Lo sciacallaggio dei giornalisti-spia e degli investigatori privati intenti a rovistare nei telefonini delle vittime di varie vicende tragiche dell’ultimo decennio, per conto delle pubblicazioni di Rupert Murdoch, è l’episodio finale (ma non necessariamente il capolinea) di una storia di lunga data. La Gran Bretagna, madrepatria di tante cose si è inventata anche lo strapotere del gossip, nella sua valenza economica di industria dall’enorme fatturato, come nella sua dimensione (ebbene sì…) politica.
Dal tardo Rinascimento delle shakespeariane allegre comari di Windsor al Medioevo del domenicale «News of the World», la «perfida Albione» rimane sempre la scena del misfatto, il luogo dal quale il voyeurismo morboso e il tifone della calunnia (altro che venticello…) soffiano irresistibili. Proprio perché quello che un tempo si chiamava pettegolezzo, sia pure con caratteristiche differenti, nel più antico Stato liberaldemocratico d’Occidente (e, in passato, suo maggiore Impero), è divenuto un formidabile combinato disposto di fonte di profitto e di instrumentum regni.
Gli ingredienti, difatti, c’erano tutti, belli pronti e disposti in ordine. La Gran Bretagna è la nazione del Vecchio continente con la struttura sociale più piramidale (quasi castale, si potrebbe dire), dove l’estrazione si riconosce dall’accento, e dove i consumi culturali (o sottoculturali) connotano indelebilmente la provenienza di ceto (o di classe, come un tempo). Già sul finire dell’Ottocento, Lord Alfred Charles William Harmsworth, visconte di Northcliffe, il «Napoleone della stampa», si inventò, con il «Daily Mail» e il «Daily Mirror», il giornalismo popolare (nei temi come nel prezzo, all’epoca mezzo penny), antesignano dei supermarket tabloid. E quando la working class si ritrovò orfana dei piccoli privilegi legati all’essere l’aristocrazia operaia del reame che possedeva colonie in ogni parte del globo, la riduzione della razione di panem che le spettava venne compensata aumentando esponenzialmente la quota di circenses. Del resto, per titillare i sogni e incitare a guardare dal buco della serratura una monarchia risultava ideale, dal momento che, come si sa, i destini regali appassionano moltissimo anche il pubblico delle meno fiabesche repubbliche. Con l’avvento al potere della signora Thatcher, e la correlata sterzata neoliberista, che riduce l’intervento assistenziale pubblico e non risulta certo tenera con le fasce popolari, si incrementa ulteriormente il bisogno di incentivarne gli svaghi e le distrazioni rispetto alla scena pubblica di un Paese che fa da apripista alla finanziarizzazione dell’economia e alla deindustrializzazione. Sempre meno classe lavoratrice, e sempre più agglomerato atomizzato di precari e disoccupati, la «gente» anglosassone trova nella lettura dei tabloid e nella tv trash un rifugio parziale, il quale fa anche da solidissimo ancoraggio al populismo della nazione laboratorio della postdemocrazia. E il pettegolezzo, vista pure la sua utilità a fini di creazione del consenso elettorale, nell’età postmoderna si fa così direttamente gossipcrazia. Gli spin doctors, esperti di quella che l’anglista Roberto Bertinetti chiama la «manipolazione democratica», finiscono quindi per fare a gara nell’accreditarsi presso Murdoch, il potentissimo tycoon globale della stampa gossipara. Il magnate di origini australiane, populista convinto anche per ragioni di avversione personale nei confronti delle élites dell’antica madrepatria colonialista (da lui considerate spocchiose ed esangui), si erge allora, grazie alla potenza di fuoco dei suoi media (a partire dal vendutissimo Sun), ad attore diretto della politica inglese, appoggiando prima Tony Blair e poi David Cameron, con gli esiti che sono poi stati sotto gli occhi di tutti.
Proprio in queste ore, il figlio James ha annunciato la chiusura del domenicale da 3 milioni di copie nell’occhio del ciclone, il cui ex direttore, arrestato ieri per questa squallida faccenda, Andrew Coulson, ha rivestito il ruolo, guarda un po’, di portavoce del premier conservatore in carica, a conferma delle sliding doors che intercorrono tra la comunicazione politica e il giornalismo dei basic instincts nella postdemocratica Gran Bretagna dei nostri giorni. Dove i lettori di tabloid, la cui fiducia è stata tradita, come scriveva su queste colonne Bill Emmott, coincidono con altrettanti elettori, di fronte ai cui comportamenti di voto la teoria politica liberale interessata alla qualità della democrazia contemporanea non può non porsi, con la giusta dose di preoccupazione, alcuni quesiti.
da www.lastampa.it