Si tranquillizzino quelli che si preoccupano per il futuro dell’antiberlusconismo di stampo giustizialista quando non ci sarà più Berlusconi. Non rimarranno disoccupati, coloro per i quali il casellario giudiziario è il prisma attraverso il quale leggere l’Italia, e che ritengono che ogni politico o uomo di potere siano a priori colpevoli di qualcosa, finché non riescono a dimostrarsi innocenti.
Al Fatto, per esempio, hanno deciso di riposizionarsi per tempo.
Per loro, quando Berlusconi non ci sarà più non cambierà granché: la politica è comunque un oceano di corruzione, nessun partito fa eccezione e il Pd – in quanto futuro probabile principale partito di governo – merita fin d’ora un bel trattamento demolitorio. Ed ecco allora ieri la prima pagina, titoli, commenti, articoli: «Questione morale addio», «La diversità perduta», «Berlinguer chi era costui?», «Mazzetta rossa la trionferà».
Magari si trattasse del prezioso ruolo del watch-dog che non fa sconti ad alcuna parte politica. Questa è intimidazione a mezzo stampa. È la negazione di una qualità politica differente che, passando dalle sfuriate di Beppe Grillo, finisce per sovrapporsi alla principale tesi dei giornali berlusconiani: se a destra sono peccatori, a sinistra lo sono altrettanto.
«C’è una differenza semplicemente quantitativa», garantisce Paolo Flores d’Arcais.
Il tema è serio. Dalla Puglia alla Liguria al Piemonte ci sono indagini che coinvolgono per reati gravi personaggi in vari modi vicini al Pd. Il Sud è pieno, per ammissione generale, di zone opache. È vero, come rimarca Bersani, che i democratici coinvolti lasciano sempre i propri posti e che la magistratura non viene mai attaccata per il lavoro che fa: ma questo è un buon costume del dopo, non assolve dal malcostume del prima.
Ogni scrutinio dev’essere accettato. Il Fatto però – in sintonia con il mainstream liquidazionista di gran parte dell’opinione pubblica progressista – compie un salto di qualità molto meno accettabile. Eleva a sistema, nel Pd, la presunta corruzione di alcuni. La associa a un nome e un cognome, quelli di Massimo D’Alema.
Per fornire gravità storica alla degenerazione, denuncia il tradimento di Enrico Berlinguer (1981, intervista sulla questione morale e rottura politica con Craxi), tirando in ballo Napolitano come avversario dell’epoca e facendo intendere che nel dissenso di allora possano rintracciarsi i germi di un relativismo etico dell’attuale capo dello stato.
Che a Padellaro Napolitano sia poco simpatico è risaputo: affari loro. Però Padellaro al Fatto è fra i pochi con l’età giusta per poter contestualizzare, a volerlo fare, il dissenso fra Napolitano e Berlinguer in uno scontro politico denso di ragioni. Fa ridere, se non fosse paradossale e sostanzialmente diffamatoria, la riproposizione odierna di quella antica “diversità” da parte di uno come Flores che è stato trotzkista, craxiano, nuovista e girotondino, quindi tutto tranne che berlingueriano anzi esattamente l’opposto.
Il giornale del «sono tutti uguali» ha tanta nostalgia della diversità berlingueriana, anche se nessuno da quelle parti ha il dna giusto per rivendicarla. Scagliarla contro il corrotto Pd di oggi è abusivo e storicamente folle. Ma comunque è una nostalgia mal riposta.
Nonostante l’iconizzazione successiva della figura del segretario del Pci, davvero la proclamazione e l’esasperazione della diversità andò allora di pari passo col riconoscimento di una sconfitta storica, della fine di una speranza e di una strategia, della chiusura di un ciclo che si volle dichiarare esaurito per l’amoralità degli altri piuttosto che per i limiti propri. Da allora, ogni battuta d’arresto a sinistra ha sempre alimentato frustrazione e ha accresciuto il senso di un’ingiustizia subìta, invece di stimolare la lucidità necessaria a cogliere gli errori di analisi sulla società.
I leader democratici si considerano oggi diffamati e offesi dal Fatto, hanno le loro ragioni.
Quel giornale – quella cultura, quel luogo comune diffuso – sono portatori però di qualcosa di peggio: sono i portatori non sani della sconfitta permanente, dell’incapacità e non volontà di capire il mondo nei suoi dati strutturali, nei mutamenti dei pensieri profondi più difficili da cogliere e da affrontare di quanto non sia la debolezza dei politici.
Al Fatto sono bravissimi a occuparsi dei Morichini della terra, e c’è tantissima gente che solo di questo vuole leggere e sapere: bene, o tempora o mores. Ma a quel giornale, per alimentare il successo del momento, bastano i verbali dei pm, non c’è bisogno di scomodare Berlinguer, la fine del compromesso storico, l’impotenza del riformismo socialista. Evidentemente non è roba adatta a loro.
da Europa Quotidiano 08.07.11