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“Se nasce la biopolitica”, di Carlo Galli

Ora che Eluana non c’è più – sfuggita, com’era sua volontà, al dominio degli oltranzisti della vita – , la decenza e la pietà ci impongono il silenzio sullo straziante caso personale. Tuttavia, la questione politica che si è aperta non può essere frettolosamente richiusa.

Il cosiddetto caso Englaro ci ha posto, infatti, e continua a porci, di fronte a una questione di sovranità. Siamo davanti a quello che alcuni giuristi e alcuni filosofi definiscono “caso d’eccezione”, cioè a quel punto in cui il sistema delle norme e delle istituzioni è minacciato, e lascia vedere, sotto le maglie lacerate della legalità, il nucleo originario della politica: il nesso fra corpo umano e corpo politico, in cui si mostra che la politica ha a che fare, primariamente, con la vita e con la morte degli esseri umani, e che la sovranità è la decisione che opera su questa materia incandescente. Un tempo era prerogativa del sovrano decidere se mettere a morte o lasciare in vita un uomo (o una donna): oggi, al contrario, si è trattato di decidere tra il far vivere e il lasciar morire. E questa decisione si è posta all’ordine del giorno perché sta vacillando la normalità costituzionale liberaldemocratica, che cercava di tenere vita e politica il più possibile distinte e separate: secondo il nostro ordinamento, infatti, la politica non afferra direttamente la vita, ma la protegge lasciandone la libera disponibilità al cittadino, riconoscendogli il diritto cruciale di rifiutare le cure mediche (art. 32 Cost.). La sovranità della legge dello Stato liberale e democratico conferisce al singolo la sovranità su se stesso, sulla propria vita e sul proprio lasciare la vita.

Ciò che è capitato è la conferma che questa distinzione vien meno, che cioè il discorso politico è ormai direttamente discorso sulla vita, che il potere politico si fa potere di vita, che è ormai biopotere, e che la politica è apertamente biopolitica. E prende la forma di una sorta di allevamento dell’essere umano, che – per il suo bene, deciso da altri – non può sottrarsi alla tutela, e deve venire esonerato dal suo diritto sovrano su se stesso.

Il caso d’eccezione implica una decisione, ne è il frutto. Molte possono essere le cause contingenti che hanno determinato il caso Englaro – distrarre l’opinione pubblica dalla crisi economica con argomentazioni tra il sentimentale (la pretesa “condanna a morte” di una fanciulla) e il paleopolitico (la costituzione “filosovietica”), segnalare al Vaticano in occasione degli ottant’anni del Concordato la propria disponibilità a un’alleanza strategica in nome dell’autoritarismo etico, mettere in difficoltà il Pd; tuttavia, la decisione di Berlusconi di tentare di opporsi a una sentenza definitiva della magistratura con lo strumento della decretazione avente forza di legge è stata anche la decisione di istituire un percorso che, a partire dal cortocircuito fra vita e politica, avrebbe dovuto passare dal disegno di una società eticamente protetta a ogni altro ambito giuridico e politico. La decisione, cioè, di proporre una nuova normalità postcostituzionale, di tipo plebiscitario e decisionista: l’appello al popolo per rafforzare la potestà legislativa dell’esecutivo, per fare del governo il signore, in generale, della necessità e dell’urgenza.

La presa sul corpo di Eluana ha voluto essere anche la presa sul corpo politico della Repubblica. La scenario che quella decisione ci ha prospettato consiste infatti nella perdita delle distinzioni fra pubblico e privato, fra religione e politica, fra Chiesa e Stato, fra popolo e Parlamento, fra potere legislativo esecutivo e ordine giudiziario, fra legge universale e provvedimento ad hoc: “legge salva-Eluana” è stato battezzato il ddl frettolosamente affidato dal governo a un Parlamento trattato come un votificio. E questo mondo indistinto è anche un mondo rovesciato: lo Stato liberaldemocratico che riconosce al singolo la sovranità su se stesso è stato definito il frutto di un’ideologia malvagia e mortifera che lo vuole superiore al cittadino; lo Stato autoritario che non ne riconosce la volontà è stato fatto passare, invece, per liberale.

Attraverso le varie strategie (politiche, mediatiche, amministrative) con cui ha gestito il caso d’eccezione, la destra ha mostrato la propria vera natura, cioè di ritenere che la realtà politica sia un magma indistinto, plasmabile a piacimento: che tutto sia possibile, che ovunque si tratti sempre e solo di una questione di potere.

Ma il caso d’eccezione esige anche una risposta: la prima, doverosa e coraggiosa, è stata quella di Napolitano, per la quale il Capo dello Stato ha pagato e paga il prezzo di attacchi incredibili; ma devono proseguire l’opposizione, l’opinione pubblica, i media. La risposta non può non essere la energica riconferma della Costituzione, preziosa fonte di libertà e democrazia proprio in quanto contiene le distinzioni giuridiche e istituzionali che la destra annulla, proprio perché ha in sé la decisione per il liberalismo democratico che comporta anche il rispetto dei diritti sovrani del cittadino. È questo il tempo, insomma, di una nuova decisione contro il biopotere per l’habeas corpus, contro le tentazioni plebiscitarie per la normalità istituzionale, contro il decisionismo e l’autoritarismo per la libertà e la democrazia.

(12 febbraio 2009, La Repubblica)

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