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"La grandezza indicibile di Rubino", di Roberto Benigni

Addio a Salmonì, memoria della comunità ebraica romana. Ispirò «La vita è bella»

È morto a 91 anni Rubino Romeo Salmonì, sopravvissuto ad Auschwitz, memoria della comunità ebraica romana, a cui si ispirò Roberto Benigni nella scrittura del film «La vita è bella». Abbiamo chiesto a Benigni di raccontarci cosa lo colpì nel loro incontro.

Rubino Romeo Salmonì era un personaggio davvero speciale, che ho tenuto sempre nel cuore. Lo avevo conosciuto mentre preparavo «La vita è bella», insieme ad altri ebrei romani che mi avevano raccontato la loro storia, il dramma della deportazione.

Mi era rimasto impresso nella memoria e non l’ho dimenticato perché nel suo modo di ricordare le cose aveva una leggerezza particolare, difficile da immaginare e che colpiva tutti. Potrei dire che aveva un aspetto ilare, che nel suo modo di essere, di presentarsi e di raccontare c’era un lato comico speciale. Aver passato quell’esperienza tremenda ed essere capace di vivere così è dimostrazione di una grandezza indicibile.

Gli incontri con uomini come Rubino sono quelli che ti cambiano in profondità, perché quando guardi negli occhi queste persone poi non sei più quello di prima.
Mi resta di lui l’immagine di una persona che aveva voluto vivere a tutti i costi e in maniera giusta.

dawww.lastampa.it

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Shoa, è morto Romeo Salmonì
Ispirò il film di Benigni

Salmonì, shoa, deceduto
Lui era tornato. Ed ha avuto una vita molto più lunga e felice di chi avrebbe voluto ucciderlo. ‘Ho sconfitto Hitler’, così aveva intitolato un libro sulla sua incredibile esistenza. Sessantasette anni dopo il viaggio verso Auschwitz, Rubino Romeo Salmonì è morto nella sua Roma, a 91 anni. Era uno degli ultimi superstiti della comunità ebraica sconvolta dal rastrellamento nazista durante la Seconda guerra mondiale.

Sfuggito alle Ss il 16 ottobre del ’43 nella razzia del Ghetto, era stato catturato dalla polizia fascista sei mesi dopo. Via Tasso – la camera di tortura per gli oppositori e i resistenti -, il carcere di Regina Coeli, quindi il lager. Non morì Salmonì e tornò a casa nel 1945. A Roma ritrovò i genitori, ma non i fratelli Angelo e Davide, uccisi dai nazisti. Due dei suoi sei fratelli, tutti maschi (lui era il quinto).

«Il lungo viaggio verso la morte», come lo avrebbe chiamato, era finito e Romeo c’era ancora. Ha avuto il tempo di sposarsi con Mirella, di festeggiare i 60 anni di matrimonio, di crescere i figli e una miriade di nipoti. La sua esperienza Salmonì l’ha raccontata nelle scuole, ai convegni, nelle Giornate della Memoria. L’infanzia e l’adolescenza nel Ghetto, «dove c’era tanta povertà, ma anche tanta fratellanza», come raccontava in un’intervista video nel 1998. Le notti nello stesso letto con tutti i fratelli, a 18 anni il lavoro da «sfasciacarrozze», il clima che cambia con le leggi razziali, proprio in quel 1938, «l’antisemitismo diventa strisciante». E poi la vita-non-vita del lager, il contatto continuo con la morte, la propria a un passo e quella degli altri di fronte. Le canzoni barattate con il cibo, i versi scritti per gli zingari, il freddo, la fame, le violenze, oltre ogni limite. Infine, incredibile, il ritorno. Tutto quello insomma che si è visto anche nel film di Benigni, ‘La Vita è bella’.

«Testimone coraggioso sopravvissuto ad una delle pagine più tragiche e infami della storia del nostro Paese e dell’umanità intera», ha definito Salmonì il presidente del Senato Renato Schifani. Per il presidente della Camera Gianfranco Fini «Salmonì ha dedicato tutta la sua vita a mantenere vivo il ricordo, nella consapevolezza che soltanto la memoria può rappresentare un efficace e potente antidoto capace di impedire il ritorno dei mostri del passato».

«È stato un esempio per i giovani e per l’intera città – ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno». Salmonì è stato ricordato, tra i tanti, anche dai presidenti di Regione Lazio e Provincia di Roma. «Non dobbiamo disperdere il suo impegno civile», ha chiesto l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni.

dawww.unita.it