Quando nel 2002 il governo di centrosinistra fu sostituito dal governo Berlusconi, l’eredità ricevuta da quest’ultimo era tutt’altro che trascurabile: nel 2000 infatti il Pil era cresciuto del 3,6% (!), il surplus primario era pari al 5-6% del Pil, la bilancia dei pagamenti era in equilibrio, l’occupazione in salita, le tasse in via di diminuzione. Sarebbe stato sufficiente mantenere la rotta per evitare di trovarci di nuovo in una situazione di crisi come quella dei primi anni ’90 e come quella attuale.
Viceversa il governo di centrodestra con cecità assoluta e una evidente inconsapevolezza della realtà economica italiana, in poco tempo liquidò il surplus primario, aumentò il debito, si imbarcò in una serie di misure una tantum che aumentavano l’incertezza sulla tenuta futura della finanza pubblica italiana (condoni a raffica, cartolarizzazioni, finanza creativa), contribuì a far saltare il patto di stabilità lasciò che la nostra posizione competitiva si deteriorasse e si manifestasse di nuovo un deficit nei conti con l’estero, evitò ogni riforma strutturale nella convinzione, del tutto errata, che il modello di sviluppo potesse ritornare ad essere quello degli anni ’70 e ’80 del secolo passato, pur in presenza della moneta unica e di una concorrenza internazionale molto più accentuata che in passato. I due anni del secondo governo Prodi non furono sufficienti a recuperare una situazione per molti versi compromessa. La grande crisi finanziaria ha fatto il resto.
È in questo contesto che va valutata la manovra attuale, varata in una situazione di elevato disavanzo, debito pubblico tornato ai livelli degli anni ’90, crescita asfittica, disoccupazione elevata, disavanzo della bilancia dei pagamenti di 4 punti di Pil, sistema economico sclerotizzato e incapace di riprendersi. La decisione condivisa da tutti i governi europei di riequilibrare le finanze pubbliche in tempi molto brevi e senza fare affidamento su nessun meccanismo di gestione collettiva e condivisa dell’extra debito e delle prospettive di crescita dell’Europa, ha contribuito a rendere la situazione altamente drammatica. L’Italia non è la Grecia (nè l’Irlanda, il Portogallo e neppure la Spagna) ma è oggi sicuramente un Paese a rischio che deve cercare di allontanarsi dal baratro che non è poi così distante.
Tutto ciò si poteva evitare, ma otto anni di governo pressoché ininterrotto della destra ci hanno portato a questa situazione. Oggi l’Italia appare (ed è) un Pese che vive al di sopra dei suoi mezzi e quindi è costretta a “rientrare” con le buone (le manovre) o con le cattive (la reazione dei mercati). È un calice amaro che Berlusconi e Tremonti ci costringono a bere.
Non conosciamo ancora l’impatto effettivo della manovra, né se le misure la cui entrata in vigore è prevista per il 2013 e 2014 siano adeguate e credibili vedremo la reazione dei mercati. Il dubbio che il profilo di rientro adottato sia dettato dal desiderio di spostare in avanti, alla nuova legislatura, l’impatto delle misure più impopolari, è molto serio ed evidente; e tutti ricordano la vicenda dello scalone previdenziale e del “concordato di massa” (condono) lasciati in eredità ai governi di centrosinistra nel 2006. C’è anche il ragionevole dubbio che il centrodestra abbia scontato di andare a elezioni anticipate l’anno prossimo e quindi abbia disseminato la strada di bombe a scoppio ritardato.
Tuttavia il problema di fondo è un altro: è possibile, una volta per tutte, uscire dalla tenaglia composta da tagli e misure di contenimento da un lato, e stagnazione, deflazione, disoccupazione dall’altro? Questo è un problema che il governo non si è posto e non si pone. Eppure è evidente che dalla nostra crisi non si esce senza profonde riforme all’assetto istituzionale dell’economia e della finanza pubblica italiana, misure che riguardano la struttura di governo, lo pseudo federalismo che abbiamo creato, il perdurare dello stallo creato dagli interessi corporativi, il diritto dell’economia, l’evasione fiscale, la iniqua distribuzione del carico tributario tra ricchi e poveri, la corruzione.
Si ratta di riforme difficili da varare perché toccano interessi diffusi e radicati che nessuno ha avuto finora la forza di affrontare e neppure pienamente individuare. Interventi che possono apparire in prima battuta impopolari ma che sono gli unici che ci possono consentire di uscire dal pantano attuale. La destra non sa e non può affrontare questi problemi perché ha paura di disarticolare il blocco sociale che la sostiene. Tocca quindi alla sinistra. Si sarà in grado di impostare su questi problemi la costruzione di una nuova coalizione? In caso contrario il tenore di vita degli italiani si ridurrà ancora (cosa che nella situazione attuale appare pressoché inevitabile) ma non vi saranno prospettive di recupero e di crescita. E proseguiremo lungo il sentiero di un inevitabile declino.
L’Unità 01.07.11