Questo governo è ormai incapace di assumere decisioni. La sua maggioranza è troppo debole e confusa per segnare una linea netta. Ogni scelta diventa un compromesso al ribasso. Quel che è accaduto ieri in consiglio dei ministri rappresenta plasticamente una coalizione che balbetta senza sosta.
Sull´emergenza rifiuti a Napoli si è addirittura spaccata con il voto esplicitamente contrario della Lega al decreto sollecitato anche dal presidente della Repubblica. Sulla manovra economica ha rinviato di fatto ogni risoluzione al 2014: quando l´attuale Parlamento sarà ormai scaduto. E infine ha fatto slittare la designazione del successore di Mario Draghi alla Banca d´Italia.
Un esecutivo dunque condizionato dalle sue debolezze e da una alleanza che si sente precocemente esausta. Come se avvertisse in anticipo la fine della legislatura. Non si spiegherebbe altrimenti il clamoroso capitombolo in cui è incorso mercoledì scorso alla Camera sulla cosiddetta legge comunitaria. Un provvedimento delicato, svanito per le assenze di quasi sessanta deputati del centrodestra e che ora può esporre l´Italia a salatissime sanzioni da parte dell´Unione europea.
Ma a pagare la fragilità del governo è soprattutto la manovra economica. Che al momento si presenta come un contenitore vuoto. Un insieme di “desiderata” da realizzare successivamente. Il suo obiettivo principale sarebbe quello di rispettare gli impegni europei sul debito, che negli ultimi anni è schizzato al 120 per cento. Eppure tutto viene rimandato al 2013-2014. Come una “maxi-rata” per l´acquisto di una vettura. Un modo per scaricare sul prossimo Parlamento e sul prossimo governo l´urgenza di misure draconiane per recuperare in due anni almeno 40 miliardi di euro. Proprio il contrario dell´appello alla «responsabilità» lanciato dal capo dello Stato. E sebbene il presidente del consiglio continui ad assegnare le colpe dell´esplosione del nostro debito sui governi della Prima Repubblica, dimentica che solo quattro anni fa il rapporto debito/pil si attestava al 103%. E che nel 1990 era stabilmente al 99%.
Il punto, comunque, è che tutti gli interventi annunciati sono coniugati al futuro e soprattutto non sono illustrati nei loro contenuti. Non si capisce su cosa inciderà il bisturi del risparmio e come verrà finanziato l´aiuto allo sviluppo promesso. Il governo assicura che ci sarà una graduale riduzione dell´Irap e che i giovani imprenditori saranno incentivati con un forfait fiscale del 5 per cento. Ma la copertura al momento appare ignota. Soprattutto se – come hanno ribadito il premier e il Ministro Tremonti – non verrà aumentata l´Iva. Tutto sembra congelato in un equilibrio talmente precario da rendere ogni passo incerto. Anzi, tutto diventa solo futuribile. Come la riforma fiscale e quella previdenziale. Le tre aliquote irpef contenute nella delega entreranno in vigore entro tre anni. Ossia entro il 2014. Quando, appunto, questo governo e queste Camere non ci saranno più. E la riduzione delle tasse verrebbe finanziata con una revisione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni e con il recupero dell´evasione fiscale. Uno strumento, quest´ultimo, che venne criticato già in passato dal Quirinale per un motivo molto semplice: associa uscite certe e entrate incerte. Senza contare che la sforbiciata ai costi della politica non sono affatto immediati: riguarderà, appunto, la prossima legislatura. «Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani», ha detto Berlusconi preoccupato di non peggiorare il suo tasso di popolarità. In questo caso, però, non le ha messe per togliere ma neanche per aggiungere.
Tutto è rinviato, tutto appartiene al futuro. Ma, come ammoniva John Maynard Keynes, «nel lungo periodo siamo tutti morti».
La Repubblica 01.07.11
******
“LA MANOVRA INIQUA”, di CHIARA SARACENO
Curioso: in una manovra che sposta al 2013-14, cioè dopo la fine della legislatura, gran parte delle misure più significative sia sul piano finanziario che su quello simbolico e della equità (ad esempio riduzione dei costi della politica, riduzione dei vitalizi per i parlamentari), si pensi invece di introdurre da subito quelle che incidono più negativamente sulla vita quotidiana e in particolare sulla vita delle donne, come madri e come lavoratrici. Secondo le bozze che circolano, viene previsto un nuovo, pesante, intervento sulla scuola, che di fatto ridurrà ulteriormente non solo i posti di lavoro (per lo più femminili) ma anche l´offerta di tempo e qualità scolastica. Verrà ulteriormente ridotto il tempo pieno scolastico nelle scuole elementari, mai diventato la norma nonostante tutte le dichiarazioni a favore della occupazione femminile e nonostante oggi la maggior parte delle mamme con bambini in età scolare sia occupata. Un numero crescente di famiglie dovrà affidarsi alla propria creatività e risorse private per tenere assieme occupazione dei genitori, soprattutto della madre, e bisogni di cura e supervisione dei figli, aumentando le disuguaglianze tra famiglie, donne, ma anche bambini. La riduzione del turnover di fatto provocherà anche una ulteriore compressione del tempo che ogni insegnante (i cui stipendi tutt´altro che elevati nel frattempo vengono bloccati fino al 2014) avrà sia per dedicarsi individualmente agli allievi sia per formarsi e aggiornarsi adeguatamente. Ciò avviene proprio in un periodo in cui la crescente diversificazione della popolazione scolastica richiederebbe maggiore attenzione individualizzata e maggiori competenze non solo nelle discipline di insegnamento.
Ha ragione Napolitano a dire che una manovra fiscale è necessaria per tentare di mettere i conti in ordine ed evitare il rischio Grecia. E nessuno potrà essere del tutto esentato da pagarne parte del prezzo. Ma, al di là del merito sulle singole misure su cui pure ci sarebbe da discutere, c´è qualche cosa di insopportabilmente ingiusto nell´utilizzare il criterio del tempo per colpire subito coloro che sono ritenuti socialmente più deboli e meno legittimati a fare valere i propri interessi – gli insegnanti, le donne lavoratrici, i bambini – rimandando a un futuro al di fuori della propria responsabilità l´intervento sugli interessi dei soggetti forti. È inoltre anche fortemente miope: non investire nella scuola, delegittimare e squalificare gli insegnanti – lo sport preferito di questo governo e della sua ministra dell´istruzione – significa non investire nella generazione più giovane, indebolirne in partenza i diritti e qualità di cittadini. Analogamente, continuare ad agire come se le donne potessero farsi carico di tutto – della cura ma anche del lavoro remunerato – pagandone anche i costi sul piano del tempo e della progressione nel reddito e nel lavoro, significa sacrificare le potenzialità di metà della popolazione. Ciò può andare bene a una classe dirigente maschile molto anziana e legata ai propri privilegi monopolistici. Ma è uno spreco che una società in affanno come la nostra non dovrebbe potersi permettere.
La Repubblica 01.07.11