I mercati danno la caccia all´Italia. È una doppia fragilità quella che espone il nostro Paese. La prima è strutturale, con un debito pubblico enorme e una manovra finanziaria che non prevede misure per la crescita ma taglia soltanto – con un segno di classe – aumentando le imposte, deprimendo consumi e investimenti e spostando ad un futuro incerto gli interventi decisivi. La seconda è politica, con la liquefazione della leadership di Silvio Berlusconi che palesemente non guida più né il governo, né la maggioranza né il Paese, oggi in balia dei venti come non è mai stato nemmeno nei momenti peggiori della prima Repubblica.
I mercati giudicano le debolezze e ne traggono profitto. Il premier è di fatto commissariato dall´autorità dell´Unione Europea, del Quirinale e di Bankitalia, con l´obbligo di varare una manovra che non voleva, che ha avversato e che ha votato contestandola. In mezzo alla tempesta della speculazione, il presidente del Consiglio non è stato in grado di spendere una parola di credibilità e di governo, si è preoccupato soltanto di chiedere l´impunità per l´onorevole Papa, il membro del suo partito su cui pende una richiesta di arresto per concussione e favoreggiamento.
Per tutte queste ragioni, per gli scandali che lo circondano, per le lotte interne ad una maggioranza costruita con la compravendita di parlamentari, Berlusconi è oggi un chiaro elemento di debolezza di un Paese fortemente a rischio: lo ha sottolineato la stampa europea, lo ripetono gli analisti finanziari, lo certificano i sondaggi.
Alla responsabilità dell´opposizione, che ha consentito il varo della manovra a tempo di record, deve corrispondere la responsabilità della maggioranza. Si prenda atto che il Paese non è governato in un passaggio pericoloso, quando serve uno sforzo congiunto che non si può realizzare attorno a questo esecutivo, e se ne traggano le conseguenze. Berlusconi può fare finalmente qualcosa di utile per l´Italia: dimettersi, al più presto.
La Repubblica 19.07.11
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“Il Cavaliere: vado avanti e Bossi è con me”, di Carmelo Lopapa
Il lungo sfogo iniziale non intenerisce più di tanto il capo dello Stato. «Presidente, è un attacco alla mia persona: nuove inchieste, nuovi processi, la condanna sul lodo Mondadori. Fanno di tutto per colpire il mio governo, vogliono impedirmi di governare» lamenta Silvio Berlusconi poco dopo il rintocco di mezzogiorno.
Al suo fianco, nello studio alla Vetrata, c´è Gianni Letta. Il presidente Napolitano ascolta in silenzio. Non annuisce. La «persecuzione giudiziaria» ai danni del premier non è all´ordine del giorno del vertice al Quirinale. A Milano, in quelle stesse ore, la borsa ripiomba in un lunedì nero foriero di cattivi auspici per la tenuta dei conti e l´efficacia della manovra appena approvata.
Non è tempo certo per far partire la giostra del toto-ministri. Il rimpastino immaginato viene presto congelato e rinviato. Con buona pace del neo segretario Pdl Angelino Alfano che avrebbe preferito lasciare fin d´ora il ministero. Il Cavaliere ci prova, si presenta al Colle con una «rosa di nomi», fa presente che la Lega «rivendica per il suo Reguzzoni, attuale capogruppo, la poltrona delle Politiche comunitarie» lasciata da Ronchi. Poi scopre le sue carte. «Per la Giustizia avrei pensato di spostare eventualmente un ministro: «Frattini, oppure Gelmini, oppure Brunetta». Ma Napolitano lo stoppa subito, avvertendo che «in questo momento non è il caso di spostare ministri», la semplice sostituzione diventerebbe un rimpasto più ampio. Il premier torna alla carica: «Allora ci sarebbero dei deputati, come Lupi, Donato Bruno, La Loggia, Nitto Palma oppure un tecnico, come Carlo Nordio». I nomi spesi saranno otto. Il Quirinale invita alla cautela, a soprassedere, a riflettere meglio alla ricerca di «una figura di più alto profilo» e di comunicarla quando sarà «pronta». Perché al momento l´inquilino di Palazzo Chigi ha fatto di tutto per non formnire una soluzione praticabile. Tutto lascia presagire che se ne riparlerà alla ripresa di settembre. In fondo, raccontano in casa Pdl, è quel che sperava Berlusconi, per nulla interessato ad assecondare la richiesta di Alfano per sostituirlo in via Arenula.
Il momento è grave, il presidente Napolitano pensa ad altro, in quell´ora di colloquio esprime tutta la sua preoccupazione e chiede conto al premier della stabilità del governo. Vuol sapere se il vascello è in grado di affrontare la tempesta. La Lega è alleato ormai sempre più inquieto, dal voto sull´arresto di Papa al decreto sull´emergenza rifiuti a Napoli, il sostegno del Carroccio è ondivago. Il presidente della Repubblica è piuttosto preoccupato delle sorti di quest´ultimo provvedimento. Berlusconi garantisce: «Alla fine, riuscirò a convincere Bossi e la Lega tutta della necessità della coesione, sulla vicenda Papa come sui rifiuti, tanto più in un momento così delicato». Questione che in effetti, in serata, sarebbe poi stata la portata principale della cena di Arcore tra lo stesso Cavaliere, il Senatur e Calderoli.
L´inquilino del Quirinale vola più alto. I titoli italiani sono tornati sotto attacco, la situazione finanziaria è assai complessa, i premier dell´area euro si riuniranno in via straordinaria giovedì. «Il risanamento a questo punto è legato alle misure di crescita» è la ricetta dettata dal presidente della Repubblica. Musica per le orecchie di Berlusconi, convinto che le misure che favoriranno la crescita dovranno passare attraverso il taglio delle tasse e una riforma del fisco per adesso finita nel freezer. Detto questo, il presidente del Consiglio ringrazia Napolitano per l´impegno profuso per consentire l´approvazione in tempi record della manovra in aula, col concorso responsabile delle opposizioni. «Questo è il metodo che possiamo perseguire nel prosieguo della legislatura – spiega il premier Berlusconi – Soprattutto per aprire una fase di riforme». Il vento anti-casta che monta fuori dal Palazzo esige svolte radicali, Calderoli per conto del governo ha già una bozza di revisione costituzionale. Ma il monito del capo dello Stato a questo punto è perentorio: «Il dialogo con le opposizioni va coltivato, ma anche nel merito dei provvedimenti». Come dire, a differenza di quanto avvenuto con la manovra (ritoccata appena), se si vuole aprire al confronto, lo si dovrà fare prima che un progetto di legge o di riforma venga stilato e presentato in aula. Un rospo difficile da ingoiare per un Cavaliere intenzionato ancora a giocarsi il rilancio del governo e della sua stessa immagine senza confondersi con gli avversari.
Un rilancio che, a suo dire, dovrebbe passare anche attraverso un mini rimpasto di governo.
La Repubblica 19.07.11