Per quanto l’attenzione sia in questi giorni sollecitata soprattutto dalle notizie inquietanti sullo stato dell’economia, non si deve perdere di vista uno scenario più ampio, nel quale la ricchezza di un paese è definita non solo dalla quantità dei beni fisici di cui dispone, ma nella stessa misura, ed anzi in misura più ampia se si considerano gli scenari che potranno presentarsi nel seguito, dai beni immateriali. Occorre tener conto del patrimonio culturale, dell’educazione, dell’accumulazione conoscitiva. E se ne deve considerare non solo la consistenza in un momento determinato, ma la sua evoluzione attraverso il tempo anche per effetto delle decisioni politiche che incidono sulla conservazione di quanto sia già parte del patrimonio immateriale del paese e sul suo incremento. Tale incremento investe i cittadini come singoli e il paese nel suo complesso. L’istruzione è un bene immateriale che arricchisce il profilo di ciascuno, come l’elaborazione culturale e il progresso delle scienze determinano condizioni favorevoli alla crescita civile ed economica dell’intera comunità nazionale. In questi anni è prevalsa una concezione grettamente contabile della ricchezza del paese e non è stata tenuta in alcuna considerazione l’acquisizione di beni immateriali. La riduzione dell’offerta di educazione scolastica, le condizioni di difficoltà in cui versano i musei e le biblioteche, le angustie che dominano l’organizzazione della ricerca, la trascuratezza nei confronti delle arti (dalla musica al teatro, al cinema, alle arti figurative) sono state giustificate con l’esigenza di contenere la spesa. Quel che si è avvenuto è sotto gli occhi di tutti: il paese vede diminuire la sua capacità di svilupparsi non solo sul piano della produzione dei beni fisici, ma ancor più su quello dei beni immateriali. Occorre rovesciare questa tendenza, prima di tutto sul piano delle interpretazioni. Si deve essere consapevoli della necessità di progettare la crescita per il lungo periodo, e non per rimediare ai vuoti di bilancio prodotti dall’insipienza dei governanti. Per cominciare, è necessario rovesciare le linee di politica scolastica imposte dai governi della destra. L’offerta di educazione scolastica deve essere incrementata in qualità e in quantità. La scuola deve diventare il contro di riferimento per le esperienze di bambini e ragazzi, e non limitarsi ad essere la sede in cui si impartiscono lezioni. Le istituzioni culturali (i musei, le biblioteche, i teatri) devono essere rivitalizzati, e assumere nella vita quotidiana un rilievo non inferiore a quello che oggi è riconosciuto ai santuari del consumismo. Una politica orientata alla valorizzazione e all’incremento dei beni immateriali costituisce un passo necessario per ricostruire l’immagine del paese, devastata dalla pochezza dei governanti, troppo poco contrastata proprio sul piano culturale. In assenza di un’accumulazione originale, finiscono col prevalere atteggiamenti subalterni e provinciali. Si assumono dall’esterno modelli e contenuti culturali che non sono passati attraverso un vaglio critico e che spesso non sono neanche completamente compresi, ma solo imitati. Subalternità e provincialismo possono, bene che vada, offrire qualche beneficio contingente. Ma per un cammino di ripresa della creatività e dell’innovazione c’è bisogno di una cultura originale: è questa la direzione verso cui bisogna procedere.
L’Unità 31.07.11