilancio. Dichiarato il dissesto, il Ministero diffida il rettore a predisporre un piano di rientro entro 180 giorni: peraltro von si comprende la ragione e l’utilità della diffida dal momento che è lo stesso consiglio di amministrazione, nel quale in ogni caso siede il rettore, che adotta la dichiarazione;
il piano di rientro dovrà essere redatto secondo linee guida che saranno emanate dal MIUR e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; l’impianto della procedura, allo stato attuale, risulta vago, indeterminato e consente al governo di procedere al commissariamento senza interlocuzione alcuna con la comunità accademica e con gli organi di governo dell’ateneo medesimo. In particolare, la gamma degli interventi di definizione e gestione del piano svela le reali intenzioni del governo, tese alla mera riduzione dei costi, alla penalizzazione del personale – soprattutto quello amministrativo – e alla liquidazione del patrimonio, senza interesse alcuno per il rilancio dell’ateneo;
il piano di rientro è controllato annualmente dai revisori che ne riferiscono ai Ministeri, e se il giudizio non è positivo, si ha il commissariamento dell’ateneo, con la conseguente designazione da uno a tre commissari in relazione alle sue dimensioni. Questi ultimi sono dirigenti o funzionari dei due ministeri o commercialisti e revisori contabili iscritti all’albo: è assai improbabile poter affermare l’effettiva indipendenza dei commissari rispetto alle autorità che li hanno nominati e, soprattutto, la loro capacità professionale di gestire la complessità amministrativa, culturale e scientifica di un ateneo, soprattutto in considerazione che l’organo commissariale ha la responsabilità di tutta la gestione del dissesto e della formulazione o revisione del piano di rientro. Infatti, il Consiglio di Amministrazione decade e i commissari assumono il controllo anche delle funzioni strategiche dell’Ateneo: non solo del suo assetto contingente, dunque, ma anche delle sue prospettive future;
al termine del periodo commissariale, lo schema di decreto dispone che la gestione ritorni in capo al medesimo Rettore che aveva guidato l’ateneo nel periodo che ha portato verso il dissesto finanziario;
ritenuto che:
la sequenza prevista dallo schema di decreto in parola – dichiarazione di dissesto quando non vengono rispettati alcuni parametri economico-contabili, cui segue un Piano di rientro che in caso di fallimento sfocia nel commissariamento – non ha alcun senso logico, poiché l’annunciato dissesto colpirebbe la reputazione dell’ateneo con conseguenze facilmente prevedibili (gli studenti non si iscriveranno, i migliori professori se ne andranno, i partner nell’attività di ricerca si ritireranno, le imprese non investiranno, gli enti locali faranno mancare il proprio sostegno), in grado di generare una pericolosa spirale verso il collasso la struttura accademica. Sarebbe pertanto opportuno ribaltare la sequenza prevista, iniziando con una procedura di warning che vincola l’ateneo in crisi al rispetto di un programma di risanamento, senza però distruggerne la credibilità scientifica e didattica. Nei controlli successivi si dovrebbero verificare eventuali miglioramenti o peggioramenti e solo in caso negativo procedere ai passaggi successivi;
lo schema di decreto riduce la declaratoria di dissesto finanziario ad una mera verifica di parametri contabili introdotti dallo stesso schema di decreto e al realizzarsi di semplicistici automatismi quantitativi, con l’esclusione di qualunque analisi reale e strategica delle ragioni profonde delle difficoltà finanziarie, che potrebbero risalire anche agli stessi Ministeri interessati, nonché della situazione dell’ateneo e della qualità delle sue attività didattiche e scientifiche, delle sue prospettive di sviluppo e del suo ruolo nell’ambito del sistema sociale del territorio;
rispetto alla dichiarazione di dissesto e al relativo commissariamento, non è previsto alcun regime transitorio in fase di prima applicazione della legge per quegli Atenei che trovandosi in condizioni di criticità finanziaria hanno già predisposto specifici piani di risanamento, tali da garantire risultati certificati rispetto alla situazione debitoria e da non compromettere l’offerta formativa e l’attività di ricerca, e che con il decreto governativo si troverebbero immediatamente in dissesto, vanificando gli sforzi già compiuti. A tale proposito, la procedura di warning precedentemente richiamata potrebbe funzionare anche come norma transitoria per codesti atenei;
per il piano di rientro lo schema di decreto stabilisce una serie minuta di condizioni e adempimenti, indipendente da ogni analisi della situazione specifica del singolo ateneo in dissesto finanziario, quasi in segno di sfiducia preventiva nei confronti del consiglio di amministrazione che comunque è chiamato a gestire la fase di attuazione del piano di rientro;
peraltro, il procedimento per l’approvazione o meno del piano di rientro non è disciplinato, così da consentire ai Ministeri decisioni unilaterali e prive di qualsiasi consultazione o accordo preventivi, sui suoi contenuti e sulle prospettive di realizzazione, né con la comunità accademica, né con il consiglio di amministrazione e con gli altri organi di governo, né, tantomeno, con soggetti terzi indipendenti, in chiara violazione dei principio costituzionale di autonomia delle università (articolo 33 della Costituzione) e di responsabilità del consiglio di amministrazione;
nel caso di mancata stesura o attuazione del piano di rientro, lo schema di decreto prevede il commissariamento dell’ateneo ma ne restringe la possibile efficacia sia con nuovi automatismi numerici per quanto riguarda il numero dei commissari, sia restringendo la rosa delle persone che possono essere chiamate a questo difficile e importante incarico a dirigenti ministeriali o a dottori commercialisti revisori dei conti, quando invece una maggiore conoscenza interna del funzionamento delle università sarebbe senz’altro auspicabile, così come una loro autonomia dall’autorità che provvede alla nomina;
incredibilmente, si dispone che il rettore eventualmente corresponsabile del dissesto sia ricollocato, alla fine del procedimento di commissariamento, nella sua funzione con tutti gli onori;
nulla è previsto nelle fasi del piano di rientro e dell’eventuale commissariamento in merito alle attività di ricerca dei docenti finanziate da enti esterni all’università e affidate alla responsabilità dei docenti medesimi;
lo schema di decreto prevede l’emanazione di ulteriori decreti specificativi, in particolare quello sull’esatto calcolo dei parametri per verificare lo stato di dissesto (articolo 2, comma 2) e quello sulle linee guida per la redazione dei piani di rientro (articolo 3, comma 1): tale rinvio ad altri decreti ministeriali rende impossibile esprimere un parere di merito definitivo sulla natura delle norme delegate e sul loro effettivo impatto sul sistema universitario, altresì conferma la volontà del MIUR e del MEF di assumere potenti strumenti di controllo indiretto e diretto sulle scelte degli atenei in aperta violazione del principio costituzionale di autonomia;
tutto ciò premesso e considerato,
esprime PARERE CONTRARIO.
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