Clara Sereni spiega, in questo suo intervento pubblicato dall’Unità dell’8 agosto, perché ha accettato l’incarico di coordinatrice della lista per Veltroni in Umbria
Avevo detto mai più. Mai più politica «politicante», mai più incarichi, mai più responsabilità di governo delle cose e delle persone. Quelli che ho avuto in passato mi avevano fatto passare la voglia e la fantasia, tanto più che ambizioni non ne ho mai coltivate. E le cose di cui non ho smesso di occuparmi – scrittura e volontariato – mi sembrano da tempo sufficienti ad assolvere il mio debito con l’umanità: perché scrivere e occuparsi degli ultimi è comunque un modo di fare politica, generalmente più congeniale alle mie capacità (dunque foriero di ansie minori), e anche ai miei desideri.
Del resto, ho guardato ai primi passi del Partito Democratico con scetticismo malmostoso, quando non con irritazione o addirittura rabbia. Solo per amore di democrazia, solo perché il diritto di tribuna non fosse limitato ai leader, solo per questo – così mi è parso – ho raccolto firme per la candidatura di Furio Colombo, e non è andata a finire bene. Motivo in più per starmene alla finestra, con il dito puntato contro il destino cinico e baro, di volta in volta impersonato da apparati immarcescibili o regole atte a perpetuarne l’inamovibilità. Stare alla finestra. Leggere quel che accade sui giornali, in modo e misura sempre più distanti: come tante e tanti, per tenersi al riparo da delusioni ulteriori.
E invece. Invece mi ritrovo coordinatrice della lista per Veltroni dell’Umbria: una regione piccola, storicamente «rossa» ma politicamente a rischio di declino, ricca delle opportunità e dei problemi che investono ovunque la nascita del PD, e complessivamente l’Italia.
Non ci vuole molta fantasia per immaginare che non tutti siano felici dell’investitura, e che per qualcuno – fra chi mi conosce un po’ – sia difficile capire le ragioni di questo mio scegliere una volta ancora un nuovo impegno, una nuova fatica. E nei confronti dei tanti e tante che si ritrovano a svolgere il mio stesso ruolo, penso che dubbi e ostilità non siano granché diversi.
Ai poco felici, ai tanti convinti tuttora che la politica debba necessariamente essere una professione e che una passione ragionevole e ragionata non sia invece adatta alla bisogna, vorrei dire che il percorso verso le primarie è con ogni probabilità l’ultima occasione per quel rinnovamento delle classi dirigenti di cui da anni, anzi ormai da decenni si proclama l’esigenza, e che fino ad oggi si è realizzato in maniera affatto insufficiente e parziale. Rinnovamento delle classi dirigenti che significa, innanzitutto, un intreccio vero e fecondo di culture e capacità, che ponga fine a quella contrapposizione sterile e logorante fra società civile e ceto politico che è fattore non secondario della crisi paralizzante della politica, dell’allontanamento costante di intelligenze e saperi dalla costruzione del bene comune, e ormai anche dal voto. E siccome abbiamo tutti imparato che le elezioni si vincono non tanto spostando voti da una coalizione all’altra, quanto portando a votare i propri elettori, questo rinnovamento è l’ultimo tram, l’occasione imperdibile dopo molte perdute, l’ultima possibilità per tornare a motivare e coinvolgere i delusi, gli stanchi, i giovani che non credono più a niente: una fetta importante, non solo numericamente, del popolo di sinistra (e in questo senso, credo indispensabile il coinvolgimento di Furio Colombo e dell’esperienza che rappresenta nei livelli più alti nel percorso verso il Pd).
Nella scelta delle coordinatrici e dei coordinatori regionali, un elemento di rinnovamento appare evidente: senza scadere in un nuovismo di cui non si sente la necessità, c’è un rimescolamento delle carte innegabile, e per certi aspetti perturbante. Ivi compresa la presenza paritaria di donne e uomini che è e resta, in questo nostro Paese di democrazia pervicacemente zoppa, un fatto tranquillamente, dolcemente rivoluzionario. La prima prova della volontà di costruire un partito che sia davvero di donne e di uomini.
Rinnovamento perturbante: ce n’è abbastanza da far tremare le vene e i polsi. A chi fin d’ora dovrà costruire liste, alleanze, mediazioni. E soprattutto a chi, vincitore o vincitrice delle primarie, dovrà dare poi concreta attuazione a quanto si va ora discutendo e promettendo.
È una bella sfida, e io spero la vincano le idee, i progetti, le speranze di Walter Veltroni. Per questo, con il pizzico di incoscienza che sempre connota la scelte più importanti della mia vita, proverò anch’io a dare il mio contributo.