«Si può scegliere di ignorare la Jihad, ma non si possono ignorare le conseguenze della scelta di ignorarla», così Pamela Geller, blogger anti-islam, ha reagito a caldo alla notizia degli attacchi terroristici in Norvegia. Ha quindi postato il video di una manifestazione pro-Hamas a Oslo già apparso qualche anno fa sul suo sito Atlas Shrugs (traduzione letterale “Atlante fa spallucce”). Quando è emerso che l´autore della strage non era un terrorista islamico bensì Anders Behring Breivik, un terrorista anti-islamico, che aveva pubblicato su Internet un manifesto zeppo di citazioni di autori anti-islamici come lei, la Geller-Atlante ha alzato a sua volta le spalle: «È un maledetto assassino. Punto. È il solo responsabile delle sue azioni. L´ideologia non c´entra», ha commentato.
Bruce Bawer, americano trapiantato ad Oslo, autore di un saggio che lamenta la conquista dell´Europa da parte dei musulmani, è più riflessivo. Osserva che nel suo manifesto dei cavalieri templari Anders Behring Breivik: «Riproduce e approva molte frasi mie e cita il mio nome 22 volte». Con sana costernazione aggiunge: «È agghiacciante pensare che i post pubblicati sul mio blog negli ultimi anni, scritti nella mia casa di Oslo siano stati letti e copiati da questo futuro omicida nello stesso quartiere della stessa città».
Che rapporto lega le tesi anti-islamiche alle azioni efferate di Breivik, ammesso che un rapporto esista? Innanzitutto gente come la Geller o il più moderato Bawer, non sono responsabili dei misfatti di Breivik. Accusarli di concorso di colpa nella strage equivale a giudicare gli autori musulmani non violenti. Dato che è proprio quello che i radicali anti-islamici fanno da anni, si potrebbe anche provare un briciolo di maligno compiacimento vedendoli vittima dei loro stessi metodi. Non sono responsabili.
Però come è ridicolo sostenere che non esistono collegamenti tra l´ideologia islamista e il terrore islamista è altrettanto ridicolo affermare l´assenza di collegamenti tra la tesi allarmista dell´islamizzazione dell´Europa (e dell´Occidente intero) diffusa da queste persone e da altri e l´interpretazione che Breivik dà delle proprie azioni. L´ideologia non c´entra? Certo che c´entra. Buona parte del manifesto di Breivik ribadisce (spesso attraverso il copia-incolla di brani tratti da Internet) esattamente questa spaventosa visione dell´Europa come “Eurabia”, un´Europa avvelenata dal multiculturalismo e da altri morbi sinistrorsi, che si piega, arrendendosi senza reagire alla supremazia musulmana. La sua mente senza dubbio squilibrata salta quindi alla folle conclusione che il cavaliere giustiziere (questo il ruolo che si arroga) deve compiere un´azione eroica, brutale, per dare una scossa alla sua società indebolita. Cosa fare allora con queste voci estremiste? Una parte della sinistra europea è favorevole a censurarle. Ma è una strategia sbagliata. Non fermerà queste tesi, le farà semplicemente entrare in clandestinità, dove diventeranno ancor più velenose. Congelerà il legittimo dibattito su temi importanti come l´immigrazione, la natura dell´Islam, i fatti storici. Porterà in tribunale mitomani come la ventitreenne Samina Malik, la commessa accusata di aver scritto brutti versi inneggianti al martirio in nome della Jihad e non assicurerà alla giustizia i veri violenti.
L´incitamento diretto alla violenza deve essere ovunque punito con rigore. I testi di stampo ideologico di cui si è nutrita la follia di Breivik non rientrano, a mio giudizio, in questa fattispecie giuridica. Consentire agli estremisti anti-islamici da un lato e agli islamisti dall´altro di dar voce alle proprie fantasie da crociata è il prezzo che si paga per la libertà di parola in una società aperta. Significa che non si deve reagire? Ovviamente no. Proprio perché censurare costa troppo in termini di libertà di parola e nell´era di Internet la censura è comunque impossibile. Fondamentale è l´ambito politico, dove i politici tradizionali, visto il successo elettorale dei partiti xenofobi e populisti, tendono a tollerare più che a condannare i miti xenofobi.
Un altro campo di battaglia è costituito dai cosiddetti media tradizionali. In un paese come la Norvegia – e in Gran Bretagna – le emittenti pubbliche e una stampa valida e responsabile generalmente garantiscono che le opinioni estreme messe in onda e pubblicate siano controbilanciate da critiche ai miti pericolosi che spacciano, fondate sui dati di fatto, la ragione e il buon senso. Ma se la fonte di informazione sono i tabloid scandalistici preferiti da Rupert Murdoch? O un´emittente sistematicamente di parte come quelle di Silvio Berlusconi in Italia o la Fox News di Murdoch negli Usa? La notte delle stragi di Oslo durante il talk show “The O´Reilly Factor”, sulla Fox, Laura Ingraham dà notizia di «due gravissimi attacchi terroristici in Norvegia, a quanto pare opera ancora una volta di terroristi musulmani». Dopo qualche dettaglio sulle stragi in base alle informazioni al momento disponibili, la conduttrice prosegue: «Intanto a New York i musulmani intenzionati a costruire una moschea a Ground Zero hanno recentemente ottenuto una grande vittoria…». Maledetti musulmani, mettono bombe a Oslo, costruiscono moschee a New York. Breivik dimostra quale fantastica risorsa rappresenti la rete per chi vi si accosti con una mentalità aperta. Online si possono anche trovare migliaia di persone che condividono le stesse idee perverse, cementando ideologie della peggior risma. Si crea così una visione del mondo sistematica, chiusa, completamente avulsa dalla realtà umana quotidiana. Il manifesto di Breivik, infinito copia-e-incolla di brani presi dalla rete, è un esempio perfetto di questo meccanismo.
Non esistono soluzioni semplici. La vera sfida è scoprire come ottimizzare la straordinaria capacità di Internet di aprire le menti minimizzando la tendenza a chiuderle, oggi così evidente.
Traduzione di Emilia Benghi, da La Repubblica.it