In Italia c´è una storica questione meridionale e una difficile questione giovanile. E poi c´è la tragica «questione meridionale giovanile», somma di due emergenze che la crisi ha aggravato. Il paese cresce meno della media europea, ma il Sud arranca. Nella fascia d´età che va dai 15 ai 34 anni l´occupazione (dati 2010) – nelle regioni del Mezzogiorno – raggiunge appena quota 31,7 per cento: il che vuol dire che due giovani su tre sono a casa o a spasso. Nello stesso periodo, per le regioni del Nord, il tasso arriva al 56,5 per cento: fra le due parti del Paese, dunque, c´è un divario di ben 25 punti.
A segnalare quella che più che un emergenza è ormai «un allarme sociale» è lo Svimez (l´istituto per lo sviluppo industriale nel Mezzogiorno) che denuncia «una progressiva e crescente penalizzazione dei giovani ad elevata scolarizzazione» e fa notare come a essere messa in crisi, oltre al lavoro e all´indipendenza che garantisce, è la stessa istruzione, università in primis.
Le anticipazioni del rapporto che l´istituto pubblicherà a settembre mettono infatti in chiaro una cosa: disoccupazione e «apatia» non sono più fenomeni legati al basso titolo di studio o al difficile ambiente sociale di provenienza. Il fenomeno ha ormai intaccato anche i giovani meridionali diplomati e i laureati. Nella fascia d´età che va dai 15 ai 34 anni quasi un terzo dei primi e oltre il 30 per cento dei secondi sono andati ad ingrossare le fila dei Neet (giovani che non studiano più, non lavorano ancora e nemmeno fanno formazione). Nelle regioni meridionali, calcola la Svimez, sono almeno 167 mila i laureati a trovarsi in queste condizioni. «Uno spreco di talenti inaccettabili», spiega lo studio. Di più, un pericoloso paradosso: «La parte più avanzata della società meridionale – quella che dovrebbe aver accumulato gli strumenti per partecipare alla competizione globale – è allo stesso tempo la più penalizzata da un sistema chiuso, ad ascensore sociale bloccato». Esclusi dal lavoro regolare, dagli ammortizzatori sociali che prevede e dal reddito. Nel mondo femminile (le giovani occupate sono solo il 23,3 per cento) il paradosso diventa dramma. Ma anche restando al dato medio il tasso di disoccupazione corretto con il dato dei cassintegrati e di quelli che il lavoro non lo cercano più perché scoraggiati la quota del Meridione svetta ad un imbarazzante 25,3 per cento (14,8 nella media nazionale).
Sia chiaro, a pagare in termini di mancato lavoro lo scotto della recente crisi è stata tutta la società italiana. Ma dei 553 mila posti persi in Italia fra il 2008 e il 2010, ben 281 mila sono stati proprio nel Mezzogiorno, la parte del paese che più avrebbe bisogno di crescere e che – secondo Adriano Giannola, presidente Svimez – «nonostante le più disarmanti evidenze può attivamente contribuire alla ripresa e alla crescita del paese». Ma, precisa lo studio «è ovvio che manovre restrittive, in questo quadro, rischiano di frenare» non solo «la crescita nazionale, ma anche di risultare socialmente insostenibili per il Sud».
La Repubblica 30.07.11