Il movimento delle donne riprende finalmente fiato: le manifestazioni di febbraio e le assise di Siena di questi giorni lo testimoniano. Auguriamoci però che funzioni meglio del suo antenato prossimo. Il femminismo degli Anni Settanta è stato come l’algebra: erano poche quelle che sapevano insegnarlo, non abbastanza quelle che avevano voglia di impararlo.
Una quota troppo significativa delle femministe di allora era assorbita dall’autocoscienza in piccoli gruppi, talora persino impantanata in astruse teorie che si sforzavano di dimostrare l’insuperabile differenza tra i sessi allo scopo di promuovere la separazione culturale e politica dal mondo maschile. Ma questo femminismo troppo introverso e isolazionista ha avuto il grande pregio di rivendicare autonomia e dignità. E, nell’insieme, nonostante questi limiti, il femminismo delle nonne – come hanno ricordato ieri Mariella Gramaglia su «La Stampa» e Benedetta Tobagi su «Repubblica» – ha ottenuto molto. Ma i successi pratici si devono soprattutto ad un’altra componente, quella pragmatica: alle reprobe che hanno dirazzato portando istanze femministe nei partiti e negli organismi rappresentativi, magari alleandosi con maschi non necessariamente radicali, ma fautori della parità di genere. Ad esempio, la riforma del diritto di famiglia, che ha decisamente riequilibrato i rapporti tra i coniugi, è stata frutto anche dell’impegno e della collaborazione di un pregevole studioso e politico moderato come Paolo Ungari.
A partire dagli Anni Settanta la componente pragmatica è andata avanti ottenendo molto sotto il profilo dei diritti: basti ricordare l’ingresso in carriere tipicamente maschili come le Forze Armate o l’introduzione di nuovi strumenti contro la violenza sessuale e contro le molestie reiterate. Tuttavia molto resta da fare su quello stesso piano dei diritti e ancor più sul piano della dignità culturale dove più forte era stato l’impegno dell’altro femminismo, quello isolazionista. Anche in tempi recenti comportamenti inaccettabili, azioni inopportune o compiacenti reazioni segnalano l’insufficienza dell’impatto del femminismo pragmatico sul piano culturale, in particolare in alcuni Paesi europei.
La diagnosi si applica pure a partiti progressisti che hanno preteso di interpretare il ruolo di super-paladini della parità di genere. In Francia Dominique Strauss-Kahn, candidato in pectore del Partito socialista alla Presidenza della Repubblica, sarà forse assolto dalle infamanti accuse di stupro, ma difficilmente potrà togliersi di dosso la fama di molestatore. A quanto pare, però, nei circoli influenti queste scomposte pulsioni erano note ed evidentemente tollerate. Non costituivano un impedimento alla candidatura di Dsk a cariche pubbliche di massimo livello. Infatti, appena il castello accusatorio per il reato di stupro ha cominciato a scricchiolare a New York, dalla Francia sono arrivate immediate offerte di rimandare i termini di iscrizione alle primarie che sceglieranno il candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali.
Questa subitanea esuberanza di fair play non ha coinvolto solo il concorrente maschio Hollande, ma anche le due donne: Martine Aubry e Ségolène Royal. I limiti del femminismo pragmatico si rivelano, insomma, quando si tratta di anteporre la dignità femminile alla logica di partito. Insomma il femminismo pragmatico si è occupato più della parità di diritti, sulla quale era più facile trovare alleanze, che di pari dignità. Anzi, sotto il manto pragmatico delle pari opportunità, qualche donna ha ottenuto qualcosa e ceduto molto sul piano del rispetto personale. La pari dignità è un obiettivo sul quale si incontrano non solo resistenze maschili, ma anche compiacenti disattenzioni femminili.
Conferma questa tesi la strategia pubblicitaria adottata in tempi recenti da un giornale progressista, «L’Unità», all’epoca dei fatti diretto da una donna. Questi casi, che hanno molto infastidito il nuovo movimento femminista di «Se non ora quando?», toccano un aspetto assai meno pesante rispetto alle molestie sessuali in Francia, e però fastidioso: l’uso consumistico dell’immagine femminile. Ottobre 2008: «L’Unità» in nuova veste grafica è infilato in una tasca strategicamente piazzata sul didietro di una minigonna, e allegoricamente si presenta come «nuova, libera, mini».
La direttrice sotto attacco risponde che anche Gramsci, il fondatore del giornale, avrebbe approvato, «perché il corpo di una donna questa volta viene usato per pubblicizzare un prodotto intellettuale. Mi sembra pertinente. È molto peggio quando è utilizzato per accompagnare la pubblicità di un’auto o di un detersivo per i piatti». Mah? In questo caso si tratta di un’autocitazione di Oliviero Toscani, la vecchia pubblicità dei Jeans Jesus: micro calzoncini siglati con il dissacrante «Chi mi ama mi segua». Giugno 2011: torna la polemica con la pubblicità del festival dell’Unità di Roma, dove il felice slogan «Cambia il vento» fa alzare le gonne di una giovinetta. Qui la citazione è di Marilyn Monroe in «Quando la moglie è in vacanza». Messaggio progressista? Marilyn fu attrice del tutto deliziosa, ma i suoi unici ruoli politicamente memorabili restano quelli erotici con entrambi i fratelli Kennedy. La comunicazione contemporanea ama farcirsi di allusioni sexy e citazioni del passato. Ma che almeno ci sia risparmiata nella politica.
«Se non ora quando?» è un movimento pragmatico, ma trova la sua spinta iniziale proprio nella rivendicazione di pari dignità. Ma temo che per ottenere risultati in quel campo non bastino movimenti, e serva una massa critica di donne comuni capaci di farsi rispettare. Bisogna però augurarsi che il nuovo movimento riesca a suscitare una diffusa radicale richiesta di rispetto. A partire da Siena «Se non ora quando?» appare anche impegnato a far progredire il lavoro del femminismo pragmatico: trovare obiettivi comuni, individuare priorità. Se torniamo al confronto con la Francia ci accorgiamo che, se sul piano della pari dignità non sono molto avanti a noi, lo sono certo su quello delle pari opportunità. Faccio l’esempio più lampante: la maternità.
Obiettivo prioritario per il femminismo pragmatico italiano è la conciliazione tra famiglia e lavoro. La Francia (non ai primissimi posti in Europa) spende comunque più del doppio dell’Italia per i nidi. Il 78% delle mamme francesi con 2 figli lavora, mentre delle italiane nella stessa condizione lavora solo il 54,1%. Lo squilibrio di genere nei tassi di attività nel nostro Paese (73,4% maschi, 51,7% donne) è decisamente più ampio che oltralpe (74,8% e 61,6%), e rappresenta un grosso vincolo per le nostre potenzialità di crescita economica. Al nuovo movimento italiano resta un sacco di lavoro da fare. Gli auguro di riuscire a farlo dosando con accuratezza il meglio dei due femminismi delle nonne: l’attenzione alla dignità di quello radicale, la capacità di raggiungere risultati di quello pragmatico.
da www.lastampa.it
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“Se non ora, quando?” A Siena riecco le donne
Torna in piazza il movimento delle “indignate” dal caso Ruby
“Ma nessun cappello dei partiti” La Bindi: il Pd si farà attraversare
e streghe sono tornate, portandosi per mano figlie e nipoti, rendendo loro protagoniste di una nuova stagione sociale. Guardano con diffidenza alla politica, così come va in scena ora in Italia, non vogliono il cappello dei partiti. Chiedono, anzi no, pretendono di essere ascoltate. È questo l’idenkit del nuovo movimento femminile e femminista che è nato oggi a Siena : oltre 2000 donne, in rappresentanza di associazioni e comitati, accorse da tutta Italia per riproporre l’interrogativo ’Se non ora quandò che il 13 febbraio scorso portò 1 milione di persone in piazza.
«Qui a Siena si tiene l’incontro nazionale fondativo del movimento delle donne – annuncia Cristina Comencini, dall’inizio, insieme alla sorella Francesca, una delle più convinte supporter -. La nostra agenda, che qui si sta cominciando a scrivere, sarà all’attenzione della politica italiana. Non potranno fare finta di niente. Vogliamo che le donne siano al centro della politica. Questo è un movimento che ha fatto un patto generazionale: facciamo politica, ci rivolgiamo alla politica allargando gli orizzonti, parlando di cultura». Non è solo antiberlusconismo, è l’apertura di un
fronte ampio di contestazione trasversale del modo di fare politica, di pensare alle donne, di escluderle. L’indignazione per il “caso Ruby” ha fatto solo da detonatore, il disagio, dicono tutte, covava sotto la cenere da tempo. «Il tema della dignità offesa delle donne non era un problema di decoro morale – spiega la regista Francesca Comencini – ma era contro la creazione di un velo che non consentiva alle donne di essere considerate cittadine del loro paese». È Carla, da Napoli, che tra gli applausi dà una sola voce a tutte le donne. «Noi facciamo un appello ai politici – dice – basta con questo maschilismo. State al nostro fianco, camminate con noi, non pretendete di stare sopra di noi».
Che i partiti non godano di buona salute nell’immaginario del movimento lo sperimenta la presidente del Pd Rosy Bindi che pure è una convinta sostenitrice, e lo sottolinea, del «vento nuovò portato dalle donne nel nostro Paese». Ma quando annuncia che chiederà al suo partito di farsi «attraversare» dalle istanze del movimento dalla platea parte qualche fischio. E lei subito puntualizza. «Se mi fischiate non avete capito, non c’è alcuna intenzione di appropriarsi di questo movimento perchè non è nostro». Qualche fischio parte anche all’indirizzo di Flavia Perina ma la contestazione è zittita da altre donne: «Lei, l’ha lasciato Berlusconi…», riconosce qualcuno ricordando la nascita di Fli.
Movimento trasversale, intergenerazionale, e con un’agenda ricchissima di argomenti, dall’economia, allo stato sociale, al lavoro e al precariato, dalle diseguaglianze retributive fino
all’antico tema caro alle femministe storiche, la riappropriazione del corpo, la consapevolezza di sè. La segretaria della Cgil Susanna Camusso è molto applaudita, parla della manovra del Governo e dice «è contro le donne, va cambiata immediatamente». Intervengono anche Giulia Buongiorno e Livia Turco. Ma le vere protagoniste sono le donne comuni che salgono sul palco, molte per la prima volta in vita loro. Gli interventi vanno avanti per ore in una piazza di Sant’Agostino arroventata dal sole. Palco e platea sono abbellite da palloncini rosa, in fondo un drappo rosso lancia un invito: «Costruiamo lo sciopero delle donnè. Bel problema se ci riusciranno…In serata flash mob in piazza del Campo, con tante bollicine di sapone soffiate in aria all’urlo «Se non ora quando?» Adesso, per concludere la prima giornata. Domani, si parlerà di organizzazione «per far volare il movimento ancora più in alto».
da www.lastampa.it