Per chi esprime il pensiero laico della società civile, al di fuori delle ideologie e delle fedi, i sentimenti di fronte alla legge sul biotestamento in via di approvazione alla Camera sono essenzialmente due: stupore e incredulità. Non capiamo come può il Parlamento prendere decisioni che calpestano i diritti individuali tutelati dalla Costituzione, quale quello, fondamentale, di decidere come vivere e come non vivere. E inoltre non crediamo che lo possa fare. Capiamo invece che il dibattito sulla vita, la sua qualità e la sua fine, passa attraverso dilemmi etici e filosofici, oltre che medico-scientifici, che la politica non riesce a trattare, e capiamo dunque la difficoltà per ogni singolo parlamentare nel dare un voto in piena consapevolezza e coscienza su questa materia.
Per questo la maggioranza di noi chiede di fermare l´iter legislativo, nella convinzione che l´assenza di una legge sia un male minore rispetto a una cattiva legge. La mancanza di una normativa permetterebbe a tutti, medici e cittadini, malati e famigliari, di comportarsi nel modo più appropriato, caso per caso, rispettando così al massimo l´unico punto fermo: la volontà della persona e la sua inviolabile dignità. Ci consideriamo un Paese civile e abbiamo fiducia nella nostra capacità di scelta come individui e come comunità. Inoltre siamo aiutati da strumenti condivisi anche a livello internazionale, come il nuovo codice di deontologia medica e la Convenzione di Oviedo sui diritti del malato. È vero che molti giuristi e molti medici, e io per primo, avevano auspicato una legge sul testamento biologico, come forma di tutela ulteriore della volontà della persona ed estensione naturale del Consenso Informato, già norma in Italia. Ma i fatti ci hanno purtroppo dimostrato che i tempi non sono maturi: ci siamo paradossalmente ritrovati di fronte ad un disegno di legge che, unico caso nelle democrazie avanzate, nega l´autodeterminazione dell´individuo.
Per capire il peso morale e intellettuale del tema del “fine vita”, non è necessario fermarsi a meditare sulla morte. Tutti amiamo la vita, segretamente sogniamo l´immortalità e preferiamo rimuovere il pensiero della fine. Sono convinto però che la maggioranza di noi adulti è stato sfiorato da una situazione in cui ha percepito il pericolo di vita o si è domandato dove si colloca, per ognuno, l´asticella di quella vita che vale la pena di essere vissuta. Questo è il cuore del problema, così intimo, su cui il Parlamento si appresta a legiferare nel modo peggiore possibile: appropriandosi del potere di decidere per noi che cosa fare della nostra vita. Per esempio è stato approvato il “semplice” divieto di qualunque forma di eutanasia. Io mi chiedo però se i parlamentari conoscono il significato stesso del termine eutanasia. Esiste il lasciar morire (sospendere le terapie), l´aiutare a morire (aumentare le dosi di farmaco sapendo di anticipare la fine) e il far morire (indurre la morte quando richiesta). Giuridicamente c´è una grande differenza, ma eticamente no. Tutti e tre questi atti hanno lo stesso risultato: soddisfare il desiderio di una persona di mettere fine a una vita che egli giudica insopportabile per il dolore e non più dignitosa. Il legislatore dovrebbe dunque specificare cosa intende. Ad esempio il lasciar morire è ammesso anche dalla Chiesa: questo fu il caso infatti di papa Wojtyla ed anche l´aiutare a morire è stato considerato legittimo da papa Pio XII, come appare nel suo discorso al Congresso nazionale degli anestesisti del 1957.
Il testamento biologico, poi, è ancora più confuso. È nato come strumento di autodeterminazione, per dare la possibilità ai cittadini di dire no, se lo desiderano, alla vita artificiale: lo stato vegetativo permanente in cui un corpo può restare indefinitamente senza coscienza, senza vista, senza udito, senza gusto, appunto come una pianta. La legge attuale, invece, rendendo obbligatoria l´idratazione e alimentazione artificiale, che sono le condizioni di mantenimento dello stato vegetativo, di fatto ci impone la vita artificiale, che lo vogliamo o no. Tutto il mondo civile ha scelto un criterio per semplificare la complessità delle scelte che riguardano la vita individuale: la volontà della persona. In molti, in Italia, pensiamo che dovremmo adottarlo anche noi.
Repubblica 08.07.11