L’ art. 373 del codice di procedura civile stabilisce nel suo comma 1, che «il ricorso in Cassazione non sospende l’esecuzione delle sentenze». Soggiunge che «tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte, e qualora dall’esecuzione possa derivare un grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione».
Il significato di questa disciplina è chiaro. La sentenza civile d’appello è esecutiva ed il ricorso in Cassazione non vale a sospendere tale esecutorietà. Cionondimeno il giudice che ha deciso «qualora dall’esecuzione possa scaturire un danno grave ed irreparabile», ad evitarlo «può» disporre che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata idonea cauzione in attesa della sentenza definitiva. Norma ragionevole, dato che mira ad evitare danni irreparabili, previa valutazione discrezionale del giudice, e sentite le ragioni delle parti in causa.
Il governo ha approvato un decreto recante «disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria». Nel suo art. 37, contenente «disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie», è stato inserito (proprio al fondo, al suo punto 23 lettera b), una norma che precisa che nel menzionato art. 373 del codice di procedura civile dev’essere inserita la seguente ulteriore disposizione: «La sospensione prevista è in ogni caso concessa per condanne superiori a venti milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione». Sembrerebbe che tale disposizione non figurasse nelle bozze del decreto che erano circolate in giornata, e che sia improvvisamente comparsa nel testo ufficiale inviato alla Presidenza della Repubblica.
L’aggiunta appare, di per sé, stupefacente. Perché mai la sospensione della esecuzione della esecutorietà della sentenza dovrebbe essere «in ogni caso» concessa se la parte istante presta idonea cauzione, essere in altre parole concessa a prescindere da qualsiasi valutazione di danno grave ed irreparabile da parte del giudice? Perché mai questa strana disposizione derogatoria rispetto alla discrezionalità giudiziale dovrebbe valere per condanne «di ammontare superiore a venti milioni di euro», creando pertanto, quantomeno, una discriminazione nei confronti di chi, ad esempio, sia stato condannato a pagare venti milioni esatti, o diciannove milioni, diciotto e via dicendo?
Ma soprattutto. Che senso ha inserire una norma siffatta in un provvedimento legislativo concernente la stabilizzazione finanziaria? E ancor più, dato che la nuova norma figura in un articolo destinato ad assicurare «l’efficienza del sistema giudiziario» nonché «la celere definizione delle controversie», che cosa c’entra, la disposizione di cui si discute, con tale dichiarato obiettivo generale? Rendere «in ogni caso» concessa la sospensione dell’esecutività di una sentenza civile se l’istante presta idonea cauzione significa, semplicemente, favorire una parte a danno della parte avversa, parte che fra l’altro ha vinto la causa, e che ha diritto, in mancanza di danno irreparabile alla parte soccombente, di non vedersi privato del suo sacrosanto titolo ad essere risarcito.
Quale è, infine, la ragione «di urgenza» che giustificherebbe l’ «innovazione» introdotta all’ultimo momento nel testo del decreto sottoposto al Capo dello Stato? Nessuna, apparentemente. A meno che, ovviamente, l’urgenza sia individuabile nell’imminenza di qualche sentenza che potrebbe incidere sugli interessi di qualcuno. Tutti sappiamo, ad esempio, che è attesa fra pochi giorni la sentenza d’appello concernente il Lodo Mondadori che, se confermasse la sentenza di primo grado, condannerebbe una società del Presidente del Consiglio a pagare una somma superiore ai settecento milioni di euro.
Al di là di questo possibile profilo, che spiegherebbe ovviamente l’altrimenti inspiegabile realtà della specifica innovazione della quale stiamo discutendo, rimangono, comunque, le gravissime discrasie di carattere generale.
Ci troviamo di fronte ad una nuova norma che modifica illogicamente una disciplina che appare, oggi, logica a ragionevole; di fronte ad una norma che non trova nessuna sua collocazione razionale nel contesto di un decreto finalizzato a risanare, se possibile, la nostra economia; di fronte ad una norma che costituisce un corpo estraneo rispetto alla stessa finalità specifica, di celerità ed efficienza della giustizia civile, cui vorrebbe rispondere l’articolo nel quale essa risulta inserita. Ci troviamo, infine, di fronte ad una norma che non ha nessuna valenza generale d’urgenza. Si tratta di una norma che, davvero, può pertanto legittimamente permanere nel testo del decreto nel quale è stata, all’ultimo momento, più meno furbescamente inserita?
La Stampa 05.07.11