Il Pd è in prima linea da mesi per richiamare il governo e la maggioranza alle proprie responsabilità di fronte ai rischi sempre più concreti di cortocircuito fra la crisi politica, quella sociale e quella economica. Il tema del lavoro in particolare è diventato giustamente la cifra e l’assillo della segreteria Bersani. Ma il partito non ha mai smesso di macinare proposte concrete anche sul piano istituzionale: basterebbe ricordare la proposta di riduzione del numero dei parlamentari all’interno di un progetto di riforma più ampio presentato all’inizio della legislatura o la recente proposta di revisione radicale dell’attuale legge elettorale, il cosiddetto Porcellum, nella consapevolezza che questo snodo è decisivo per ricostruire il filo della confidenza e della fiducia nella politica da parte dei cittadini.
La maggior parte di loro non si riconosce, infatti, nell’attuale ceto parlamentare perché non lo sente come proprio, essendo stato scelto e di fatto imposto dalle segreterie dei partiti, come vuole la legge vigente. Però tutto è fermo. L’asse Berlusconi-Bossi-Scilipoti sta infatti sequestrando e condannando all’immobilismo il parlamento. Di nuova legge elettorale in particolare non vogliono sentirne parlare, prigionieri come sono dell’illusione di poter replicare il furto di uno scandaloso premio di maggioranza anche alle prossime elezioni.
Per questo si pone l’esigenza di fare appello oggi agli elettori perché siano loro, con una spallata simile a quella di poche settimane fa nei referendum, a scuotere il parlamento dalla persistente e colpevole letargia e costringerlo a calendarizzare il dibattito su una nuova legge elettorale, o, in caso di perdurante inerzia, a decidere essi direttamente con quel “potere legislativo sostitutivo” loro riconosciuto dalla Costituzione. Con il referendum appunto, cioè con quello strumento proposto allora da Costantino Mortati quale «estrema forma di controllo a disposizione del corpo elettorale nel caso in cui si fosse creata una discrasia fra orientamento del legislatore e volontà popolare».
Come capita oggi sulla legge elettorale. Per queste ragioni da molto tempo mi permetto di insistere, insieme ad altri colleghi parlamentari, a importanti costituzionalisti e a personalità della società civile, per la presentazione di quesiti referendari che intervengano selettivamente sulla legge 270/2005 in modo da fare rivivere le legge pre-esistente, cioè la “Mattarella”.
Com’è possibile? Semplice. Poiché la legge Calderoli introduce, stravolgendolo, modifiche di varie parti dell’ordinamento precedente, basta eliminare quelle modifiche per fare ritornare “in vita” ciò che si era voluto estinguere.
Oppure, se non si ama parlare esplicitamente di rivivescenza, si può dire che, abrogando quelle parti del porcellum che avevano straziato la legge precedente , resta comunque un testo organico ed efficace.
È il caso di ricordare che la legge Mattarella è già stata applicata in tre precedenti elezioni politiche con effetti positivi per il sistema e soddisfacenti per i cittadini i quali, attraverso l’assegnazione del 75 per cento dei seggi in collegi uninominali composti mediamente da 100.000 elettori hanno avuto la possibilità di scegliere candidati conosciuti e “controllabili”, e l’ assegnazione del restante 25 per cento su liste di partito e sistema proporzionale hanno avuto la possibilità di esprimere una opzione corrispondente al proprio orientamento politico “non mediato”.
È questo allora il modo più appropriato per conservare una forma di maggioritario-mitigato, senza regali scandalosi di premi di maggioranza che non esistono in nessun altro paese democratico al mondo.
È peraltro noto che in questi giorni si sta iniziando la raccolta delle firme per altri referendum abrogativi presentati dal professor Passigli, i quali però, aldilà dei robusti dubbi sulla loro ammissibilità di cui ha parlato su Europa già Stefano Ceccanti, hanno il torto di provocare il ritorno a un sistema proporzionale puro (con il solo limite di una soglia del 4 per cento), senza peraltro restituire all’elettore il diritto di selezionare i propri candidati, non essendo possibile con i quesiti medesimi restituire – come si vorrebbe fare intendere – il voto di preferenza.
Passigli in alcune interviste ha sostenuto che la “Mattarella” ha dimostrato nell’esperienza di costringere a larghe e disomogenee coalizioni nei collegi uninominali, produttive in seguito di una nefasta frammentazione. In parte l’osservazione ha un suo fondamento, ma va detto che la frammentazione della “Mattarella” non è niente rispetto a quella che produrrebbe un sistema proporzionale puro con la sola soglia del 4 per cento.
Quante liste del 4 o 5 per cento avremmo in parlamento, e quale mercato si aprirebbe nella formazione di una maggioranza parlamentare? Non mi pare oggettivamente accettabile tornare alla situazione precedente le elezioni del 1994. Né in Germania, né in Spagna, né in qualsiasi altro posto potrebbe oggi esistere un sistema proporzionale di quel tipo.
Anche per questo credo sia giusto mettere gli elettori nella condizione di poter fare una scelta chiara e consapevole con il voto referendario: o il Porcellum o il Mattarellum, piuttosto che, o il porcellum o qualcos’altro che ci riporta a una stagione giustamente e consapevolmente superata dal popolo italiano.
da Europa Quotidiano 30.06.11
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Bersani non segue D’Alema-Passigli
Referendum contro referendum? Sulla legge elettorale, tanto per cambiare, il Pd non parla con una voce sola. «Sono d’accordo con voi, vi capisco, ma…».
Incontro riservatissimo, quello che si è svolto ieri a largo del Nazareno fra Bersani e l’insolito trio Veltroni-Parisi- Castagnetti. Tema: il referendum (anzi, i due referendum) sulla legge elettorale.
Il segretario del Pd è stato molto attento alle ragioni dei tre interlocutori. I quali gli hanno spiegato perché il Pd non solo deve battersi contro il referendum di Stefano Passigli ma deve promuovere a sua volta un altro referendum in grado di “resuscitare” il Mattarellum.
Da sempre legato a questo sistema elettorale, Bersani non ha avuto problemi a riconoscere ai suoi interlocutori validissime ragioni. Ma non ha preso impegni formali e la scelta del Pd è rinviata. I tre portano a casa un nyet del segretario al referendum Passigli.
Il leader attende ancora.
Per quanto? Il pressing di Veltroni, Parisi e Castagnetti in queste settimane si è fatto via via più forte. E lo si comprende facilmente, perché Passigli è stato molto rapido a sfruttare l’onda referendaria e a raccogliere per il suo referendum una bella sfilza di nomi altisonanti.
L’antifona d’altronde è di sicura presa, «un referendum per cancellare il Porcellum».
Solo che giorno dopo giorno è diventato più chiaro che l’effetto del “Passigli”, grazie all’abolizione del premio di maggioranza, sarebbe né più né meno che un secco ritorno al proporzionale.
Il punto è che la macchina è partita, forte del sostegno organizzativo e tecnico della Cgil e delle simpatie di una fetta del Pd, quella che si riferisce più o meno direttamente a Massimo D’Alema, senza contare l’appoggio di vendoliani e rifondaroli. 500mila firme entro la fine di settembre, così messe le cose, non dovrebbero essere un grande problema.
Ecco perché è scattato l’allarme rosso in tutta la parte del Pd legata allo sviluppo bipolare e maggioritario della vicenda italiana. Veltroni, Parisi (all’esterno i radicali, che però perseguono una iniziativa autonoma in senso ancora più spiccatamente maggioritaria): ed era scontato. Meno prevedibile il ricompattamento (per ora solo potenziale ma molto credibile) dell’area popolare: di Castagnetti si è detto, ma non solo Fioroni – che sta nel MoDem– ma anche Franceschini, e (più defilata) la stessa Bindi vedono malissimo un addio al bipolarismo e alla scelta dei governi attraverso il voto popolare.
A Bersani è stato spiegato che con il proporzionale il centrosinistra sarebbe svantaggiato.
«Senza il premio le elezioni non le vinceremo mai – è il ragionamento – e la tua stessa candidatura a premier verrebbe messa in forse ». Per i “mattarellisti” infatti D’Alema sta commettendo un «errore catastrofico» perché – si sostiene – «in un governo di coalizione il Pd sarebbe costretto a dare la premiership a Casini».
Il presidente del Copasir negli ultimi giorni avrebbe maturato il proposito di non firmare personalmente ritenendo però il “Passigli” uno strumento utile per premere sul parlamento affinché vari una nuova legge elettorale. È un fatto tuttavia che molti esponenti a lui vicini intendano spendersi in questa battaglia.
Dell’idea di raccogliere le firme per ritornare al Mattarellum (i quesiti sono pronti) è stato informato anche Romano Prodi, da sempre legato a quel sistema elettorale. L’ex premier non ha intenzione di esporsi ma c’è chi ragiona sul fatto che con un sistema proporzionale il centrosinistra non avrebbe quella maggioranza parlamentare necessaria per eleggere il nuovo presidente della repubblica.
da Europa Quotidiano 01.07.11